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La terapia parodontale non chirurgica mediante laser: studio microbiologico

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Fig. 1 - Trattamento parodontoale tradizionale.
 C. Cafiero, L. Bellia, I. Torre, F. Pennino, M. Medaglia, G. Palaia, M. Nicolo, U. Romeo

C. Cafiero, L. Bellia, I. Torre, F. Pennino, M. Medaglia, G. Palaia, M. Nicolo, U. Romeo

mer. 14 maggio 2014

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La parodontite è la prima causa di perdita di denti nella popolazione adulta nei Paesi industrializzati e presenta molteplici ripercussioni sulle funzioni masticatorie, fonatorie, nonché sull’aspetto relazionale ed estetico del sorriso della persona affetta.

Il quadro è di una malattia di alto impatto sociale ad eziologia multifattoriale, ma è ormai dimostrato che la colonizzazione delle superfici dentali da parte della placca batterica rappresenta il fattore scatenante la patologia, in associazione ad alcuni fattori predisponenti genetici e sistemici. I valori di prevalenza delle malattie parodontali nella popolazione italiana, di età superiore ai 55 anni, sono molto alti (circa 80%), mentre la prevalenza delle parodontiti gravi è del 15% circa. La percentuale di individui con un parodonto sano, privo di qualsiasi segno di infiammazione, diminuisce con l’aumentare dell’età e non rappresenta più del 10% della popolazione adulta1.

Quasi costantemente l’infezione è sostenuta da una popolazione polimicrobica, nella quale potenti sinergismi patogenetici possono innescare eventi difficili da riprodurre in vitro. I siti gengivali coinvolti non hanno un sincronismo di espressione anatomopatologica per cui il campionamento microbiologico di una zona può fornire risultati culturali completamente diversi. In ogni caso, il quadro ormai accettato è che alte cariche di patogeni orali vengono, nelle lesioni, ad associarsi agli usuali consorzi esistenti nel biofilm normale. I microrganismi virulenti sono in grado di produrre fattori chimici assai differenziati, che sollecitano la comparsa di profondi fatti infiammatori locali, accompagnati dall’induzione di alti livelli anticorpali specifici. La progressione della malattia è arrestata o rallentata, alla stregua di quanto accade in altre infezioni, solo dall’eliminazione o riduzione del numero di questi batteri2.

I microrganismi più frequentemente coinvolti nella eziologia della parodontite sono: Aggregatibacter actinomycetemcomitans (Aa), Porphyromonas gengivalis (Pg), Prevotella intermedia (Pi), Tannerella forsythensis (Tf), Treponema denticola (Td) e Fusobacterium spp. La terapia causale non chirurgica, basata sul controllo e sulla rimozione della placca mucobatterica e del tartaro sopra e sotto gengivale, è alla base della prevenzione della malattia parodontale4 e del mantenimento dei pazienti parodontopatici, sebbene le attuali tecniche non risultino però efficaci nel rimuovere il 100% delle specie microbiche presenti, che hanno la possibilità di riprodursi in un tempo più o meno breve5. Il grande paradosso del trattamento delle parodontopatie risiede nel fatto che, malattie con una dichiarata eziologia microbica continuano ad essere affrontate principalmente sulla base di procedimenti meccanici. Pertanto, si è optato per presidi che avessero un marcato potere antibatterico (antisettici, antibiotici), utilizzati sotto varie forme più o meno facili da gestire sia a livello professionale che domiciliare. Il problema di questi presidi, tuttavia, sta nel fatto che, difficilmente, essi raggiungono adeguate concentrazioni a livello delle tasche parodontali e di zone più anguste come formazioni e fondo della tasca stessa, sia per problematiche anatomiche che per la presenza dei fluidi orali che rimuovono facilmente l’agente antimicrobico. L’antibiotico terapia, inoltre, poco efficace a livello locale per la difficoltà sopra citata, è stata proposta per uso sistemico ma ha, come intuibile, il problema degli effetti collaterali legati alle proprietà intrinseche del principio attivo utilizzato. Infine, i fenomeni di resistenza batterica visto l’abnorme prescrizione di farmaci antibiotici suggerisce di utilizzare gli stessi con molta cautela e solo in caso di effettivo bisogno e alto rapporto beneficio/potenziale danno.

Negli ultimi anni, l’interesse della comunità scientifica si è lentamente spostato verso gli effetti dell’utilizzo della luce laser in alternativa o in aggiunta alle metodiche convenzionali. L’effettivo potere battericida di questa radiazione luminosa è stato di recente riportato in letteratura, sia attraverso studi in vitro che in vivo6. Nello specifico, il laser a diodi nei trattamenti parodontali, è stato proposto come strumento di ausilio alle tecniche standard dal momento che possiede un effetto antibatterico che è possibile ottenere anche in tasche profonde e anguste attraverso fibre ottiche di diametro molto sottili (fino a 300 micron)7. Lo scopo del lavoro è stato di monitorare i tipi di microrganismi e i relativi valori di carica microbica in pazienti parodontopatici trattati sia con tecniche tradizionali (Fig. 1) che con laser a diodi (Fig. 2) in aggiunta a tali tecniche.

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Materiali e metodi
La ricerca è stata condotta su 12 pazienti (6 uomini e 6 donne), di età compresa tra i 38 e 65 anni (uomini 55.3 ± 7.5; donne 55.4 ± 7.1) scelti in modo randomizzato tra gli utenti afferenti al reparto di Parodontologia del Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche e Maxillo-Facciali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, secondo i seguenti criteri di inclusione:
1. parodontite cronica dell’adulto (Armitage GC: Development of a classification system for periodontal diseases and conditions. Ann Periodontol 1999, 4:1–6.);
2. assenza di malattie sistemiche;
3. non assunzione di terapia antibiotica nei 6 mesi precedenti;
4. almeno due elementi dentari (appartenenti ad emiarcate controlaterali) con presenza di profondità di tasca tra i 4 e i 6 mm;
5. Full Mouth Plaque Score (FMPS), Full Mouth Bleeding Score (FMBS) ≥ 30%.9
Tutti i pazienti reclutati sono stati portati a conoscenza del razionale dello studio e hanno firmato il consenso informato al trattamento. La sperimentazione è stata condotta in osservanza dei principi della Dichiarazione di Helsinki. Il trattamento effettuato ha previsto, inizialmente, l’indicazione delle norme di igiene orale, istruendo i pazienti alla tecnica di spazzolamento secondo la metodica di Bass modificata al corretto utilizzo di presidi interdentali (filo interdentale, flossette, scovolini e filo “superfloss”). Inoltre è stato prescritto l’utilizzo di un collutorio a base di clorexidina 0,12%10 due volte al giorno (mattina/sera) per un periodo di 7 giorni al mese, a partire dalla data della prima seduta, per un totale di due cicli prima della successiva visita di controllo.

Il FMPS è stato registrato utilizzando una soluzione rivelatrice di placca (Hurriview™, plaque indicating swab applicators) e calcolando la percentuale di siti con placca visibile.
Il FMBS è stato rilevato calcolando la percentuale di siti positivi al sanguinamento al sondaggio. Tutte le variabili sono state registrate dallo stesso operatore, utilizzando una sonda parodontale millimetrata (Sonda Williams), inserita nel solco gengivale con una forza di 0.25 Newton.
È stato quindi effettuato il prelievo microbiologico al baseline per i due siti parodontali scelti per lo studio. A seguire 12 siti parodontali, sono stati trattati con l’impiego di ultrasuoni e curette (gruppo di controllo), mentre i restanti 12 siti sono stati trattati con l’uso combinato del trattamento meccanico e terapia laser a diodi (gruppo test). Le irradiazioni laser sono state effettuate mediante laser a diodi 810 nm alla potenza di 1.5 W, 10 Hz, utilizzando una fibra da un diametro di 300 μ. La tecnica ha previsto l’inserimento della fibra ottica fino al fondo della tasca, la sua leggera retrazione di circa 1 mm e, in seguito, l’irradiazione in senso apico-coronale e mesio-distale, posizionando la fibra parallelamente alla superficie radicolare. La durata dell’irradiazione è stata di 30 secondi (Fig. 3). Il confronto tra le due metodiche di trattamento della parodontite cronica è stato realizzato utilizzando un modello “splitmouth”11 a quadranti. Al termine del trattamento è stato eseguito il prelievo microbiologico per entrambi i siti. A due mesi dal trattamento i pazienti sono stati richiamati a controllo. Sono stati rilevati gli indici parodontali di riferimento ed è stato effettuato l’ultimo campionamento microbiologico.

Per quanto riguarda il campionamento microbiologico, i prelievi microbiologici sono stati effettuati:
1. al Tempo 0 (T0) baseline
2. al Tempo 1 (T1) dopo il trattamento parodontale (Ultrasonic root planing e laser)
3. al Tempo 2 (T2) a follow up di due mesi dal trattamento.
Il campionamento è stato eseguito utilizzando dei coni di carta sterili blisterati per endodonzia (Paper Point Sterili - Inline) mantenuti all’interno delle tasche per 30 secondi.
Dopo il prelievo, i coni sono stati posti in provette sterili (Fig. 4) contenenti un terreno di arricchimento (Brain Heart Infusion Broth - Oxoid spa) e collocate in apposite giare indicate per il trasporto in anaerobiosi.
Trasportati in laboratorio, i campioni sono stati passati su terreni di coltura per anaerobi a base di sangue di montone e successivamente incubati, preservando l’ambiente anaerobio. In particolare, sono stati utilizzati i seguenti terreni: Agar Schaedler 5% sangue di montone, Schaedler Kana-Vanco Agar con 5% sangue di montone, Schaedler CNA Agar con 5% sangue di montone, Bacteroidee Bile Esculin Agar, Crystal violet agar (Oxoid spa). Le colonie sono state identificate mediante test biochimici standardizzati e miniaturizzati Api 20A (Bio Merieux Srl, Charbonnières-les-Bains, France).
L’analisi statistica dei dati è stata effettuata con il test t-Student mediante il software GraphPadPrism 5.0.

Risultati
Al termine dello studio, nei 12 pazienti, gli indici parodontali hanno mostrato una notevole riduzione dei parametri clinici in percentuale:

  • indice di placca (FMPS) dal 44,85%, (T0) al 13,59 % (T2);
  • indice di sanguinamento (FMBS) dal 39,45% (T0) al 10,25% (T2).

L’analisi statistica ha mostrato una differenza statisticamente significativa tra il gruppo test e il gruppo controllo (p<0.05) (Tab. 1). 

Tab. 1 - Analisi statistica.
 

 

PRE T0
 

POST T2
FMPS 44.85 13.59
FMBS 39.45 10.25
Valore medio
(±SD)
37.20 (±9.2) 11.92 (±4.5)
p<0.05    

L’analisi microbiologica effettuata al T0 ha evidenziato la presenza, nelle tasche parodontali, di diversi tipi di microrganismi, fra i quali quelli maggiormente rappresentati erano Fusobacterium nucleatum, Veillonella spp., Streptococcus spp., Actinomyces israelii, Prevotella intermedia, Porphiromonas gingivalis.
Al T1, è emerso che la carica microbica media risulta ridotta per tutti i microrganismi isolati sia nel gruppo test che nel gruppo controllo. Nello specifico, lo Streptococcus spp. e Porphiromonas gingivalis e la Veillonella spp. sono risultati i microrganismi presenti con cariche più elevate, mentre la Prevotella intermedia è risultata la specie meno rappresentata (70 CFU nel gruppo di controllo e 25 CFU in quello test). Nel gruppo controllo, i microrganismi che hanno mostrato la riduzione percentuale di carica batterica più elevata sono stati: Porphiromonas gingivalis (62.4%), Streptococcus spp. (51.8%) e Prevotella intermedia (50%). Nel gruppo test, invece, riduzioni di carica più significative si sono osservate per Veillonella spp (95%) e Actinomyces israelii (76%), mentre la percentuale più bassa di abbattimento, si è osservata per Streptococcus spp. (…). Nel 66% delle specie prese in maggiore considerazione, l’utilizzo della tecnica combinata ha evidenziato una riduzione della carica, rispetto allo SRP. In particolare, specie come Fusobacterium nucleatum, Actinomyces israelii, Veillonella spp., Prevotella intermedia sono risultate maggiormente sensibili al trattamento combinato (Tab. 2).

Tab. 2 - Carica batterica media rilevata nel gruppo di controllo e nel gruppo test (T0, T1, T2).
MICRORGANISMI ISOLATI GRUPPO CONTROLLO T0 Ufc
 
GRUPPO TEST T0 Ufc GRUPPO CONTROLLO T1 Ufc GRUPPO TEST T1 Ufc GRUPPO CONTROLLO T2 Ufc
 
GRUPPO TEST T2 Ufc
FUSOBACTERIUM NUCLEATUM 450 793 442 324 400 250
STREPTOCOCCUS SPP 917 830 442 677 380 600
ACTINOMYCES ISRAELII 300 364 260 89 230 75
VEILLONELLA SPP 706 800 492 40 375 15
PREVOTELLA INTERMEDIA 70 25 35 8 28 18
PORPHOROMONAS GINGIVALIS 125 250 47 140 40 120

 

Discussione
La parodontite è una patologia infiammatoria dei tessuti molli di sostegno dei denti che riconosce un’eziologia multifattoriale essenzialmente batterica con l’interazione di tre cofattori principali: suscettibilità dell’ospite, fattori ambientali e comportamentali.
La colonizzazione delle superfici dentali da parte di numerose specie batteriche è riconosciuta come il fattore eziologico chiave per lo sviluppo della parodontite13. Gli elementi dell’apparato parodontale, dopo essere stati colonizzati dai batteri, smettono di esercitare la propria funzione di sostegno causando mobilità dentale.
Studi epidemiologici14 hanno inoltre evidenziato l’associazione tra la parodontite e un aumento del rischio di sviluppare alcune patologie sistemiche, come:
a. malattie cardiovascolari ischemiche;
b. complicanze ostetriche (nascita di bambini prematuri e/o sottopeso);
c. controllo metabolico insufficiente del paziente diabetico non-insulino dipendete;
d. malattie polmonari.

Una tecnologia emergente anche nel campo della parodontologia non chirurgica è rappresentata dal laser a diodi, che emette una radiazione nello spettro dell’infrarosso, a 808 nm di lunghezza d’onda. Utilizzato secondo i protocolli di letteratura scientifica internazionale, tale dispositivo ha un effetto battericida e detossificante della superficie radicolare, in quanto inattiva le tossine batteriche15, provoca emostasi, non produce smear layer e, pertanto, in ambito parodontale non chirurgico, la sua applicazione risulta particolarmente efficace16. Interagendo con cromofori endogeni come la melanina e l’emoglobina, provoca la vaporizzazione del tessuto di granulazione, che fuoriesce dalla tasca sottoforma di coaguli, associato a un ridotto sanguinamento grazie all’effetto emostasi. Per tale ragione, nel presente studio è stata valutata la carica microbica parodontale di pazienti trattati sia con normali metodiche strumentali che con laser a diodi in aggiunta a tali tecniche. Alla luce dei limiti del protocollo “Split mouth” e considerando che il cavo orale può essere considerato un sistema aperto, con le numerose interazioni e trasposizioni batteriche che si verificano, raggiungere un livello di carica batterica prossima allo zero risulta essere molto difficile, se non impossibile, e a ogni modo ancora lontano come risultato da raggiungere. La diversa sensibilità delle specie batteriche è stata attribuita da Folwaczny18 alla diversa morfologia e al contenuto di acqua dei batteri. Inoltre, ricordando l’importanza che i cromofori ricoprono nella specificità del laser, non va sottovalutata l’importanza del livello di pigmentazione delle pareti batteriche. In ogni caso, sono stati numerosi gli studi condotti riguardo le potenzialità delle apparecchiature laser nella parodontologia non chirurgica e, tutt’oggi, l’applicazione del laser in parodontologia risulta essere uno degli argomenti dibattuti in tutte le Consensus Conference, assieme agli spinosi argomenti riguardanti le strumentazioni, le tecniche rigenerative, gli antisettici e le terapie antibiotiche topiche o sistemiche18.

Conclusioni
Kreisler et al (19), nel 2000, utilizzando un laser a diodi per 1W in modalità continua nel trattamento non chirugico delle tasche parodontali, hanno concluso il loro studio affermando che tale metodica può fornire solo benefici se aggiunta alle tecniche convenzionali di SRP, accompagnandosi inoltre, all’assenza di nessun effetto collaterale se tutti i parametri sono rispettati. Romeo et al (20) nel 2010 hanno potuto constatare che il laser KTP, in aggiunta alle tecniche metodiche classiche, può determinare un netto miglioramento dei parametri clinici di BOP, CAL e PPD in maniera statisticamente significativa rispetto al gruppo controllo trattato senza irradiazione laser. Ciò nonostante, i dati in letteratura sono ancora poco chiari per la mancanza di un numero di trials clinici sufficiente a fornire informazioni certe, pertanto, se da un lato l’esperienza dei singoli studi dimostra l’assoluta efficacia dell’irradiazione laser nel determinare una più accurata disinfezione della tasca parodontale, dall’altro esiste una non congruità di dati (parametri di utilizzo, scelta dei pazienti, modalità di controllo) che rendono la maggior parte degli studi non confrontabili tra loro (21). È necessario, quindi, che gli incoraggianti risultati finora ottenuti spingano le singole Scuole Universitarie ad effettuare studi multicentrici che permettano, da un lato, di raggiungere numeri elevati in termini di numerosità del campione e, dall’altro, di poter fornire protocolli fissi di utilizzo nel rispetto di un elevato rapporto beneficio/danno.

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L'articolo è stato pubblicato sul numero 2 di Laser Tribune Italy 2014.

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