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Un caso di iperdontia in un reperto di epoca tardo romana proveniente dalla grotta-ossario di Susa (To)

D. Minaldi, E. Fulcheri

D. Minaldi, E. Fulcheri

mar. 24 luglio 2012

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 Il reperto illustrato in questa sede proviene da un contesto di sepoltura secondaria (grotta-ossario) di epoca tardo romana, rinvenuto tra il 1927 e il 1928 in Piemonte, nella località di Susa (To).

L’area funeraria ubicata in prossimità dell’antico anfiteatro romano fu esplorata dal prof. Giovanni Marro (1875-1952) medico e antropologo, il quale curò il trasporto del materiale a Torino tra il 1929 e il 1930 per effettuarne lo studio antropologico. La scelta dei reperti da analizzare ricadde principalmente sui crani che confluirono in una collezione attualmente custodita presso il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università degli Studi di Torino.
I primi studi scientifici effettuati negli anni Trenta del Novecento dagli assistenti del prof. Marro furono volti alla determinazione del sesso e al rilievo dei dati antropometrici di base. Successivamente, lo studio antropologico è stato integrato con valutazioni sullo stato di conservazione, analisi paleopatologiche e studi di antropologia dentaria, con l’applicazione di metodiche diagnostiche più recenti(2).
La collezione nello specifico è composta da 50 crani appartenenti a soggetti di sesso maschile e 31 crani appartenenti a soggetti di sesso femminile, per lo più deceduti in età adulta.

Il reperto
Si tratta di un cranio privo di mandibola (num. 25) appartenente a un individuo di sesso femminile, adulto giovane, di età compresa tra i 30 e i 35 anni. Lo stato di conservazione è buono.

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Descrizione del caso.
L’analisi dentaria ha consentito di evidenziare come la maggior parte dei denti siano stati persi post mortem, ad eccezione di tre denti persi intra vitam (1.6; 1.3; 2.5). Inoltre, si segnala la mancata eruzione dei III molari.
È presente in situ un solo molare (1.7) privo di carie, con parte della dentina esposta a livello della superficie occlusale (grado di usura cinque su una scala di otto, secondo la classificazione di Smith, 1984).
L’ampiezza maxillo-alveolare, misurata in corrispondenza dei margini laterali alveolari dei secondi molari, è pari a 57,25 mm, mentre la lunghezza dell’arcata palatina, misurata lungo la sutura palatina mediana sino all’incontro con la retta congiungente i margini posteriori dei processi alveolari, è pari a 51,12 mm. Calcolando il rapporto tra le due misure, l’arcata alveolare risulta essere dunque di tipo mesuranico (indice dell’arcata alveolare pari a 111,9 mm).
Il reperto si presenta interessante perché mostra la presenza di un dente parzialmente erotto (per circa 1,5 mm dalla superficie del processo palatino destro) in condizione eterotopica, in prossimità della sutura interpalatina, posteriormente agli incisivi centrali. Dal punto di vista morfologico il dente è osservabile solo parzialmente, a livello della corona, che si presenta ben formata, di forma conoide monocuspidata leggermente inclinata sul proprio asse. Lo smalto è integro, di colore bianco, senza segni di alterazione. Il dente è ben saldo nella sua sede.

Proposta diagnostica
Il caso non è di univoca interpretazione. Potrebbe infatti trattarsi di “iperodontia” (condizione mesiodens) ovvero di un’anomalia che consiste nella presenza di un numero maggiore di denti rispetto alla norma, oppure di una malposizione, ossia di un’alterazione nella posizione nell’arcata alveolare di un elemento dentario.
La prima condizione in genere è riscontrabile più frequentemente nel sesso maschile (1-3%) in dentizione permanente; la sua eziologia è sconosciuta ma dato il coinvolgimento di un solo dente, alcuni autori la ritengono ereditaria con carattere autosomico recessivo(3).
Se si trattasse di una malposizione invece la causa sarebbe riconducibile a un disturbo insorto durante l’odontogenensi, di natura congenita o acquisita. In tale circostanza non si avrebbe però la presenza del numero completo dei denti e dei rispettivi alveoli, come invece avviene per il reperto in oggetto.
Si può concludere dunque, con ragionevole probabilità, che il caso presentato possa essere diagnosticato come iperdontia.

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