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Operatività odontoiatrica o di chirurgia maxillo-facciale nel paziente epatopatico

A. Dell’Acqua, R. Pellicano, R. Pol, T. Ruggiero, S. Carossa

A. Dell’Acqua, R. Pellicano, R. Pol, T. Ruggiero, S. Carossa

mer. 11 marzo 2015

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Con il termine di epatopatia si intendono, in senso lato, una serie di condizioni patologiche riconducibili al danno, primariamente epatocitario e/o delle vie biliari, a carico del fegato. Le epatopatie croniche, di grande interesse in ambito odontoiatrico, sia per la loro frequenza che per il loro impatto in termini di potenziali complicanze, sono caratterizzate da un processo infiammatorio che persiste per almeno 6 mesi.

Nella pratica clinica, la diagnosi è formulata quando si osserva l’incremento, protratto nel tempo, dei segni bioumorali di epatopatia, espressi dalle transaminasi (AST e ALT). In questa semplice definizione sono in genere comprese forme di diversa eziologia e severità che rimangono a lungo asintomatiche prima di manifestarsi clinicamente. Nella maggior parte dei pazienti, infatti, il danno progredisce in forma silente per anni (sia in caso di epatite cronica che di evoluzione di questa in cirrosi compensata), e solo dopo la distruzione di gran parte del parenchima epatico si raggiunge lo scompenso d’organo ed insorgono segni e/o sintomi. Tale condizione è generalmente compatibile con la cirrosi scompensata. Quindi, nella storia naturale dell’epatopatia vi è una prima tappa con disordine anatomico dell’architettura epatica e, una seconda, caratterizzata da deficit della sintesi e incremento della pressione portale.
Nell’ambito odontoiatrico e di chirurgia maxillo-facciale è cruciale essere a conoscenza dell’epatopatia, classificarla in termini prognostici per prevenire le complicanze e gestire in maniera appropriata tutte le manovre legate all’operatività sul cavo orale. Ovviamente, è scontato l’alto livello di prevenzione della trasmissione di agenti infettivi da mantenere, per la protezione sia degli altri pazienti che dello stesso operatore sanitario. In linea generale, è appropriato trattare il paziente con epatopatia cronica non evoluta in cirrosi (documentata dall’ecografia dell’addome superiore e da esami che dimostrino sintesi epatica conservata e piastrine nella norma) o con nota cirrosi compensata, in sede extra-ospedaliera, mentre la gestione ospedaliera deve essere riservata ai pazienti con cirrosi scompensata (stadi B o C secondo la classificazione di Child-Turcotte-Pugh in seguito descritta) o cirrosi compensata, ma con peculiarità tipo piastrinopenia o pregressi episodi di scompenso (Tab. 1). In quest’ultimo contesto è fondamentale la quantificazione del rischio peri-operatorio.

Valutazione del grado di severità dell’epatopatia
Le principali funzioni metaboliche svolte dal fegato sono la rimozione delle sostanze tossiche dal circolo ematico, la metabolizzazione dei farmaci e dell’etanolo, la sintesi di molte proteine sieriche essenziali (tra le quali albumina e fattori della coagulazione), l’immagazzinamento di energia sotto forma di vitamine, minerali e zuccheri, la produzione di bile a sostegno dei processi digestivi e l’eliminazione dall’organismo della bilirubina, prodotto del catabolismo dei globuli rossi.
Quindi, nel contesto odontoiatrico e di chirurgia maxillo-facciale di un paziente epatopatico si devono tenere in conto i seguenti aspetti:

  • un deficit funzionale del fegato può provocare disturbi dell’emostasi, della metabolizzazione dei farmaci e della risposta immunitaria;
  • le epatopatie di origine virale (in particolare da virus dell’epatite B o HBV e C o HCV) costituiscono un potenziale rischio biologico-infettivo sia per altri pazienti che per l’operatore;
  • alcune epatopatie (per esempio di tipo autoimmune) possono richiedere terapie a base di immunomodulatori o immunosoppressori (corticosteroidi, azatioprina, ciclosporina o 6 mercaptopurina);
  • il paziente con cirrosi scompensata, in valutazione per inserimento in lista per trapianto di fegato (OLT), richiede una gestione multidisciplinare, in accordo con i gruppi specialistici (di chirurghi o epatologi) che attuano il bilancio pre-OLT;
  • in caso di pazienti con carcinoma del fegato (potenziale complicanza della cirrosi), un corretto piano di trattamento deve considerare la possibile durata di vita, al fine da evitare accanimenti e overtreatments.

Dal punto di vista nosografico, la cirrosi può essere classificata in base all’eziologia (che ricalca quella dell’epatite cronica) e alla severità. Da quest’ultima dipende la gestione pratica del paziente. Sebbene, ad oggi, la classificazione di Child-Turcotte-Pugh sia la più seguita, sia per la sua semplicità che per l’accuratezza prognostica che riflette, essa non è esaustiva di tutti gli aspetti della severità che vede coinvolti anche la riduzione della conta piastrinica, la presenza di varici esofago-gastriche (a rischio di rottura o meno) e di neoplasie epatiche.
A seconda del grado di severità, la classificazione di Child-Turcotte-Pugh prevede tre stadi, definiti A, B e C, basati sui parametri clinico-laboratoristici indicati in Tab. 2. Le classi sono calcolate sommando i singoli punteggi dei cinque parametri inclusi, per valori totali compresi tra 5 e 15. Valori ≥ 7 sono in genere indicativi di cirrosi scompensata.
Clinicamente, un paziente in classe A può essere asintomatico o soffrire di disturbi aspecifici, con alterazioni esclusive degli esami di laboratorio. In caso di classe B, compaiono sintomi e segni di “lieve” entità, responsivi in genere al trattamento medico e a volte associati ad astenia, dimagrimento, anoressia, subittero, ectasie vascolari (angiomi stellari, varici esofago-gastriche, emorroidi e caput medusae sulla superficie addominale), alterazione mestruali o della libido. I dati di laboratorio possono indicare un deterioramento dell’emostasi. Nello stadio C, il controllo con terapia medica è difficoltoso, mentre sintomi e segni dell’epatopatia sono più evidenti, in particolare l’ascite e gli edemi periferici, l’ittero (Figg. 1a, 1b), l’encefalopatia, la denutrizione e la piastrinopenia.
Nel contesto odontoiatrico e di chirurgia maxillo-facciale dei centri di eccellenza, nei quali si opera su pazienti in lista pre-OLT, questi giungeranno inquadrati in base alla stadiazione MELD (Model for End-Stage Liver Disease). Si tratta di un sistema a punteggio utilizzato per valutare la gravità della cirrosi, sviluppato inizialmente a scopo prognostico, per determinare la sopravvivenza a 3 mesi dopo intervento chirurgico di posizionamento di uno shunt portosistemico intraepatico transgiugulare e, successivamente, per valutare la prognosi e la priorità nei candidati a ricevere un trapianto di fegato. Tale sistema è utilizzato sia dal United Network for Organ Sharing (UNOS) sia da Eurotransplant, per gestire la lista di attesa per il trapianto in sostituzione della classificazione di Child-Turcotte-Pugh. Per calcolare il punteggio MELD si usano come variabili la concentrazione plasmatica di bilirubina e di creatinina e il tempo di protrombina normalizzato (INR). In aggiunta, se il paziente è stato sottoposto a dialisi due volte nella settimana precedente, il valore della creatinina sierica da usare è 4.0 mg/dL, e tutti i valori inferiori a 1 vengono arbitrariamente portati a 1 per evitare risultati negativi. In base al punteggio MELD ottenuto, la mortalità a 3 mesi varia dal 6% (se MELD 10-19) al 71% se ≥ 40. Secondo le più recenti linee guida (pubblicate nel 2014) un punteggio ≥ 15, in pazienti con storia di scompenso, pone indicazione all’inserimento in lista pre-OLT.
Anamnesi epatologica nel contesto odontoiatrico e di chirurgia maxillo-facciale
I pazienti con epatopatie misconosciute costituiscono un pericolo per i trattamenti odontoiatrici e di chirurgia maxillo-facciale, in quanto sono a potenziale rischio di emorragia e scompenso farmaco-indotto, oltre che essere potenziali portatori di infezioni trasmissibili da virus epatotropi.
In questo contesto, l’anamnesi assume un ruolo centrale. Domande semplici ma cruciali sono:

  • è a conoscenza di avere una malattia di fegato?
  • Fa esami inerenti il fegato?
  • Da quanto tempo e che tipo di problemi di fegato ha?
  • Conosce la causa della sua malattia di fegato?
  • Durante la rasatura, quando si spazzola i denti o quando si taglia accidentalmente, ha disturbi di sanguinamento?
  • Ha visto occasionalmente feci nere come la pece?
  • Ha problemi ad assumere qualche tipo di farmaco?
  • È mai diventato/a giallo/a negli occhi o sulla pelle?
  • È mai stato/a ricoverato/a in ospedale a causa della malattia di fegato?

Come già riportato, nelle fasi precoci la cirrosi può essere asintomatica e solo una corretta anamnesi potrà indirizzare alla sua individuazione e alla comprensione della sua severità. In fasi più avanzate, il paziente può riferire storie di prolungati sanguinamenti, di riscontro di varici esofago-gastriche o emorragie del tratto digerente. In alcune circostanze si può osservare uno stato di edema sia addominale (ascite) sia agli arti inferiori (secondari sia all’ipertensione portale che all’ipoproteinemia). Sulla cute possono essere visibili lesioni da grattamento (legate al prurito indotto dall’accumulo cutaneo dei sali biliari), spider naevi (teleangectasie cutanee), porpora ed eritema palmare. A volte, in casi di epatopatia scompensata, è anche presente tremore, segno di lieve encefalopatia.
Una serie di esami epatologici, che il paziente epatopatico deve esibire prima di un trattamento odontoiatrico o di chirurgia maxillo-facciale, dovrebbe comprendere la misurazione dei livelli sierici di AST, ALT, fosfatasi alcalina (ALP), g-glutamil transpeptidasi (gGT o GGT), bilirubina diretta e indiretta, albumina, tempo di protrombina (espresso come INR) e i marcatori virali (in particolare anti-HCV e HBsAg).
È da considerare che alcuni parametri (AST e ALT) possono fuorviare poiché possono essere nei limiti di norma (per eccessiva distruzione parenchimale), pur in pazienti con grave malattia epatica o, viceversa, essere alterati in soggetti senza epatopatia (come nel caso di miopatie o cardiopatie). Ciò è legato al fatto che le AST sono presenti in molti organi (fegato, miocardio, muscolo scheletrico, reni), mentre le ALT sono prevalentemente di origine epatica. Inoltre, considerando ALP e gGT, il loro rialzo concomitante è suggestivo di colestasi, ma il singolo aumento di questi enzimi può essere indicativo di disparate situazioni. ALP, infatti, si riscontra nella placenta, mucosa ileale, rene, ossa e fegato. Di conseguenza, l’accuratezza diagnostica per epatopatia può essere influenzata da condizioni come la crescita, la gravidanza o patologie dell’osso.
Per quanto riguarda la gGT, l’incremento può anche essere indice di induzione (da farmaci o alcol). 

Rischio perioperatorio
Nel contesto di un trattamento odontoiatrico o di chirurgia maxillo-facciale, nel paziente epatopatico devono essere considerati almeno tre aspetti: l’impiego degli anestetici o di altri farmaci, il rischio di emorragia e quello di infezioni. Sulla base di queste considerazioni, particolare attenzione va prestata alla presenza di alterazioni del metabolismo dei farmaci, dell’emostasi e della risposta immunitaria.
Gli effetti dei farmaci, in caso di malattia del parenchima epatico, non sono del tutto prevedibili (Tab. 3): la risposta di un paziente è influenzata dalla severità e dal tipo di epatopatia, nonché dal tipo di metabolizzazione ed escrezione che quel farmaco subisce da parte dei sistemi enzimatici del fegato. Tra questi, il principale è il sistema enzimatico microsomale del citocromo P-450, attraverso il quale molti farmaci vengono trasformati in metaboliti con conseguente attivazione o perdita dell’efficacia terapeutica. Poiché il citocromo P-450 è anche responsabile della metabolizzazione dell’etanolo, in caso di epatopatie alcoliche tale molecola risulta in competizione con i farmaci per tale sistema enzimatico. L’assunzione acuta e quella cronica di alcool hanno effetti esattamente opposti. Durante l’assunzione acuta, l’etanolo impegna il sistema P-450 determinando un aumento nei livelli ematici dei farmaci assunti in concomitanza, con possibile intossicazione da sovradosaggio o prolungamento dell’effetto terapeutico. Viceversa, l’assunzione cronica di alcolici stimola il sistema enzimatico microsomale, velocizzando la metabolizzazione dei farmaci (con riduzione dell’efficacia terapeutica) e aumentando la tolleranza dell’organismo all’etanolo stesso. È frequente riscontrare epatopatici con disturbi dell’emostasi. Ciò dipende dal fatto che quasi tutti i fattori della coagulazione sono prodotti dalle cellule del fegato ad eccezione del fattore VIII e del fattore di von Willebrand; inoltre la vitamina K, essenziale per l’attivazione di questi fattori, viene immagazzinata a livello degli epatociti. Oltre alla carenza di fattori della coagulazione, la tendenza al sanguinamento negli epatopatici sembra associata anche allo stato di iperfibrinolisi e/o alla trombocitopenia causata da ipersplenismo. 
Benché questi pazienti siano più suscettibili a episodi di sepsi, infezioni delle vie urinarie o polmonite, non vi sono evidenze scientifiche secondo cui necessitino di profilassi antibiotica prima di particolari manovre odontoiatriche: la scelta di un’eventuale “copertura” antibiotica viene semplicemente effettuata sulla base delle condizioni generali individuali, l’entità dell’intervento e il rischio di infezione della ferita. Le infezioni locali e il rallentamento dei processi di rigenerazione tissutale e di guarigione delle ferite sono favorite dallo stato di immunosoppressione, oltre che dalla ridotta capacità di sintesi proteica degli epatopatici.

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Gestione perioperatoria
Con la valutazione del paziente prima di un intervento odontoiatrico, l’operatore deve quantificare il grado di compromissione epatica attraverso l’anamnesi e l’esame obiettivo, ricercando la presenza di sintomi e segni sia sistemici che orali. Nel valutare la terapia medica in atto al momento della visita, come potenziale indice della gravità della malattia, va ricordato che l’assunzione di farmaci tipo rifaximina o lattulosio (per l’encefalopatia) o vitamina K (per il deficit coagulativo) sono indici di patologia avanzata. Nel caso in cui il paziente assuma, per altri motivi, farmaci anticoagulanti, risulta a rischio aumentato di emorragie incontrollabili e deve essere adeguatamente preparato.
Per i pazienti candidati a interventi di chirurgia orale caratterizzati da elevato rischio emorragico, con coagulopatia ma con una buona funzionalità epatica (per esempio in stadio A secondo Child-Turcotte-Pugh), si deve considerare la preparazione sistemica a base di vitamina K (l0 mg per os/e.v. ogni 12 ore per 24-72 ore prima dell’intervento e 48 ore dopo). La trasfusione piastrinica va riservata ai casi con piastrinopenia severa (< 50.000/mm3) candidati a chirurgia estesa. La trasfusione di plasma va riservata in caso di valori di INR e aPTT ratio > 1.8.
Durante l’intervento chirurgico è richiesta la riduzione del rischio infettivo ed emorragico mediante ridimensionamento dell’entità dell’intervento (frazionamento delle estrazioni in più sedute) e utilizzando una tecnica chirurgica ed una emostasi locale accurata.
L’utilizzo degli anestetici locali richiede attenzione. Gli anestetici locali amidici vengono metabolizzati nel fegato e hanno un rischio di tossicità che, a dosaggi bassi, è abbastanza contenuto: in ogni caso sono preferibili prilocaina e articaina che vengono metabolizzate anche in altre sedi (polmoni e plasma, rispettivamente). Negli epatopatici, il metabolismo cerebrale è alterato ed il sistema nervoso centrale risulta più sensibile: encefalopatia o coma possono venire precipitati da sedativi (tipo diazepam), ipnotici o oppioidi.
Nel somministrare gli antibiotici, bisogna ricordare che quelli ad ampio spettro d’azione potrebbero ridurre la disponibilità di vitamina K; vanno evitati metronidazolo, tetracicline e vancomicina, mentre non sono controindicati ampicillina, cefalosporine e gentamicina. Eritromicina e clindamicina, vanno impiegate con cautela.
Anche l’uso degli antinfiammatori (di cui i più diffusi sono quelli non steroidei o FANS) richiede precauzione, non tanto per la possibile epatotossicità, quanto per il fatto che possono aggravare la diatesi emorragica ed aumentare il rischio di sanguinamento gastrico nei pazienti con ipertensione portale o storia di ulcera peptica. Il paracetamolo, poiché ha epatotossicità dose-dipendente, è considerato “sicuro” a dosi fino a 2 gr/die. Il nimesulide, che in vivo non altera significativamente l’attività piastrinica e mostra un effetto antipiretico sovrapponibile al paracetamolo ed un effetto antiflogistico e antalgico superiore, può indurre un numero di ospedalizzazioni significativamente elevato in relazione ad epatotossicità. La letteratura riporta che FANS e cortisone peggiorano ascite e edemi, tuttavia il loro impiego negli epatopatici è estremamente limitato e il loro ricorso nel periodo perioperatorio deve essere considerato solo sul breve termine. Mentre per i farmaci metabolizzati tramite coniugazione si propone di mantenere immodificato il dosaggio, per i farmaci metabolizzati attraverso l’ossidazione è stato suggerito di dimezzare la dose iniziale e di modularla in base alla risposta terapeutica.

 

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L'articolo è stato pubblicato su Implant Tribune Italian Edition, marzo 2015.

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