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La modellazione 3D in chirurgia maxillo-facciale: intervista a Guglielmo Ramieri

L’utilizzo della tecnologia in campo medico e chirurgico è sempre meno una novità, eppure vale la pena fare il punto sulle incredibili opportunità offerte agli operatori sanitari e ai pazienti (Shutterstock/Maya2008).
Patrizia Biancucci

Patrizia Biancucci

mar. 9 marzo 2021

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Un percorso lungo e ordinato quello del Prof. Guglielmo Ramieri, durante il quale ha acquisito competenze scientifiche e didattiche, abilità chirurgiche associate ai più avanzati progressi tecnologici, che fanno di lui e del suo team un’eccellenza tutta italiana.

I principali campi di applicazione dell’intelligenza artificiale e della stampa 3D oggi sono la Chirurgia Maxillo-facciale, dove la modellazione 3D viene utilizzata per allineare i frammenti ossei, per trovare angoli corretti per correzioni chirurgiche e per stampare modelli 3D che possono essere utilizzati per pre-piegare piastre in titanio e altre strutture di supporto. L’Ortopedia, per realizzare guide di taglio personalizzate che si adattano esattamente all’osso del paziente. La Chirurgia Cardiaca, dove il modello stampato in 3D da una parte aiuta pazienti e familiari a comprendere meglio gli interventi chirurgici complicati, dall’altra aiuta l’intera squadra operativa e il team di assistenza post-chirurgica.

Ma veniamo al fatto. È la notte del 23 gennaio 2021 quando un ragazzo di 23 anni arriva al CTO con il viso sfigurato a causa di un grave trauma. Chirurghi e bioingegneri, appena ricevute le immagini della TAC, corrono in piena notte nel laboratorio per l’elaborazione virtuale 3D dei modelli anatomici, che poi verranno stampati in 3D, e per pianificare il complesso intervento chirurgico. Alle 7 di mattina finalmente è tutto pronto per la “ricostruzione” del volto del ragazzo da parte delle due équipe: quella di Chirurgia plastica e ricostruttiva del CTO e quella di Chirurgia maxillo-facciale delle Molinette.

Prof. Guglielmo Ramieri

Ma la vera novità è l’aver fatto tutto in estrema urgenza. Questo è quello che sottolinea il prof. Guglielmo Ramieri, medico con doppia specializzazione in Odontostomatologia e in Chirurgia maxillo-facciale, a capo del team che ha eseguito il delicato intervento. Nella sua carriera professionale Ramieri ha segnato tutte le tappe canoniche della maxillo-facciale presso l’Università di Torino: Ricercatore universitario nel 1991, Professore Associato nel 2002, Professore Ordinario nel 2018, dal 2013 Direttore Chirurgia Maxillo-facciale “Città della Salute e della Scienza di Torino”, Direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Maxillo-facciale e Direttore del Master di II livello “Chirurgia ortognatica e delle malformazioni cranio- facciali”. Un percorso lungo e ordinato, durante il quale ha acquisito competenze scientifiche e didattiche, abilità chirurgiche associate ai più avanzati progressi tecnologici, che fanno di lui e del suo team un’eccellenza tutta italiana, tanto più apprezzabile quanto meno portata all’autocelebrazione, fino ad assumere un low profile che non fa onore al grande contributo clinico e scientifico che Ramieri ha dato a questa branca chirurgica in oltre 30 anni di attività.

Prof. Ramieri, lei è Professore Ordinario di Chirurgia Maxillo-Facciale all’Università di Torino, con un team di 10 medici strutturati e 19 specializzandi. Si ritiene soddisfatto di questa squadra? E in che misura si sente riconoscente ai suoi collaboratori?
Il termine squadra si adatta perfettamente alla filosofia di lavoro di un gruppo chirurgico all’interno di un ospedale; si tratta di un gruppo di professionisti che devono riuscire ad interagire, collaborare, cooperare in maniera integrata. In questo senso ho la fortuna di dirigere un gruppo molto capace e molto coeso, formato da colleghi che sanno mettere l’interesse dei pazienti davanti alla propria soddisfazione personale, e di cui sono pienamente soddisfatto. La maggior parte dei miei collaboratori è personale universitario, e deve quindi anche riuscire ad integrare le esigenze didattiche e di ricerca con i compiti assistenziali, obiettivo non sempre facile. Il mio compito è quello di valorizzare al meglio le attitudini di ognuno di loro, di motivare i giovani e di stimolare aggiornamento e innovazione. I miei collaboratori mi ripagano con la dedizione al lavoro e l’affiatamento, e i miei studenti con la passione.

In Italia abbiamo 8 scuole di Chirurgia maxillo-facciale, ma Torino, insieme a Parma, a Verona e a Roma La Sapienza, è considerata una delle eccellenze: perché secondo lei?
Il successo di una Scuola si costruisce perseguendo nel tempo i valori della cultura e dell’innovazione. Le Scuole che lei menziona devono a questo il loro prestigio, grazie all’impostazione lungimirante dei loro fondatori. È comunque bene ricordare che tutta la Chirurgia Maxillo-facciale italiana, nel suo complesso, si colloca ad un livello alto nel panorama europeo.

Quali sono le principali aree di intervento nel suo reparto? E quali le più frequenti?
La Divisione che dirigo si occupa di tutte le branche della chirurgia maxillo-facciale, dalle piccole procedure di chirurgia orale alle più complesse patologie ricostruttive. L’attività che assorbe maggiori risorse è la chirurgia oncologica e ricostruttiva; infatti la “Città della Salute e della Scienza di Torino”, all’interno della quale siamo inseriti, rappresenta oggi uno dei maggiori poli ospedalieri del nostro Paese e concentra i casi oncologici più avanzati e complessi della Regione. Questo tipo di pazienti oncologici richiedono non solo un grande impegno in sala operatoria e l’uso di procedure chirurgiche complesse, ma anche la gestione non semplice di molte comorbidità e l’applicazione di protocolli integrati chirurgici e radiochemioterapici. Un’altra importante attività riguarda la chirurgia malformativa facciale ed ortognatodontica, per l’ampio numero di richieste di trattamento, in progressivo aumento. Il trattamento contemporaneo riguarda non solo le correzioni scheletriche e la malocclusione, ma anche le correzioni estetiche facciali, la gestione delle apnee, i problemi naso-sinusali. In passato Torino è stato il polo più avanzato per la traumatologia, che oggi è fortunatamente in calo, come in tutti i Paesi industrializzati, grazie alle azioni di prevenzione sul territorio; rimane comunque ancora un’attività di rilievo, che richiede spesso l’intervento in urgenza e che svolgiamo oggi prevalentemente presso il Presidio CTO. Inoltre ci occupiamo sempre di più di patologia dell’orbita, benigna e maligna. Infine Torino è il punto di riferimento in Italia per la sostituzione protesica dell’articolazione temporo-mandibolare, riguardo alla quale la nostra Divisione ha la più ampia casistica nazionale.

Quali ritiene debbano essere oggi i rapporti tra il Chirurgo Maxillo-facciale e l’Odontoiatra?
Le due discipline hanno origini comuni; mi piace ricordare che il prof. Remo Modica, fondatore della Chirurgia Maxillo-facciale a Torino, fu anche l’istitutore del Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria. I rapporti rimangono molto stretti, sia in ambito didattico sia sotto il profilo assistenziale. Io insegno nel CLOPD e in due Scuole di Specializzazione Odontoiatriche, e i colleghi Odontoiatri insegnano nella nostra Scuola. Inoltre nel trattamento di molte patologie è indispensabile una assidua collaborazione; ad esempio nel trattamento delle malocclusioni, delle gravi atrofie e di molte patologie intercettate dall’Odontoiatra, come i tumori o le osteonecrosi, devono essere riferite in ambito Maxillo-facciale. Ricordo anche che il Chirurgo Maxillo-facciale si trova sempre più spesso a trattare complicanze originate durante le cure odontoiatriche. Per questi motivi è quindi indispensabile un’ampia conoscenza reciproca e rapporti sempre più stretti e collaborativi.

Tornando a parlare della Scuola di Specialità, può descriverci qual è il percorso di formazione di un Chirurgo Maxillo-facciale?
Gli specializzandi di area medica sono da anni “Dirigenti Medici in formazione”. Questo vuol dire che oltre alla didattica formale che ricevono, sono completamente immersi nelle attività assistenziali che svolgono in prima persona, sotto la guida di Tutors e di Docenti. Nel caso della Chirurgia Maxillo-facciale, svolgono le attività ambulatoriali, di reparto, eseguono interventi di chirurgia ambulatoriale e di chirurgia maggiore, secondo una progressione che li porta nell’arco di 5 anni all’autonomia professionale. Partecipano inoltre alle guardie e alle reperibilità H24 e agli interventi in urgenza. La nostra Scuola si basa anche su una rete formativa che include altri presidi ospedalieri regionali, dove tutti gli specializzandi svolgono a rotazione periodi di formazione, oltre a fellowship presso Centri di Eccellenza nazionali ed esteri.

Prof. Ramieri, nei suoi progetti di ricerca sicuramente la tecnologia 3D occupa un posto prioritario: quando, da dove e con chi è nata l’idea?
L’applicazione delle tecnologie 3D alla chirurgia maxillo-facciale è una mia vecchia passione, nata all’inizio degli anni ’90, grazie alla mia assidua frequentazione del prof. Silvio Diego Bianchi, radiologo lungimirante ed eclettico, e grazie alle competenze presenti a Torino presso il Politecnico e il Centro Ricerche FIAT. Ricordo che nel 1996 scrivemmo una monografia e organizzammo un congresso internazionale sul sistema 3D in Medicina; l’argomento era davvero pionieristico al tempo. Negli ultimi 10 anni ho ripreso questo tema di ricerca, che oggi è uno degli argomenti di punta nella nostra disciplina, su nuove basi.

Perché allestire un vostro laboratorio annesso al reparto, con tanto di ingegneri all’interno del team? Quali i reali vantaggi?
Oggi la pianificazione virtuale 3D e la produzione di dispositivi chirurgici customizzati mediante “additive manufacturing” è offerta da molteplici industrie del settore biomedicale ed è entrata nella prassi quotidiana in chirurgia. L’idea innovativa su cui lavoro da circa 3 anni, in collaborazione con il Politecnico di Torino, è di portare la progettazione e parte della produzione all’interno dell’ospedale, avendo acquisito non solo i programmi e le stampanti, ma anche gli ingegneri all’interno del gruppo. I vantaggi sono molteplici: innanzitutto culturali, perché la possibilità di lavorare quotidianamente insieme sui casi, e di sperimentare insieme le diverse applicazioni nella realtà chirurgica, è sia per i chirurghi sia per gli ingegneri il modo migliore per scambiare le reciproche conoscenze e crea una grande sinergia. Tutto questo favorisce l’innovazione e ci ha già permesso di ideare nuove strategie e depositare 2 brevetti. Inoltre in questo modo la “filiera” della produzione 3D diventa molto più economica e molto più rapida, potendo dunque essere applicata ad un numero sempre maggiore di casi.

L’utilizzo delle tecnologia in chirurgia maxillo-facciale, come il navigatore per gli interventi, i mini-robot, i supporti tridimensionali, il software di riconoscimento intelligente e altri, migliora di certo i risultati sul paziente. Ci sono altri vantaggi in termini di gestione da parte dei giovani chirurghi, consulenze in remoto, fare rete tra i vari centri specialistici in Italia, e magari non solo?
L’insieme di queste nuove tecnologie ha il grande pregio di migliorare la pianificazione e ridurre il bisogno di improvvisazione durante l’intervento; inoltre questa pianificazione è facilmente condivisibile. Tutto questo ha molteplici effetti positivi all’interno del gruppo di lavoro: ad esempio ha una grande valenza didattica. Inoltre, la ricaduta benefica durante gli interventi, in termini di maggiore precisione, riduzione degli imprevisti e delle complicanze, minore stress, si osserva particolarmente sui giovani chirurghi con minore esperienza. In uno studio effettuato sull’accuratezza della ricostruzione dell’orbita fratturata, ad esempio, abbiamo potuto misurare una significativa riduzione della variabilità dei risultati grazie all’introduzione del navigatore, grazie al miglioramento delle performance dei chirurghi “Junior”. Un prossimo sviluppo potrà essere rappresentato proprio dalla condivisione anche a distanza: ai fini della diagnosi utilizziamo già da alcuni anni un sistema per la tele-consulenza in traumatologia verso i presidi ospedalieri più piccoli della Regione Piemonte, ma lo scenario che immagino per il futuro è rappresentato da una sala operatoria che, grazie alla realtà aumentata ed alle tecnologie digitali, veda sempre di più condivisione in tempo reale, anche da remoto. È un progetto, ma non credo irrealistico, immaginare fra non molto tempo una equipe chirurgica a cui partecipino esperti in maniera “virtuale”.

Prof. Ramieri, “Ricostruito il volto di un ragazzo 23enne con la stampa in 3D” è uno dei titoli con cui lei e la sua equipe siete saliti agli onori della cronaca. Ci può dire brevemente quali sono stati i passaggi fondamentali e le tempistiche di questa grave urgenza?
L’intervento cui si riferisce, e che ha destato interesse da parte degli organi di informazione, si è giovato del laboratorio “Tecnologie 3D In-hospital” di cui abbiamo parlato. La novità è stata di aver potuto elaborare il programma dell’intervento e produrre i dispositivi individuali nell’arco di poche ore, e quindi di applicare per la prima volta queste tecnologie ad un caso traumatologico urgente. Il paziente, politraumatizzato e con fratture panfacciali, era giunto in emergenza presso il DEA del Presidio CTO della nostra A.O.U. nel pomeriggio e, contestualmente alla stabilizzazione rianimatoria ed alla diagnostica sistematica, si è attivata la programmazione virtuale della ricostruzione facciale. Chirurgo ed ingegnere hanno elaborato il progetto, eseguendo al computer la riduzione delle multiple fratture grazie ad appositi software, e nel corso della notte sono state prodotte e sterilizzate guide chirurgiche e placche individuali, permettendo di effettuare in urgenza, dopo poche ore dal trauma, un intervento estremamente complesso e delicato, in condizioni molto più sicure e pianificate, grazie all’ausilio di una raffinata programmazione digitale.
Si è trattato di una virtuosa sinergia tra rianimatore, radiologo, chirurgo, ingegnere e tecnologia, che fortunatamente ha sortito l’esito ricercato.

Da operatore della Sanità pubblica, come giudica la sua scelta professionale e cosa può dire ai giovani?
Come la maggior parte dei colleghi che lavorano nella Sanità pubblica e nelle Università, sono assolutamente appagato dalla scelta professionale compiuta ormai più di 30 anni fa e mi ritengo fortunato per i continui stimoli che vi ho trovato e le tante soddisfazioni ricevute. Sono anche orgoglioso di essere parte di un Sistema Sanitario che garantisce un’assistenza di alto livello secondo principi di solidarietà e di equità sociale ammirevoli. Esistono difficoltà ben note nell’affrontare questa scelta professionale, quali i lunghi tempi di inserimento lavorativo ed il divario economico rispetto ad altre possibili alternative. Tuttavia ai giovani Colleghi dico che, per chi ha passione e curiosità, il lavoro all’interno di un grande ospedale italiano rimane una bellissima professione.

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