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Con il termine di epatopatia si intendono, in senso lato, una serie di condizioni patologiche riconducibili al danno, primariamente epatocitario e/o delle vie biliari, a carico del fegato. Le epatopatie croniche, di grande interesse in ambito odontoiatrico, sia per la loro frequenza che per il loro impatto in termini di potenziali complicanze, sono caratterizzate da un processo infiammatorio che persiste per almeno 6 mesi.
Nella pratica clinica, la diagnosi è formulata quando si osserva l’incremento, protratto nel tempo, dei segni bioumorali di epatopatia, espressi dalle transaminasi (AST e ALT). In questa semplice definizione sono in genere comprese forme di diversa eziologia e severità che rimangono a lungo asintomatiche prima di manifestarsi clinicamente. Nella maggior parte dei pazienti, infatti, il danno progredisce in forma silente per anni (sia in caso di epatite cronica che di evoluzione di questa in cirrosi compensata), e solo dopo la distruzione di gran parte del parenchima epatico si raggiunge lo scompenso d’organo ed insorgono segni e/o sintomi. Tale condizione è generalmente compatibile con la cirrosi scompensata. Quindi, nella storia naturale dell’epatopatia vi è una prima tappa con disordine anatomico dell’architettura epatica e, una seconda, caratterizzata da deficit della sintesi e incremento della pressione portale.
Nell’ambito odontoiatrico e di chirurgia maxillo-facciale è cruciale essere a conoscenza dell’epatopatia, classificarla in termini prognostici per prevenire le complicanze e gestire in maniera appropriata tutte le manovre legate all’operatività sul cavo orale. Ovviamente, è scontato l’alto livello di prevenzione della trasmissione di agenti infettivi da mantenere, per la protezione sia degli altri pazienti che dello stesso operatore sanitario. In linea generale, è appropriato trattare il paziente con epatopatia cronica non evoluta in cirrosi (documentata dall’ecografia dell’addome superiore e da esami che dimostrino sintesi epatica conservata e piastrine nella norma) o con nota cirrosi compensata, in sede extra-ospedaliera, mentre la gestione ospedaliera deve essere riservata ai pazienti con cirrosi scompensata (stadi B o C secondo la classificazione di Child-Turcotte-Pugh in seguito descritta) o cirrosi compensata, ma con peculiarità tipo piastrinopenia o pregressi episodi di scompenso (Tab. 1). In quest’ultimo contesto è fondamentale la quantificazione del rischio peri-operatorio.
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