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L’avvento della tecnologia tridimensionale nella Chirurgia Maxillo-Facciale: intervista ad Alberto Bianchi

Caso Clinico 3DBO e immagine dott. Alberto Bianchi

mer. 6 novembre 2013

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Proposta per un corso di alta formazione a Bologna, una chirurgia a stretto contatto con altre specialità: dalla chirurgia plastica alla Neurochirurgia, fino all’Odontoiatria.

Nell’Unità Operativa di Chirurgia Maxillo-Facciale del Policlinico S.Orsola-Malpighi vengono diagnosticate e trattate le lesioni della mucosa del cavo orale che potrebbero evolvere in patologie tumorali. Viene inoltre prestata molta attenzione alla patologia delle ghiandole salivari maggiori e minori sia per quanto riguarda le malattie di origine infiammatoria che quelle di natura neoplastica. L’Unità Operativa è un centro che si avvale delle più moderne tecniche di ricostruzione microvascolare, necessaria per ripristinare al meglio la componente funzionale ed estetica del volto, grazie alla proficua collaborazione con l’U.O. di Chirurgia Plastica. Il centro è all’avanguardia nello studio della patologia malformativa sia dell’età pediatrica che dell’adulto. Vengono trattate malformazioni cranio-maxillo-facciali congenite complesse, come ad esempio sindrome di Pierre-Robin e sindrome di Treacher-Collins-Franceschetti. Mentre per quanto riguarda le malocclusioni dento-scheletriche dell’adulto l’Unità Operativa è tra i centri europei più avanzati nello studio tridimensionale del problema. Nell’Unità Operativa vengono effettuate le ricostruzioni post traumatiche della faccia sia in urgenza, che come ricostruzioni secondarie, differite rispetto all’epoca del trauma. Lo sviluppo del 3D riguarda ormai la chirurgia di tutti i distretti corporei; in particolare lo sviluppo delle tecnologie di acquisizione delle immagini in modalità tridimensionale ha permesso di analizzare e studiare la struttura anatomica del volto, di simularne gli atti chirurgici ed il loro esito. La simulazione chirurgica basata sui sistemi informatici permette al chirurgo di operare su una rappresentazione virtuale del paziente e di predire il risultato dell’intervento reale. Una tematica che verrà approfondita dal Corso di Alta Formazione “Il trattamento ortodontico – chirurgico delle dismorfie con tecnologie 3D”: che prenderà il via a Bologna il prossimo 24 gennaio, curato dal dott. Alberto Bianchi.

Buongiorno Dott. Bianchi. Iniziamo con un po’ di storia…
Il grande cambiamento è iniziato già nel corso degli anni ottanta, con l’avvento delle Tac e, a seguire, della risonanza magnetica, che hanno permesso di ricostruire tridimensionalmente delle immagini attraverso scansioni ripetute, come se si trattasse di tante fette. Poi abbiamo assistito a un’esplosione delle tecnologie e dell’informatica e soprattutto, nell’ultimo decennio, si è introdotta la cone beam a basso dosaggio (Cbct - Cone beam computed tomography), importante proprio per discipline come la chirurgia maxillo-facciale e l’odontostomatologia. È una tomografia computerizzata a raggio conico ed è stata realizzata in Italia, in un laboratorio di ricerca di Verona: sostanzialmente permette l’estensione in modo diffuso delle immagini Tac, che possono essere ricostruite a livello informatico, arrivando a una vera tridimensionalità. In contemporanea, il concetto è stato esteso pian piano anche alle altre strumentazioni diagnostiche, per cui oggi abbiamo ricostruzioni tridimensionali da immagini di risonanza magnetica ma anche fotografiche. Questo è particolarmente utile per il chirurgo maxillo-facciale, in quanto il volto è una struttura anatomica unica e rappresenta la nostra identità morfologica. I nostri pazienti che hanno una menomazione per l’asportazione di una neoplasia oppure un esito di trauma o una grave malformazione del volto – sono i tre grandi capitoli della chirurgia maxillo-facciale – inevitabilmente portano sul proprio volto la stigmate del problema sanitario che li ha colpiti. Pertanto l’aspetto identificativo e quindi di immagine è estremamente importante. L’altro capitolo che si è sviluppato in questi anni è la cefalometria. Gli ortodontisti che programmano gli spostamenti dentali, fino a qualche anno fa usavano solo immagini in due dimensioni, quella radiografica era in realtà era un’immagine proiettata e quindi le misurazioni erano necessariamente in gran parte errate. La possibilità di studiare immagini tridimensionali e acquisite tridimensionalmente ha fatto sì che si sia sviluppata una cefalometria tridimensionale e un’antropometria tridimensionale.

La modalità di lavoro cambia radicalmente : abolita la presa delle impronte tradizionale?
L’ultimo ingresso nel mondo del 3D sotto l’aspetto diagnostico è l’impronta digitale. Oggi è possibile la digitalizzazione dei modelli in gesso o addirittura la scannerizzazione diretta del cavo orale, dell’arcata dentale, evitando completamente l’impronta. Questa è forse l’ultima novità e cambia completamente la modalità di lavoro: l’odontoiatra invia direttamente al laboratorio odontotecnico, che si è anch’esso informatizzato, soltanto il file della scannerizzazione. Siamo ora in grado di costruire una neoprotesi o delle neoplacche ricostruttive direttamente calzanti sulla forma dentale o ossea nella bocca del paziente.

Come interviene il chirurgo sul paziente dismorfico che si presenta al Sant’Orsola di Bologna all’Unità Operativa di Chirurgia Orale e Maxillo-Facciale?
Il chirurgo riceve il paziente inviato dall’ortodontista prima ancora di iniziare il trattamento ortodontico preparatorio all’intervento, e richiede subito uno studio cone beam ct, in cui i dati vengono acquisiti secondo un modello internazionale standard, il dicom (Digital imaging and communications in medicine). Si hanno così le immagini dello scheletro e dei tessuti molli A questo punto noi inviamo il paziente al nostro laboratorio 3D dove è presente un’apparecchiatura costituita da sei macchine fotografiche poste su un supporto metallico e collegate a un computer. In un istante vengono acquisite sei immagini che il computer ricostruisce e da cui produce un file fotografico tridimensionale. Non sono immagini statiche, ma manipolabili: al computer si possono ingrandire, traslare, ruotare, si può simulare il movimento del capo del paziente. Anche sotto il profilo della comunicazione sono enormemente importanti e ci permettono di parlare con l’ortodontista che ha le stesse immagini sul proprio computer. Le immagini scheletriche, dei tessuti molli e fotografiche possono essere sovrapposte e si ottiene un frame tridimensionale che va dall’osso, ai denti, fino alla cute e all’aspetto esteriore del volto. Sulla base di queste immagini possiamo programmare la chirurgia con una diagnosi estremamente potenziata e con la possibilità di ottenere una grande accuratezza.

Il miglioramento tecnologico produce risultati clinici migliori?
Certamente sì. I progressi sono stati per certi aspetti culturali, nel senso che finalmente non lavoriamo sulle ombre degli oggetti date dalla rappresentazione bidimensionale ma sulla realtà. Nel planning dentale, quella che si chiama la segmentazione delle strutture, l’ortodontista può oggi – e qui siamo veramente all’oggi, perché è una novità degli ultimi mesi – simulare il movimento ortodontico, ma non semplicemente sul modello, quello che si chiamava il setup. Si riesce a simulare tridimensionalmente lo spostamento radicolare, analizzando per esempio un movimento ortodontico di torsione di un elemento e verificando se potrebbe provocare la fenestrazione dell’osso, uno dei grandi problemi dell’ortodonzia degli adulti. Siamo dunque al setup virtuale dei denti. Finora l’ortodontista lavorava quasi in diretta e in modo empirico, mentre ora è possibile la programmazione virtuale in 3D dello spostamento dentale. Dopo diagnosi e programmazione, siamo dunque al terzo capitolo.

Accuratezza Intraoperatoria : Il navigatore intraoperatorio?
Il panorama fin qui tracciato sarebbe parziale se non si tenesse conto dell’ultimo punto: la parallela introduzione di metodiche di accuratezza intraoperatoria. La vera forza per il chirurgo è che tutti questi dati, tutto questo planning, è disponibile sul computer presente in sala operatoria. È il navigatore intraoperatorio, utilizzato anche da neurochirurghi e ortopedici: finché non abbiamo ottenuto la posizione scheletrica dataci dal planning, dall’immagine che vediamo, non fissiamo le ossa con i mezzi di osteosintesi – placchette di titanio – Questo è veramente il completamento del cerchio. Riuscire a lavorare nella tridimensionalità su tutti gli aspetti fino al controllo intraoperatorio. Questo percorso circolare dal plannning al controllo intraoperatorio permette oggi di ottenere un’accuratezza intraoperatoria che va tra l’85 e il 90%. La nostra équipe raggiunge, con il navigatore, un’accuratezza vicina al 90%, mentre senza questo strumento l’accuratezza era intorno all’80%.

Il problema dell’esposizione alle radiazioni?
In strutture delicate come quelle del volto, un aspetto di particolare importanza è quello dell’esposizione alle radiazioni. La cone beam è un’indagine a impatto radiogeno molto inferiore rispetto alla Tac standard (Msct - Multislice computed tomography). Pur con un discorso approssimativo, anche in letteratura si afferma che lo studio dei mascellari con la cone beam comporta una radioesposizione di circa un quinto rispetto alla multislice. Ma bisogna precisare che negli ultimi anni la cone beam è molto cambiata, sono stati introdotti molti modelli, ce ne sono alcuni che fanno un solo distretto; nel mondo dell’implantologia ormai si riesce a sezionare una emiarcata oppure un solo settore, mentre le Cbct utilizzate dai chirurghi maxillo-facciali devono utilizzare il massimo Fov (field of view), ossia la massima esposizione, perché interessa visualizzare tutta l’orbita fino al mento. Nel frattempo, anche le multislice si sono evolute e diffuse; le si utilizzano per tutto il corpo e forniscono un’accuratezza di immagine superiore alla cone beam». Molti produttori di multislice, come la General Electric o la Kodak, hanno cercato di diminuire la radioesposizione delle multislice, ma anche quella con il controllo di radioesposizione più accurato comporta un impatto radiogeno più che doppio rispetto alla cone beam. La superiore esposizione alle radiazioni viene però accettata in alcune situazioni: per esempio in caso di tumori, perché l’utilizzo di una maggiore radiazione finalizzata all’accuratezza della diagnosi si associa a un rapporto rischio beneficio favorevole; lo stesso vale in caso di trauma cranio-facciale dove per esempio interessa vedere anche la parte encefalica, laddove la cone beam non ha un’estensione sufficiente per studiare il cervello ed è utilizzabile soltanto per le piccole dimensioni.
Quindi nell’adulto, per gli interventi che interessano l’odontoiatra e il chirurgo maxillo-facciale, come le patologie di chirurgia ortognatica, la patologia endodontica avanzata o la malocclusione ortodontica, escludendo tumori e traumi, ormai la letteratura impone la cone beam.
Noi a Bologna conosciamo bene queste problematiche perché nei primi anni 2000, a seguito di una ricerca iniziata negli anni novanta condotta in collaborazione tra i ricercatori dell’Ospedale Sant’Orsola e dell’Università di Bologna, portammo alla letteratura internazionale delle ricerche che prevedevano la simulazione del risultato estetico sui tessuti molli; era uno dei primi lavori di simulazione, che mostrava come si spostano i tessuti molli del volto in funzione dello spostamento scheletrico. Allora utilizzammo la multislice ad alto impatto radiogeno e, quando lo studio venne pubblicato sulle principali riviste americane, tutti furono molto impressionati da immagini mai viste prima, ma inevitabilmente dubitavano che quelle tecniche fossero applicate al paziente. Contemporaneamente abbiamo però avuto la fortuna di assistere all’esplosione della cone beam che ne ha permesso un’applicazione clinica, poiché offre una sufficiente accuratezza, evitando grandi radioesposizioni.

Il Corso di Alta Formazione?
Il trattamento ortodontico – chirurgico delle dismorfie con tecnologie 3D”: è il titolo di un corso di alta formazione che prenderà il via a Bologna il prossimo 24 gennaio e che si articolerà in sei incontri di due giorni l’uno. Il corso si rivolge agli ortodontisti e ai chirurghi maxillo-facciali e ha l’ obiettivo di formare le competenze per la gestione dei trattamenti ortodontico-chirurgici con le nuove tecnologie 3D. Il corso affronterà le dismorfie, ossia le malocclusioni dento-scheletriche non correggibili soltanto con il trattamento ortodontico, in quanto il malposizionamento dei denti è dovuto al fatto che l’osso sottostante, il mascellare, la mandibola o entrambi, sono cresciuti in modo anomalo, generando un’iperplasia oppure un’ipoplasia, sui vari piani dello spazio. Siamo dunque in quel capitolo della chirurgia maxillo-facciale che è chiamato chirurgia ortognatica. Il percorso formativo prevede sia lezioni teoriche, in cui verranno descritte le tecnologie 3D utilizzate in ortodonzia e in chirurgia maxillo-facciale, sia esercitazioni pratiche in cui verrà mostrato il loro diretto utilizzo sul paziente.
Il direttore del corso è il professor Claudio Marchetti, mentre i responsabili della didattica sono il dottor Marco Pironi per la sezione ortodontica e il dottor Alberto Bianchi per la sezione chirurgica, rappresentanti della tradizione bolognese e dell’eccellenza dell’Unità Operativa di Chirurgia Orale e Maxillo-Facciale del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, che si occupa da tempo dello studio e della cura delle principali patologie che interessano il distretto facciale.
 

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