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Adeguatezza della formazione odontoiatrica e tutela della salute: i punti principali della ricerca Eures

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Eures - FNOMCeO

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mer. 10 dicembre 2014

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A Roma in sede Enpam è stato presentata alla stampa la ricerca compiuta da Eures (Ricerche Economiche e Sociali) su iniziativa di CAO/FNOMCeO sulle condizioni concrete di lavoro dei giovani odontoiatri in Italia. Ne diamo una sintesi, soffermandoci sui punti salienti.

Tra il 2012 e il 2013 il tasso di occupazione dei laureati in odontoiatria ad un anno dal conseguimento del titolo è passato dal 70,1% al 63,1%, un calo confermato anche dai dati relativi agli ultimi 5 anni (-7,2 punti a fronte di -5,8 per i laureati in medicina e -13,8 per quelli delle altre Facoltà). A tre anni dal conseguimento della laurea il tasso di occupazione raggiunge il 90,9%, con un calo di 1,3 punti percentuali rispetto al 2010. Tra i neo-odontoiatri che lavorano a un anno dalla laurea, la maggioranza (61,8%) svolge un’attività autonoma, il 2,4% un’attività subordinata a tempo indeterminato. Svolge un lavoro intermittente il 26,3 per cento con contratti di collaborazione, formativi, parasubordinati, ecc, mentre il 9,46 per cento lavora in nero o presso terzi senza contratto.

Ad un anno dal conseguimento del titolo nel 2013 la retribuzione media risulta pari a 1.058 euro mensili (1.176, gli uomini contro 876 euro le donne) con una flessione del 7,1% rispetto al 2009 (quand’era pari a 1.139 euro). A 3 anni dalla laurea, sale a 1.568 euro (1.693 gli uomini e 1.384 le donne). In Europa l’Italia ha il maggior numero di corsi di laurea attivi in Odontoiatria (34), seguita dalla Germania (27); i corsi in Francia e nel Regno Unito (16 ciascuno) sono meno della metà mentre in Spagna è pari a 13. Pur con la pletorica offerta di sedi universitarie, i laureati italiani in Odontoiatria sono stati meno di 800 nel 2012. Nessun corso di laurea italiano si allinea agli standard europei: il valore più elevato è a La Sapienza di Roma (57 laureati nel 2012/2013) seguita da Bari e Milano (49), mentre le più forti criticità si registrano nelle 6 Università che “licenziano” meno di 15 laureati l’anno: Ferrara (14), Foggia (12), Catanzaro e Parma (11), Pisa (10) e Perugia (solo 4 laureati nel 2012/13).

Dati il costo della formazione universitaria pubblica e la difficoltà di mantenere idonei standard qualitativi per i corsi di laurea, è d’uopo una riflessione sulla sostenibilità di un sistema così frammentato. Il costo medio della formazione universitaria sostenuta dallo Stato si aggira attorno ai 30 mila euro (24 milioni complessivi per Odontoiatria). Una spesa analoga si stima a carico delle famiglie (23 mila euro per formare in 6 anni uno studente universitario in sede e 50 mila per i “fuori sede”): una cifra che può rappresentare un criterio selettivo a priori (nel 69,9% dei casi gli studenti di Odontoiatria vivono in un contesto socio-economico elevato). L’86,5% dei docenti e l’87,8% degli studenti condivide l’esigenza del numero programmato per regolare l’accesso ai corsi di laurea in Odontoiatria (per gli studenti “perché serve a garantire maggiori spazi di mercato”, per i docenti “perché garantisce una migliore formazione/didattica”).

Solo il 5,6% dei docenti e il 7,4% degli studenti ritiene che l’attuale selezione basata su un test di cultura generale riesca a premiare i migliori. Tra i preferiti il ”modello tedesco” (curriculum + test specifici di medicina e odontoiatria) auspicato dal 38,9% dei docenti e dal 27,2% dagli studenti. Il 98,% degli studenti e il 71,4% dei docenti ritiene che esistono distorsioni in tutte le fasi del “ciclo di vita” universitario ed in particolare durante gli esami universitari (per il 25,7% dei docenti) o nei percorsi di carriera universitaria (per il 30,7% degli studenti), ovvero in quelle fasi del “ciclo formativo” gestite esclusivamente dall’Università.

Il numero programmato riscuote adesioni ma la valutazione dell’esame di abilitazione è opposta: è infatti “bocciato” da oltre i due terzi dei docenti (67,5%) che lo ritiene poco selettivo non costituendo un reale ostacolo per i giovani che hanno affrontato positivamente il percorso di studi universitari o “superfluo” in quanto duplicato della verifica della formazione posta in essere dal percorso di studi universitari. Occorrerebbe quindi una totale revisione dello strumento, considerato un’inutile, ulteriore barriera all’ingresso nella professione.

La selezione attraverso il test di cultura generale oltre a non premiare i migliori genera un ritardo nel percorso formativo. Solo un terzo riesce a immatricolarsi appena diplomato (317 gli “immatricolati puri” sui 1.108 iscritti al 1° anno nel 2013/14), avendo intrapreso altri percorsi nell’attesa di seguire il proprio obiettivo formativo. In base al vecchio Ordinamento con durata 5 anni, l’età media alla laurea degli odontoiatri risulta pari a 26,5 anni (avendo nel 12,1% dei casi ritardato l’ ingresso all’Università di oltre 2 anni e nel 31,4% provenendo da altre Facoltà). Il prolungamento del corso a 6 anni lascia presupporre un ulteriore allungamento dell’età media alla laurea, stimabile attorno ai 27,5 anni.

Contrariamente al quadro idilliaco della formazione universitaria tracciato dai docenti Italiani, nessun docente straniero cita un Ateneo italiano come eccellenza formativa in Europa. Nonostante i docenti collochino il proprio corso “in linea con gli standard nazionali” nel 50,5% dei casi e “al di sopra” nel 45,1%, studenti e neolaureati denunciano numerose criticità nel sistema formativo: in primo luogo l’inadeguatezza degli strumenti didattici (bocciati con voto scolastico pari a 5,1), insufficienti competenze in materie pratiche e specialistiche (voto: 5,4) e nella conoscenza e pratica di tecniche innovative (5,2).

Significative sono le differenze territoriali, risultando le valutazioni espresse dagli studenti del Nord superiori a quelle dei loro colleghi del Centro Sud. In attesa di verificare gli effetti professionalizzanti del 6° anno del corso di laurea, il quadro attuale evidenzia una inadeguatezza dei corsi nel formare professionisti in grado di inserirsi nel mercato senza ulteriori necessità formative: ben il 72,5% dei docenti e il 91,7% degli studenti ritengono infatti che, concluso il percorso di studi, i neolaureati avranno bisogno di ulteriori esperienze professionalizzanti prima di esercitare, a fronte di quote marginali convinte di esser pronte ad operare sulla salute dei pazienti.

A fronte del quadro evidenziato, appare quindi necessario un ripensamento complessivo della formazione in Odontoiatria e dei criteri di accesso alla professione attraverso la collaborazione tra diversi soggetti operanti nel settore: occorre mettere a sistema le competenze e le esperienze del mondo universitario e delle professioni, accanto alle Istituzioni, presidio indispensabile nella produzione di regolamenti e normative che mantengano la tutela della salute del paziente al centro di qualsivoglia intervento. In un settore in cui la presenza pubblica continua ad essere inferiore al 5% e destinata a rimanerlo, vista la cronica carenza di risorse, la capacità di autogoverno e valorizzazione delle professionalità e competenze, al di là della prospettiva deontologica, deve rappresentare il faro delle future azioni dei vari protagonisti del sistema.

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