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Terapia fotodinamica nelle perimplantiti: un’interessante opportunità?

M.C. Vitale, S. Rao Lo Feudo, W. Rao

M.C. Vitale, S. Rao Lo Feudo, W. Rao

mar. 20 novembre 2012

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Dati preliminari di uno studio pilota. Nell’ambito di un trattamento parodontale e/o perimplantare, la terapia causale rappresenta la prima fase, necessaria e inderogabile, e prevede la rimozione dei depositi batterici sopra e sotto gengivali.

Essa può essere effettuata secondo molteplici e differenti protocolli. Non esiste un protocollo ideale per la preparazione iniziale. Sarà, pertanto, l’operatore a valutare le condizioni cliniche, la collaborazione e l’aspetto psicologico del paziente per decidere le modalità di trattamento più consone e personalizzate sulle esigenze individuali. L’efficacia del trattamento parodontale non chirurgico dipende da vari fattori: la tecnica e la manualità dell’operatore, la selezione di strumenti congrui, la compliance del paziente, la risposta biologica individuale, etc.
Un’alta percentuale degli insuccessi, dopo strumentazione parodontale e/o perimplantare non chirurgica, è riconducibile a un’incompleta detossificazione della superficie radicolo-implantare: il laser rappresenta un tentativo tecnologicamente avanzato per contribuire a decontaminare la superficie radicolo-implantare.
Tra i vari tipi di laser, quello a diodi sembra essere particolarmente indicato.
Utilizzato secondo i protocolli suggeriti dalla letteratura scientifica internazionale, questa terapia ha un effetto battericida, dovuto all’incremento localizzato di temperatura, conseguente all’interazione laser-tessuto, e detossificante della superficie implantare, in quanto inattiva le tossine batteriche. Inoltre, il laser a diodi, interagendo con cromofori endogeni (come la melanina e l’emoglobina) dei quali il tessuto infiammato è particolarmente ricco, tende a provocare la vaporizzazione del tessuto di granulazione in modo selettivo, associato a un ridotto sanguinamento, grazie all’effetto emostatico. La riduzione e il controllo dell’infiammazione così ottenuti, facilita l’operatore nelle successive manovre di strumentazione, che rimangono, comunque, irrinunciabilmente necessarie. L’impiego del laser può essere preceduto e seguito da abbondanti lavaggi con clorexidina digluconato per una disinfezione preoperatoria e per favorire l’eliminazione di coaguli, frustoli e/o depositi residui eventualmente presenti nella tasca.
Esistono numerose proposte di protocollo per l’impiego di questa metodologia operativa: in questo lavoro abbiamo scelto di utilizzare il laser a diodi con una lunghezza d’onda di 660 nm (HELBO®TheraLite) e il trattamento terapeutico HELBO. L’ossigeno singoletto distrugge i batteri patogeni. Il protocollo terapeutico si basa sulla colorazione della membrana batterica per mezzo di molecole coloranti fotosensibili, che dal fotosensibilizzatore HELBO®Blue si diffondono nel biofilm. Successivamente, le molecole coloranti vengono attivate dalla luce del laser e trasferiscono la loro energia all’ossigeno presente a livello locale. In questo modo si produce ossigeno singoletto altamente aggressivo, che distrugge più del 99% dei batteri presenti nel biofilm. È impensabile ottenere una simile efficacia con i trattamenti tradizionali.

Struttura e funzionamento del laser
La parola laser è l’acronimo di Light Amplification of Stimulated Emission of Radiation e descrive il fenomeno per il quale alcuni fotoni sono emessi e amplificati mediante un processo d’eccitazione all’interno di una speciale struttura, chiamata “cassa di risonanza”.
Tutti i dispositivi laser hanno generalmente tre componenti fondamentali: una sorgente d’energia, un mezzo attivo e una cavità di risonanza.
La sorgente luminosa fornisce energia ed eccita gli atomi presenti nel mezzo attivo (che può essere un solido, un liquido o un gas), portandoli a un livello energetico superiore. Quando l’atomo ritorna al livello energetico iniziale, questo avviene con l’emissione di un fotone: verificandosi ciò all’interno di una cavità di risonanza provvista di due specchi a ciascuna estremità, uno completamente riflettente e l’altro semiriflettente, tale fenomeno viene amplificato. Si ha così la produzione di un fascio di fotoni che hanno stessa energia, viaggiano nella stessa direzione e nella stessa fase, producendo una luce monocromatica.
Si ottiene, così, una luce che è:

  • - Monocromatica: stessa lunghezza d’onda e stesso colore;
  • - Collimata: stessa direzione;
  • - Coerente: stessa fase.

L’energia emessa dal laser viene assorbita dai tessuti e trasformata principalmente in energia termica; il grado di assorbimento è funzione sia della struttura del tessuto (contenuto in acqua, emoglobina, smalto, dentina, polpa, ecc.), sia delle caratteristiche del laser stesso (lunghezza d’onda, potenza, dose irradiata e tempo d’irradiazione).
Per “Terapia Fotodinamica antimicrobica” s’intende l’inattivazione di microrganismi da parte di un fascio di luce coerente, collimato e monocromatico. Al fine di ottenere quest’ effetto, occorre scegliere una lunghezza d’onda specifica, che generalmente va dai 660 nm ai 980 nm e utilizzare una sostanza colorante per i batteri, sensibilizzandoli alla luce laser che, selettivamente, indurrà la loro morte mediante l’irraggiamento con una concentrazione di energia adeguata.

Background chimico/fisico

  • - Fase 1: Colorazione dei microrganismi - Fase in cui le molecole della sostanza colorante scorrono e si fissano alla parete dei microrganismi (attrazione di carica);
  • - Fase 2: Esposizione e attivazione del fotosensibilizzatore - Si tratta di una fase determinata dalle proprietà fisico-ottiche del tessuto bersaglio e dalla stimolazione delle molecole del foto sensibilizzatore;
  • - Fase 3: Decontaminazione dell’area trattata - Formazione di ossigeno allo stato di singoletto e uccisione dei microrganismi: l’esposizione e l’attivazione del fotosensibilizzatore provoca la formazione di ossigeno allo stato di singoletto e la distruzione tramite ossidazione dei lipidi della membrana cellulare e degli enzimi.

Protocollo operativo
Tra le diverse proposte presenti in letteratura, ci è parso ragionevolmente semplice ed efficace il seguente protocollo terapeutico (Figg. 1, 2):

  • - Immediatamente o dopo 1-2 giorni da una completa e accurata preparazione iniziale, si applica una soluzione sterile, pigmentata, fotoattiva, sensibilizzante i batteri, dalla base della tasca verso la corona.
  • - Il tempo di reazione richiesto per colorare i microrganismi è di 1-3 minuti.
  • - Quindi, si procede a sciacquare con acqua la zona prima di esporre ogni dente e/o impianto alla radiazione laser.
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Nel nostro studio sono stati selezionati 17 pazienti di età compresa tra i 30 e 60 anni di età, affetti da perimplantite moderata-grave con almeno 2 siti implantari con sondaggi > di 5 mm; sono stati trattati con strumentazione parodontale non chirurgica con curettes e, laddove necessario, ultrasuoni e cappette lucidanti. Questa prima fase del trattamento è stata seguita da una seconda fase nella quale veniva applicata la terapia fotodinamica.
In modo più dettagliato, il protocollo operativo può essere così schematizzato:

Prima seduta:
– Compilazione della cartella parodontale, con charting e registrazione dei sondaggi e dell’indice di sanguinamento (Fig. 3).
– Risciacquo del cavo orale con Clorexidina 0,20% per un minuto.
– Seduta d’igiene orale con strumentazione manuale non chirurgica e ultrasonica.
– Terapia Fotodinamica antimicrobica per mezzo del laser a diodi, seguita da applicazione di Clorexidina in gel nelle tasche perimplantari per mezzo di una siringa ad ago smusso.
– Motivazione del paziente all’igiene orale domiciliare (spazzolamento a rullo 3 volte al dì, scovolino imbevuto di Clorexidina nelle zone di perimplantite e utilizzo del filo interdentale 1 volta al dì).
Seconda seduta (1-3 gg. dopo):
– Risciacquo del cavo orale con Clorexidina 0,20% per un minuto.
– Terapia Fotodinamica con laser a diodi seguita da applicazione di Clorexidina gel con siringa ad ago smusso.
Terza seduta (7 gg. dopo):
– Sciacquo del cavo orale con Clorexidina 0,20% per un minuto.
– Terapia Fotodinamica antimicrobica seguita da applicazione di Clorexidina gel con siringa ad ago smusso.
Quarta seduta (15 gg. dopo):
– Sciacquo del cavo orale con Clorexidina 0,20% per un minuto.
– Terapia Fotodinamica antimicrobica seguita da applicazione di Clorexidina gel.
Quinta seduta (30 gg. dopo):
– Sciacquo del cavo orale con Clorexidina 0,20% per un minuto.
– Controllo della situazione igienica orale con rinforzo della motivazione all’igiene, se necessario.
– Terapia Fotodinamica antimicrobica seguita da applicazione di Clorexidina gel.
Sesta seduta (3 mesi dopo):
– Revisione della cartella parodontale, segnalando eventuali miglioramenti, sia a livello di sondaggio che a livello dell’indice di sanguinamento.
– Sciacquo del cavo orale con Clorexidina 0,20% per un minuto.
– Seduta di igiene orale con strumentazione manuale non chirurgica.
– Terapia Fotodinamica antimicrobica seguita da applicazione di Clorexidina gel.
– Rinforzo della motivazione all’igiene domiciliare nel caso di scarsa igiene orale.
Settima seduta (6 mesi dopo):
– Registrazione della cartella parodontale segnalando eventuali miglioramenti.
– Sciacquo del cavo orale con Clorexidina 0,20% per un minuto.
– Rinforzo della motivazione all’igiene domiciliare, qualora fosse necessario per una scarsa igiene orale.

 

Conclusioni
Entro i limiti del presente studio, tutti i pazienti trattati con questo protocollo terapeutico hanno ottenuto una riduzione del sondaggio e del sanguinamento.
In base alla revisione della letteratura, questi risultati sono presumibilmente da ritenersi dovuti al molteplice effetto che si ottiene dall’interazione laser-tessuto:

  • - Effetto decontaminante, con una notevole riduzione degli agenti patogeni che hanno indotto il processo flogistico;
  • - Effetto biostimolante di fibroblasti e osteoblasti, con un aumento della produzione di collagene e di neoformazione ossea;
  • - Effetto analgesico con diminuzione della sintomatologia dolorosa, permettendo, così, una migliore igiene orale domiciliare;
  • - Effetto antiflogistico con un’evidente diminuzione del sanguinamento delle zone interessate dal processo flogistico.
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L'articolo è stato pubblicato sul numero 4 di Implant Tribune Italy 2012.

 

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