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La terapia fotodinamica antimicrobica nel trattamento della perimplantite

Particolare Fig. 3. Detersione ed esposizione al laser HELBO® TheraLite, la formazione di ossigeno singoletto distrugge i batteri.
Dr. Freimut Vizethum

Dr. Freimut Vizethum

mar. 16 aprile 2013

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Studi longitudinali hanno dimostrato che la perimplantite, al giorno d’oggi, è la complicanza più frequente in implantologia. A causa della genesi multifattoriale e della complessa situazione della struttura, dei tessuti e del metabolismo, il trattamento della perimplantite, risulta difficoltoso e spesso non dà risultati soddisfacenti.

La terapia fotodinamica antimicrobica (aPDT), grazie alla sua efficacia e al suo carattere atraumatico, sta prendendo sempre più piede negli studi odontoiatrici, dove l’implantologia è strettamente correlata non solo a una buona preparazione ed esecuzione del lavoro, ma anche a una scrupolosa assistenza post-operatoria. 

Possibilità terapeutiche per il trattamento della perimplantite
La perimplantite riguarda oggi l’8% del numero degli impianti inseriti3;secondo altri autori nel 50% di tutti gli impianti si riscontra una mucosite perimplantare32.
Le infiammazioni perimplantari si manifestano con una maggiore profondità di sondaggio, a volte presentano una tendenza al sanguinamento intorno all’impianto e dipendono da una iperplasia del tessuto molle (pseudotasca) e/o da un riassorbimento osseo perimplantare. Dalla formazione della tasca e dall’atrofia ossea risultano delle fessure dove si depositano batteri anaerobi altamente patogeni.
I moderni sistemi implantari presentano una superficie microstrutturata, che, da un lato, viene considerata vantaggiosa per il deposito di osteoblasti, dall’altro, se rimane esposta, facilita l’accumulo di placca21. Una sufficiente decontaminazione delle superfici ruvide degli impianti è il presupposto per il successo dei processi rigenerativi10,12,16. Esami condotti sulle tasche parodontali > 6 mm hanno dimostrato però che, indipendentemente dal tipo di curettage, dal 32% al 50% della superficie radicolare continua a rimanere contaminato anche dopo una pulizia meccanica4. Problematico è il fatto che i batteri non si muovono liberamente, ma sono protetti e organizzati in biofilm strutturati in vari modi. I diversi processi di decontaminazione (mordenzatura, pulizia, rimozione della superficie microstrutturata) riducono il rischio d’infezione ma spesso escludono una rigenerazione ossea sull’interfaccia implantare.
Una serie di protocolli è stata analizzata clinicamente e con esperimenti su animali: antibiosi sistemica in combinazione con il curettage e sciacqui con soluzione NaCl20, utilizzo di apparecchi a getto di polvere e acqua2,24, combinazione di acido citrico e pulizia con Air Flow11,13, lavaggi con clorexidina29 e utilizzo del laser1,6,22.
I processi chimici, per esempio con acido citrico o acqua ossigenata, molte volte falliscono a causa del necessario rapporto dose-tempo: spesso il tempo di reazione richiesto per ottenere un sufficiente effetto battericida danneggia la capacità rigenerativa dell’osso.
Utilizzando laser ad alta energia5,14, è necessaria una notevole capacità chirurgica per orientare la luce laser anche su piccoli e profondi difetti sulla superficie: non si può escludere il rischio di modificare la superficie implantare con l’energia al laser.
La terapia fotodinamica antimicrobica, invece, rappresenta un metodo terapeutico efficiente8,9.
Con questo metodo si inserisce nella tasca perimplantare una soluzione colorante fotosensibile come fotosensibilizzatore. Nel tempo di reazione di almeno 60 secondi la sostanza colorante si diffonde nel biofilm e si deposita sulla membrana batterica. A questo punto avviene l’attivazione del fotosensibilizzatore per mezzo di una speciale sorgente di luce laser. Si formano così molecole di ossigeno singoletto, per natura forti ossidanti, che reagiscono con la membrana batterica e la danneggiano irreversibilmente7,27,28. In questo modo si ottiene immediatamente la decontaminazione del tessuto perimplantare e della superficie implantare.
La terapia fotodinamica antimicrobica viene utilizzata anche nel trattamento di infezioni da candida26, infezioni virali e nella terapia della malattia parodontale7,31. Dal 2003 è disponibile un sistema terapeutico certificato della ditta HELBO.

Il metodo HELBO
Il metodo HELBO può essere integrato, analogamente alla terapia per la parodontite, anche nel trattamento della perimplantite. Valgono le stesse indicazioni della chirurgia parodontale:
- segnali di infiammazioni visibili clinicamente, come sanguinamento al sondaggio (BOP) e profondità di sondaggio > 4 mm;
- lesioni ossee perimplantari visibili radiologicamente (difetti verticali).
Le controindicazioni sono:
- gravi malattie di base;
- abuso di nicotina e di alcool;
- scarsa compliance da parte del paziente.
La terapia si articola in quattro fasi:
Terapia iniziale
- motivazione e informazione del paziente IIO (istruzione igiene orale);
- igiene orale professionale (IOP), pulizia e lucidatura degli impianti scoperti ed eventualmente della sovrastruttura con adattamento dell’occlusione, se necessario;
- decontaminazione iniziale con la terapia fotodinamica antimicrobica (tempo di reazione di 60 sec. del fotosensibilizzatore HELBO® Blue, esposizione con luce laser per 60 sec. per pilastro, HELBO® 3D Pocket Probe, HELBO® TheraLite Laser).
Fase resettiva in presenza di un difetto osseo visibile all’indagine radiologica:
- formazione di un lembo mucoperiostale;
- rimozione del tessuto granulare;
- decontaminazione profonda con la terapia fotodinamica antimicrobica (tempo di reazione di 180 sec. del fotosensibilizzatore HELBO® Blue, esposizione con luce laser per 60 sec. per pilastro, HELBO® 2D Spot Probe, HELBO® TheraLite Laser);
- spostamento apicale della fascia dei tessuti molli (riduzione della tasca);
- lucidatura delle superfici implantari esposte.
Fase ricostruttiva:
- aumento osseo, se necessario;
- correzioni estetiche gengivali.
Recall:
- nella prima e quarta settimana dopo l’operazione; 
- a 3 e a 6 mesi dall’operazione, con decontaminazione dell’area esposta;
- anamnesi completa annuale con controllo radiologico e decontaminazione dell’area esposta, analisi batteriologica della zona trattata.

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Procedimento clinico
Se si riscontra soltanto una mucosite (limitata ai tessuti molli perimplantari senza deficit osseo), si può evitare l’intervento chirurgico. L’applicazione del fotosensibilizzatore nella tasca perimplantare avviene quindi, sondando con l’apposita canula; l’attivazione viene eseguita con HELBO® 3D Pocket Probe dell’HELBO® TheraLite Laser. Se invece si riscontra già all’indagine radiologica un’atrofia ossea, si devono rendere accessibili le aree dell’impianto e dei tessuti perimplantari dove si sono depositati i germi. Con curettage a cielo aperto si detergono meccanicamente con cura le zone contaminate e si rimuovono i tessuti granulari e l’osso infetto. L’area interessata viene detersa accuratamente e viene eseguita un’emostasi locale. Quindi si procede con l’applicazione del fotosensibilizzatore HELBO® Blue: con le canule flessibili si riescono a raggiungere anche le fessure più profonde. In caso di aree estese è possibile applicare il fotosensibilizzatore anche con una striscia di garza, che viene utilizzata per tamponare la ferita.
Nel tempo di reazione di 180 secondi le molecole coloranti penetrano nella struttura porosa della superficie implantare. Dato che la soluzione colorante presenta un assorbimento della luce estremamente elevato, al termine del tempo di reazione si risciacqua con acqua sterile. A questo punto si esegue l’attivazione con il laser per 60-120 secondi al massimo per impianto. A seconda dell’estensione del difetto è possibile applicare anche del materiale per la rigenerazione ossea. Prima di chiudere la ferita assicurarsi che vi sia sufficiente sanguinamento. Il primo giorno dopo l’operazione si esegue un controllo e si valuta la guarigione iniziale della ferita. I residui del fotosensibilizzatore vengono nuovamente attivati con il laser per 60 secondi. Dopo una settimana si tolgono i punti.

Discussione
Negli anni passati sono stati eseguiti studi dettagliati sull’effetto battericida del laser a diodi su ceppi di batteri gram negativi, pigmentati con un colore scuro1, 17-19. Rispetto a questi e ad altri metodi di disinfezione la terapia HELBO presenta alcuni vantaggi.
- A differenza dei laser ad alta energia, qui la decontaminazione avviene non per via termica. Grazie alla ridotta energia della terapia fotodinamica, l’applicazione, in occasione del recall, può essere eseguita senza l’uso di anestetici locali, poiché i pazienti non hanno praticamente né irritazioni né dolori.
- Non sono necessari disinfettanti chimici, che richiedono elevate concentrazioni e lunghi tempi di reazione.
- Per le sue caratteristiche specifiche il fotosensibilizzatore del metodo HELBO si lega in modo mirato alle membrane batteriche, la soluzione in eccesso viene poi risciacquata e la sostanza chimica rimane così completamente priva di effetti collaterali23,25,30. La sostanza colorante stessa è battericida solo in misura limitata ed è innocua per i tessuti. Le molecole coloranti assorbite hanno effetto solo dopo l’attivazione fotodinamica sulla membrana. Non può verificarsi nessun danno agli strati di tessuti più profondi, perciò non si impedisce neppure la guarigione della ferita. Spegnendo il laser si interrompe subito la reazione.
- A differenza della terapia antibiotica, qui non può verificarsi una condizione di concentrazione subcritica, che potrebbe portare allo sviluppo di una resistenza. Proprio come un catalizzatore, la struttura della molecola colorante non viene modificata dalla reazione, l’eliminazione avviene nell’ambito del metabolismo. La colorazione della gengiva è molto inferiore per esempio rispetto all’utilizzo di pastiglie rilevatrici di placca, è irrilevante dal punto di vista clinico e scompare dopo poche ore.
Per il successo clinico di questo approccio terapeutico è necessaria una complessa interazione di diversi parametri, che non può essere limitata a singoli fattori, come per esempio la lunghezza d’onda del laser. Un deposito mirato della sostanza colorante sulla membrana batterica richiede un’esatta interazione tra le caratteristiche della soluzione e le fasi terapeutiche, che deve essere comprovata dai dati corrispondenti. Il colore della soluzione fotosensibilizzante fa sempre sorgere la domanda se non sia possibile ottenere un risultato ottimale dal punto di vista clinico anche con una soluzione incolore. In linea di principio l’attivazione dei coloranti avviene con l’assorbimento della luce irradiata. Questo è il presupposto di ogni reazione fotodinamica. L’intensità della stimolazione aumenta con il numero di molecole coloranti assorbite. Una colorazione bluastra più intensa indica una maggiore efficacia. Per ottenere la colorazione e la sensibilizzazione della membrana batterica nel modo più sicuro e più veloce si deve avere un’elevata concentrazione del fotosensibilizzatore. Concentrazione e assorbimento sono direttamente proporzionali: anche la resa dell’ossigeno singoletto, rilevante per l’efficacia clinica, e la conseguente efficienza della terapia aumentano con il numero delle molecole assorbite e stimolate. Tuttavia con procedimenti diversi variano sia i principi attivi sia la loro concentrazione, quest’ultima da 1 a 0,001%. In questo modo si modificano parametri fondamentali del processo e i risultati clinici non sono sempre comparabili. Basse concentrazioni di colorante indicano solo una minore efficacia di attivazione ed eventualmente un’insufficiente diffusione nel biofilm. Non è ancora provato scientificamente se ciò possa essere compensato per esempio con un prolungamento del tempo d’esposizione. Riassumendo, si può constatare che la terapia fotodinamica antimicrobica si è nel frattempo affermata per il trattamento della perimplantite.

La bibliografia è disponibile presso l’Editore.

L'articolo è stato pubblicato sul numero 1 di Hygiene Tribune Italy 2013 

 

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