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Impianti post estrattivi in siti infetti: un approccio clinico predicibile

Particolare della Fig. 6. Posisione implantare nelle zone estetiche.
V. Ferri, F. Gelpi & G. Cannizzaro, Italia

V. Ferri, F. Gelpi & G. Cannizzaro, Italia

gio. 31 gennaio 2013

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Introduzione La guarigione del sito alveolare post estrattivo è un processo biologico che induce un parziale riassorbimento dell’osso alveolare. La letteratura è concorde nello stabilire che le principali alterazioni avvengano precocemente, già nelle prime 8 settimane, e che si assista ad una riduzione maggiore della corticale vestibolare rispetto a quella palatale. La riduzione dello spessore (dimensione orizzontale) della cresta alveolare è quindi maggiore rispetto alla riduzione dell’altezza (dimensione verticale).

Alla fine degli anni ’80 si è cominciato a pensare che l’inserimento di impianti post estrattivi potesse mantenere il profilo dei tessuti molli, preservare la dimensione ossea, ridurre al minimo il periodo di edentulia e il tempo totale del trattamento.
L’impianto post estrattivo, in effetti, rappresenta oggi una risposta clinica soddisfacente sia all’esigente richiesta estetica del paziente sia alla necessità di contrazione dei tempi tecnici e biologici1.
Spesso, però, gli elementi dentali non più mantenibili mostrano processi infettivi periapicali e/o malattia parodontale, che alterano la morfologia dell’alveolo originario.
La gravità e la tipologia di tali alterazioni guidano il clinico nella scelta di posizionare un impianto immediatamente dopo l’estrazione o di rimandarne il posizionamento dopo aver ricostruito l’osso perso.
La letteratura e le esperienze cliniche inducono a pensare che ogni singolo sito infetto richieda una valutazione pre-operatoria, clinico-radiografica, che consideri tutte le variabili anatomiche e morfologiche del sito estrattivo, al fine di ottenere un risultato predicibile, ripetibile e favorevole sia dal punto di vista estetico che funzionale.
Questo elaborato intende elencare le variabili prognostiche di un sito infetto post estrattivo nella terapia implantare alla luce delle esperienze cliniche riportate in letteratura.

Analisi critica dei dati clinici e di letteratura
Ancora oggi, a fronte di alcuni articoli che sconsigliano il posizionamento implantare in sito infetto2,3, abbiamo una serie di lavori che evidenziano l’alto tasso di sopravvivenza sempre nei siti infetti.
In uno studio randomizzato prospettico del 2006, Lindeboom ha riscontrato un tasso di successo del 92% per impianti singoli post estrattivi in sito infetto a carico immediato4. Tale esperienza rappresenta il primo studio controllato circa l’infettività del sito implatare.
Anche Novaes5 riferisce della prognosi favorevole del sito endodonticamente infetto se opportunamente decontaminato e pulito, mentre Grenthe6 riporta come un impianto a carico immediato dopo estrazione per frattura radicolare presenti un tasso di successo maggiore rispetto a quello di un dente parodontalmente compromesso.
Lindeboom4 sostiene inoltre che il sito infetto non presenta un tasso di complicazioni maggiore rispetto a quello non infetto.
Il tipo di lesione (endodontica, parodontale, traumatica) determina l’esito di guarigione dell’alveolo post estrattivo. Infatti la morfologia ossea del sito infetto ricevente è determinata dalla posizione in cui l’evento infettivo ha agito in funzione della durata.
Il naturale processo riparativo post estrattivo normalmente gestisce il residuo tessuto infetto, ma così come l’infezione aumenta l’attività infiammatoria essa anche può comportare un aumento del riassorbimento osseo con conseguente incremento di rischio di fallimento implantare. La presenza di tessuto di granulazione in un alveolo dentale infetto deve essere considerato come una risposta infiammatoria ai batteri. Tale tessuto di reazione protegge l’osso da un insulto batterico e se accuratamente rimosso lascia emergere tessuto sano e risanato. Tale approccio unitamente alla somministrazione di antibiotico prima dell’estrazione concorre a controllare la quantità di tessuto infiammatorio causa di riassorbimento osseo. L’applicazione topica di dexametasone glucocorticoide sembra ridurre ulteriormente il riassorbimento osseo prevenendo l’attivazione osteoclastica e macrofagica7-9. Pertanto, la somministrazione topica di antinfiammatorio nel sito implantare può potenzialmente ridurre il decadimento di stabilità durante il processo di guarigione. Questo vale soprattutto nel mascellare superiore dove qualità e quantità ossee sono notoriamente più scarse e dove l’esigenza estetica del paziente è maggiore.
Solitamente due terzi della riduzione ossea si registrano entro i primi 3 mesi dall’estrazione10.
Alcuni studi11 hanno indicato come l’inserimento implantare post estrattivo sia fallito nel tentativo di compensare il fisiologico riassorbimento osseo, che comunque si registra nelle pareti ossee alveolari e in particolar modo in quelle buccali. Sicuramente, la chirurgia flapless può ridurre il rimodellamento osseo e preservare il letto microvascolare con mantenimento tissutale nella regione della papilla. Ovviamente l’assenza di una corticale buccale, tipico delle lesioni parodontali croniche, impone oltre all’inserimento della fixture anche l’applicazione di osso autologo o di suoi sostituti al fine di ricoprire le spire esposte e ridurre il rischio di esposizioni metalliche nel tempo12. L’obbligatorietà di elevare un lembo per introdurre tali biomateriali e l’utilizzo di membrane è oggi argomento di forte discussione fra i clinici.
Kan13 grazie all’avvento di apparecchiature CBCT e al loro basso dosaggio, ha potuto apprezzare l’anatomia dei denti frontali superiori rispetto alle due corticali, formulando così una classificazione della posizione sagittale della radice nell’alveolo (SRP); osservando la posizione della radice dentale rispetto alle corticali buccale e palatale, si ha un’indicazione o controindicazione all’impianto post estrattivo nel mascellare superiore, unitamente a una serie di precauzioni tecniche da attuare secondo un protocollo clinico molto rigoroso.
La classificazione SRP (Sagital Root Position) si suddivide in quattro classi (Fig. 1):
_ I classe: la radice impatta la corticale buccale;
_ II classe: la radice è centrata all’interno dell’alveolo senza avere alcun ingaggio con le corticali vestibolare e palatale nel terzo apicale;
_ III classe: la radice è posizionata contro la corticale palatale;
_ IV classe: almeno 2/3 della radice ingaggiano entrambe le corticali.

La corticale palatale è più spessa e rappresentata rispetto alla controparte labiale.
Nella I classe SRP l’impianto ingaggia la corticale palatina assicurando la stabilità primaria, mentre la corticale buccale rimane intatta. Il gap impianto-corticale buccale viene riempito con biomateriale, così da mantenere verticalmente e orizzontalmente le volumetrie ossee. Nello studio, Kan riporta una frequenza dell’81,1% di classe I su 600 campioni. Ciò indica che solitamente l’impianto post estrattivo statisticamente è possibile e predicibile con i dovuti accorgimenti.
La II classe è presente nel 6,5% dei casi studiati. Tale condizione clinica permette il posizionamento impiantare con buona stabilità primaria solo se presente buon osso apicale, e induce il clinico a fare estrema attenzione nella scelta del diametro impiantare. Diametri troppo larghi stresserebbero le corticali alveolari (soprattutto quella vestibolare) inducendone il riassorbimento.
La III classe ricorre solo nello 0,7% dei casi. In questi casi l’impianto dovrà trovare stabilità primaria nella porzione apicale dell’alveolo, qualora non sia stato distrutto da processi infettivi. Se si ricercasse un ancoraggio nella porzione buccale dell’alveolo, con l’utilizzo ad esempio di impianti di largo diametro, la possibilità di un riassorbimento della corticale vestibolare sarebbe molto probabile, con conseguenti antiestetismi.
La IV classe comprende l’11,7% dei casi, e l’osso residuo post estrattivo non assicura la possibilità di inserire un impianto post estrattivo. In questi casi, un innesto osseo preventivo è richiesto prima dell’inserimento della fixture.
Anche Januario14, in un suo studio condotto con CBCT, ha stabilito come spessore e dimensione del piattello corticale buccale e palatale siano strettamente in funzione della dimensione e inclinazione della radice. Infatti in letteratura non è mai stato calcolato e misurato lo spessore della corticale buccale nella pre-maxilla.
L’inserimento di un impianto in alveolo post estrattivo non riduce il riassorbimento della parete buccale che è esclusivamente influenzato dal suo stesso spessore. Januario, infatti, riporta che più del 75% delle pareti buccali è di spessore inferiore al millimetro e più del 70% è inferiore/uguale a 0,5 mm (Fig. 2).
Già nel 1967 Pietrokovski e Massler15 riportarono che la perdita orizzontale della parete buccale nel mascellare, successiva all’estrazione, ammontava a 3-3,5 mm. Partendo da questa constatazione, Januario è giunto a concludere che, successivamente a un’estrazione dentale, un ulteriore riassorbimento di 2 mm potrebbe coinvolgere l’intero processo alveolare marginale durante il processo di guarigione.
In base a questa serie di considerazioni, l’importanza di un protocollo operativo rigido risulta imprescindibile.
Casap16 riconduce il successo implantare post estrattivo in sito infetto alla decontaminazione dell’alveolo ricevente, secondo le linee guida di un protocollo tecnico-chirurgico.
Lindeboom4 ricorre a un protocollo di approccio clinico che annovera, oltre alla decontaminazione del sito infetto, anche la somministrazione farmacologica di clindamicina, mentre Villa17 riporta anche l’impiego di glucocorticoide topico nel modulare il tessuto infiammatorio.
Comunque, tutti questi protocolli sfruttano anche i risultati della ricerca che negli anni hanno consegnato ai clinici impianti con trattamenti delle superfici sempre più performanti.
Novaes5 ribadisce la maggior affidabilità all’interno del suo protocollo degli impianti a superficie ruvida, in quanto in grado di influenzare l’osteointegrazione con una maggior apposizione ossea e superiore BIC rispetto a quelli lisci. Infatti, è risaputo come la ruvidità promuova la migrazione cellulare e la proliferazione delle cellule osteoblastiche, influenzando sensibilmente pure l’interazione con i biomateriali. In ogni caso, nei siti parodontalmente infetti ha riscontrato come gli impianti sabbiati e mordenzati sembrino presentare una performance leggermente superiore rispetto a quelli al plasma spray.
Anche la forma dell’impianto concorre al raggiungimento di risultati soddisfacenti. Del Fabbro18 propone impianti post estrattivi di diametro medio-alto e forma troncoconica per compensare i gap vestibolari del letto alveolare ricevente, solitamente di sezione non perfettamente circolare. Questi, infatti, sono preferibili rispetto agli impianti cilindrici. Inoltre consiglia l’applicazione di PRGFs per migliorare l’estetica finale associato a graft o riempitivi ossei.
Villa17 consiglia l’impiego di impianti lunghi soprattutto nel mascellare per permettere un ancoraggio e una stabilità primaria in osso nativo, difficilmente raggiungibili con short implants all’interno di un sito ricevente soggetto a forti rimodellamenti nelle prime settimane di guarigione.

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Indicazioni cliniche
L’esperienza clinica e le evidenze scientifiche ci consigliano di seguire alcune regole basilari per il posizionamento di impianti post estrattivi nei siti alveolari infetti.
Si evidenzia la necessità di valutare, con le moderne tecniche radiologiche a immagini tridimensionali (Cone Beam), la morfologia ossea residua di un alveolo colpito da processi infettivi (endodontici e/o parodontali). Diventa infatti fondamentale sapere, in fase diagnostica, se la quota di osso residua permetterà l’ottenimento di una buona stabilità primaria e di una corretta estetica futura. Solitamente una lesione apicale di origine endodontica permette il posizionamento di un impianto postestrattivo immediato in quanto non ha procurato una grossa distruzione alveolare (Fig. 3), mentre una lesione grave di tipo parodontale può facilmente impedirne il posizionamento avendo distrutto (Fig. 4) molte delle porzioni di osso presenti in un alveolo integro (palatale, vestibolare e apicale) (Fig. 5).
La morfologia alveolare risulta importante, particolarmente nelle zone estetiche, per poter posizionare l’impianto secondo modalità tridimensionalmente corrette.
Oggi infatti sappiamo che l’impianto va posizionato più palatalmente, in modo da lasciare uno spazio, fra impianto e corticale vestibolare, che va riempito con biomateriali a scarso o nullo riassorbimento (Figg. 6, 7).
Questa modalità di inserimento consente di avere, nelle zone anteriori, un’estetica buona e mantenibile nel tempo. Al contrario, un posizionamento che porti la testa dell’impianto a stretto contatto della corticale vestibolare porta al riassorbimento della stessa, con conseguenze antiestetiche (Figg. 8, 9).

Conclusioni
Si può quindi concludere che l’impianto post estrattivo immediato nei siti infetti non è condizionato in modo determinante dalla batteriemia esistente all’interno dell’alveolo – che può essere controllata con opportuni protocolli farmacologici (somministrazione di antibiotici) e con la decontaminazione meccanica (utilizzo di curette, frese e lavaggi) – quanto piuttosto dalla più o meno importante distruzione alveolare. In un alveolo ancora sufficientemente integro si possono inserire impianti immediatamente dopo l’estrazione, ottenendo buona stabilità primaria e buona estetica (Fig. 10).

 

Bibliografia
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L'articolo è stato pubblicato sul numero 1 di Implants Italy 2013

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