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“Malpractice” e conoscenze specifiche del CTU: un caso paradigmatico

C. Agostinelli, L. Grivet Brancot, M. Sanzi

C. Agostinelli, L. Grivet Brancot, M. Sanzi

lun. 17 settembre 2018

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Il contenzioso odontoiatrico, secondo recenti articoli, rappresenterebbe il 7% di tutti quelli medici. La soccombenza per i dentisti è risultata dell’80% giudiziale, mentre quella extragiudiziale del 95%1. Quando tuttavia la condanna dell’odontoiatra è dovuta a una reale “malpractrice”? Il CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio) è sempre preparato specificatamente per valutare l’opera del professionista convenuto? Quali i criteri di scelta del CTU da parte del Giudice?

Obiettivo dell’articolo è di sottoporre all’attenzione della comunità scientifica odontoiatrica e forense uno dei tanti episodi che contrappongono da un lato, un modus operandi supportato da conoscenza scientifica e competenza clinica. Dall’altro, un sistema giudiziario incapace, a volte, di discernere azioni strumentali da reali episodi di “malpractice”.

La paziente (che agirà in giudizio) 55 anni, fumatrice con scarso controllo dell’igiene domiciliare, in cura nel 1998 per parodontopatia cronica e compromissione dei quattro incisivi superiori (Figg. 1-5) per dodici anni, viene trattata con terapie chirurgiche e non2. Nel luglio 2010, dopo ben 12 anni di mantenimento di tali denti, si presenta all’osservazione dell’odontoiatra per la rottura dello splintaggio, riferendo di aver subito un accidentale trauma facciale.

Il dentista verifica un aggravamento della mobilità dei quattro incisivi e sollecitato dalla paziente a migliorare l’aspetto estetico, prospetta la sostituzione degli elementi naturali da estrarre, con una protesi fissa su impianti. Al fine di ridurre il rischio di un ulteriore riassorbimento dell’osso alveolare residuo e del collasso dei tessuti molli3-7 della pre-maxilla, prima delle estrazioni degli incisivi, viene prospettata la loro estrusione8, 9.

Questo trattamento preliminare contrasta il fisiologico riassorbimento del processo alveolare portando, nell’arco di qualche mese, all’incremento di osso alveolare oltre al recupero della normale festonatura gengivale10, 11 in grado di conferire un aspetto naturale al sorriso.

Contestualmente all’accurata esposizione del piano di trattamento proposto, con schemi, disegni ed immagini di casi clinici simili, illustrano alla paziente i rischi del fumo in implantologia12-15. Si ricorda, in particolare, l’importanza, nei pazienti parodontopatici sottoposti a terapie implantari e del controllo della placca batterica16.

L’odontoiatra, valutate le aspettative della paziente, stila in data 25 ottobre 2010, un preventivo relativo a un protesi fissa supportata da due impianti, da 1.2 a 2.2, proponendo, in via preliminare, l’estrusione dei denti con un sistema invisibile e confortevole per mezzo dello stesso provvisorio (Fig. 6).

Per ottenere la trazione dei due incisivi laterali, la protesi provvisoria verrebbe sostenuta dai due incisivi centrali. A estrusione ottenuta si sarebbero estratti i due incisivi laterali ed inseriti contestualmente i due impianti nelle stesse sedi alveolari17.

Dopo alcuni mesi, la protesi provvisoria sarebbe stata sostituita, collocando i monconi (abutments) sui due impianti già inseriti (1.2 e 2.2). Con la medesima tecnica, sarebbero poi stati estrusi i due incisivi centrali. Ottenuta la maturazione dei tessuti molli e un livello gengivale desiderato, si sarebbero estratti anche i due incisivi centrali e intrapresa la fase protesica definitiva.

Tutto ciò viene dettagliatamente spiegato sia verbalmente, sia descritto nel “Consenso informato” che la paziente sottoscrive dopo aver richiesto un secondo consulto presso un altro studio. Il trattamento estrusivo dei due incisivi laterali inizia nel gennaio 2011 (Figg. 7, 8). Al raggiungimento del risultato desiderato (Figg. 9, 10), si attendono 60 giorni di “stabilizzazione” dell’osso alveolare18 (Figg. 11, 12).

La fase chirurgica viene pianificata con la preparazione iniziale (igiene orale, controllo emato-chimico delle condizioni della paziente, prescrizione della profilassi/terapia antibiotica19-20 e della sospensione del fumo). Il 23 giugno 2011, vengono estratti i due incisivi laterali (Figg. 13, 14) e inseriti contestualmente due impianti Xive (Dentsply) di diametro 3,8 mm e lunghezza 15 mm (Figg. 15, 16), dimensioni ottimali per la successiva protesi (ponte di 4 elementi da 1.2 a 2.2 con 1.1 e 2.1, elementi “intermedi”).

Vengono inserite due viti di guarigione e riposizionato il provvisorio, debitamente adattato in corrispondenza dei due incisivi laterali. Alla seduta di controllo a una settimana dall’intervento implantare, la paziente confida, alle assistenti dello studio, di non aver assunto gli antibiotici prescritti né prima né dopo l’inserimento degli impianti e tantomeno di essersi astenuta o limitata dal fumo di sigarette! Alla seconda visita di controllo, dopo 30 giorni, la stessa presenta un pessimo stato di igiene orale e due ascessi vestibolarmente ai due impianti (1.2 e 2.2) (Figg. 17, 18).

L’odontoiatra, informata la paziente dell’accaduto la rende partecipe della necessità di rimuovere i due impianti21 e, preso atto della sua scarsa collaborazione, rinvia la rivalutazione dei siti implantari dopo circa 2 mesi. La paziente ammette le proprie responsabilità per non aver rispettato le prescrizioni del dentista.

Dopo alcuni mesi, declinando gli inviti da parte dello studio a riprendere le cure, si rivolge ad altro professionista, sottoponendosi ad un nuovo trattamento implanto-protesico e all’estrazioni dei due incisivi centrali residui con inserimento di quattro impianti in posizione 1.2 - 1.1 - 2.1 e 2.2. A distanza di circa due anni, la paziente cita in giudizio il primo professionista e chiede il risarcimento dei “danni subiti” dal trattamento implantare “fallito”; contestava inoltre i trattamenti protesici effettuati quattordici anni prima!

L’autore pratica implantologia dal 1985, ha perfezionato la propria formazione sia in ambito Accademico, sia presso colleghi di fama internazionale. È stato docente in corsi universitari di implantologia avanzata, ha tenuto conferenze in sedi nazionali ed internazionali. Ha brevettato una sistematica implantare ed è autore di pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali.

In sede giudiziale i legali del professionista citato in giudizio chiedono al Giudice, di nominare un CTU di elevata competenza implanto-protesica, attingendo preferibilmente dall’ambito accademico in grado di valutare obiettivamente l’operato del professionista. Il Giudice decide invece diversamente.

In sede peritale il CTU mostra macroscopiche difficoltà a comprendere il “piano di terapia” proposto e in parte eseguito alla perizianda. Omette di chiederle adeguate informazioni ignorando quanto dettagliatamente descritto dal convenuto e, confermando la tesi dei tecnici della parte attrice (ossia della paziente), censura il convenuto affermando che «l’opera del professionista possa essere ritenuta incongrua esclusivamente con riguardo al piano di terapia con relativi onorari, e realizzazione di un ponte di 4 (quattro) elementi in metallo ceramica supportati anche dagli incisivi centrali superiori (denti 11 e 21)».

«Il CTU ritiene la condotta del professionista nel trattamento terapeutico… sia stato imprudente, negligente e imperita…» determinando il “danno” con il «5% di invalidità permanente… per scarso supporto osseo e negativo rapporto radice-corona clinica dei due incisivi centrali superiori…».

Tra le varie “contestazioni” da parte del CTU alle osservazioni del convenuto: «... è inesistente il IV sestante, essendo l’apparato dentario suddiviso in 4 (quattro) quadranti, due per l’arcata dentaria superiore, due per l’arcata dentaria inferiore…».

Conclusioni

La vicenda descritta rischia di essere l’ennesimo caso in cui il corretto operato di un professionista possa essere tacciato come un episodio di “malpractice”. Sempre più frequentemente si evidenzia la tendenza di taluni pazienti a rivendicare risarcimenti di presunti “danni subiti”.

A questo fenomeno ingravescente si aggiunge la censurabilità del criterio di scelta, da parte del Giudice, del CTU per le ragioni già esposte. L’opera di tali Consulenti oltre ad alimentare la crescente diffidenza verso l’intera categoria professionale, può produrre pertanto incredibili esiti giudiziali con gravi ripercussioni all’immagine del professionista.

 

Bibliografia

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