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ECM: ci sono voluti diciotto anni per sanare (in parte) un’ingiustizia

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M. Traversa

M. Traversa

mar. 6 giugno 2017

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Il 10 maggio, dopo quasi diciotto anni, il Parlamento ha corretto la legge del 1999 che imponendo l’Educazione Continua in Medicina (ECM), aveva creato una grossa disparità tra lavoro autonomo e dipendente.

Vediamo l’antefatto. La legge obbligava ogni operatore sanitario a un continuo aggiornamento permettendo che ciascuno provvedesse alla propria formazione in completa autonomia, nel rispetto degli obiettivi di interesse nazionale e regionale prefissati dall'apposita Commissione nazionale per la formazione che aveva individuato (ex art.16-bis e ter, comma 2, del Decreto legislativo n.229 del 19 giugno 1999 e successive modificazioni) i temi prioritari ECM come obiettivi formativi d'interesse nazionale.

La partecipazione al programma ECM era un dovere previsto anche dal codice deontologico, come confermato dalla sentenza del TAR n. 14062/2004 del 18 novembre 2004 (Decreto Monti 2012), definendo, anzi, che un datore di lavoro non potesse opporsi alle richieste di aggiornamento (sentenza del Tribunale di Pescara 26 giugno 2013, n. 887) riconoscendo i giorni d'aggiornamento come giornate lavorative. E quindi retribuite.

Questa legge, in sé giusta, ha tuttavia creato una grossa disparità, nei diritti e doveri tra i sanitari perché normando l’obbligo di formazione retribuito per i lavoratori con contratto di lavoro subordinato, non ha creato agevolazioni per il libero professionista, addossandogli l’onere completo della formazione. Tale disparità di trattamento, dicevamo, è durata diciotto anni.

Ora, con l’approvazione in via definitiva del Senato, con 158 sì, 9 no e 45 astenuti, il Disegno di legge n° 2233-B è diventato legge dello Stato, che identifica “le misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e quelle volte a favorire l’articolazione flessibile nel tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” chiamato anche “Jobs Act lavoro autonomo”.

Dei ventisei articoli che la compongono interessa il numero 5 secondo cui (omissis) «sono integralmente deducibili, entro il limite annuo di 10 mila euro, le spese per l'iscrizione a master e a corsi di formazione o di aggiornamento professionale nonché le spese di iscrizione a convegni e congressi, comprese quelle di viaggio e soggiorno”. I liberi professionisti operanti nelle professioni sanitarie, compresi quindi medici e dentisti, potranno quindi dedurre completamente entro i diecimila euro annuali le spese per congressi, corsi di aggiornamento, perfezionamento, master e convegni.

Sono considerati scaricabili i costi sostenuti per lezioni frontali e corsi pratici ma anche corsi e-learning per la formazione a distanza (Fad). Stando alla lettura del testo, risultano deducibili integralmente anche le spese di viaggio, vitto ed alloggio inerenti ai momenti formativi ma sempre entro i diecimila euro annui. Si spera a questo punto che una specifica dell’Ufficio delle Imposte permetta di conteggiare a parte le spese di viaggio, vitto ed alloggio rendendo possibile che la detrazione dei diecimila euro sia completamente inerente ai costi diretti di aggiornamento.

Con tale legge, viene corretta solo una parte della disparità esistente tra operatore sanitario dipendente e il libero professionista perché, se è pur vero che tutti devono aggiornarsi, i dipendenti lo fanno durante tuttavia l’orario di lavoro, quindi vengono pagati dalle loro strutture, mentre il libero professionista lo deve fare... abbandonando il lavoro.

Chissà se tra diciotto anni lo Stato porrà rimedio anche a questa ingiustizia?

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