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Il part-time nel nuovo contratto di lavoro (Prima parte)

M. Lama

M. Lama

mer. 28 settembre 2016

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Il contratto di lavoro a tempo parziale (o part-time) consente di svolgere meno ore di lavoro rispetto all’orario normale (o full-time) disciplinato dal D.lgs. n. 66/2003 e dai contratti nazionali del comparto produttivo di riferimento, rendendo la settimana lavorativa compatibile con eventuali altri impegni.

Naturalmente la riduzione della prestazione implica una generale rimodulazione di diritti e obblighi del lavoratore, connessi agli istituti di carattere normativo e retributivo.
Il Decreto legislativo n. 81/2015 emanato in attuazione della riforma del lavoro (“Jobs Act”) dedica al part-time alcuni articoli (dal 4 al 12) che lasciano immutato l’impianto generale del tipo contrattuale generando nuove opportunità. In ragione della diversa distribuzione delle ore nella giornata o in altro periodo di tempo (settimana, mese, anno), prima si distinguevano tre tipi di contratto part-time: orizzontale con riduzione dell’orario giornaliero, verticale con riduzione di quello settimanale o mensile, e infine misto che cumulava le due precedenti forme.

La nuova disciplina supera la tripartizione tipologica in favore di una nozione unitaria di part time, lasciando fermo l’onere di alcuni adempimenti formali. Indipendentemente dal fatto d’essere a tempo determinato o indeterminato (con scelta demandata alle parti), infatti, il part-time va stipulato per iscritto con specifica indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione dell’orario di svolgimento della prestazione in ambito giornaliero, settimanale, mensile e annuale (art. 5, c.2 e 3 D.lgs n. 81/15).
In difetto di contratto scritto e, comunque, di prova, su domanda del lavoratore, può essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alle retribuzioni ed al versamento dei contributi dovuti per le prestazioni effettivamente rese.

Qualora nel contratto scritto non sia determinata la durata della prestazione, su domanda del lavoratore può essere dichiarata la sussistenza di un full-time a partire dalla sentenza o, se l’omissione riguardi la sola collocazione temporale dell’orario, il giudice potrà fissare equitativamente le modalità temporali della prestazione tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore, della necessità di integrazione mediante svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore. In tali casi, per il periodo antecedente alla sentenza, il lavoratore avrà diritto alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni rese.
È ancora possibile, come per il passato e in base alle esigenze organizzative datoriali, chiedere al lavoratore di svolgere una prestazione “supplementare” rispetto all’orario fissato, purché entro il numero massimo di ore specificato per il tempo pieno (quindi se l’orario parziale è di 6 ore giornaliere, si potrà lavorare oltre tale soglia ma sino a 8, ove tale sia il limite giornaliero del tempo pieno previsto dalla contrattazione collettiva).

La nuova normativa consente, ove il contratto collettivo di riferimento non contenga regole sull’orario supplementare e non specifichi un monte ore massimo per ciascun lavoratore, che gli si possano chiedere prestazioni supplementari in misura non superiore al 25% del monte ore settimanale a tempo parziale, con un aumento della retribuzione oraria globale di fatto pari al 15%. In ogni caso il lavoratore può rifiutarsi per comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale (art. 6, c. 2). Anche il lavoro straordinario (in passato collegabile ai soli casi di part-time verticale e misto) ovvero quello prestato oltre il normale orario a tempo pieno, resta un’opzione percorribile.
La riforma ha cercato di “rispondere” in modo efficace all’impellente richiesta datoriale di rendere l’utilizzo della prestazione lavorativa, anche parziale, più adattabile alle esigenze organizzative e produttive. Le possibilità di uso “flessibile” del part-timer sono state pertanto riviste nella nuova disciplina dell’istituto ed eliminata la distinzione tra “clausole elastiche” (sulla possibile variazione in aumento della prestazione lavorativa) e “flessibili” (sulla sua specifica collocazione) già in vigore, per riportare le modifiche di utilizzo della prestazione ad un concetto unitario, definito dalla dicitura unica di “clausole elastiche”.

In base alle proprie esigenze organizzative il datore può utilizzare con maggior flessibilità la prestazione lavorativa a tempo parziale, variandone la collocazione temporale inizialmente concordata o la durata – non oltre il 25% della normale prestazione annua a tempo parziale – ed essendo a tal fine tenuto a prevedere per iscritto le modalità attraverso cui troveranno attuazione le clausole elastiche. In tal caso, inoltre, il lavoratore dovrà essere informato delle variazioni cui viene assoggettata la prestazione, con un preavviso minimo di 2 giorni lavorativi.
La normativa va poi raccordata per ciascun caso specifico con la disciplina riportata nei vari CCNL, in relazione ai vari comparti produttivi. Il Contratto nazionale degli Studi professionali, ad esempio, differisce dalla norma generale, prevedendo che al lavoratore assoggettato a modifiche della prestazione, vada dato un preavviso minimo di 3 giorni per l’utilizzo delle ormai scomparse clausole flessibili da parte del datore di lavoro, con l’aggiunta che l’utilizzo di tali clausole viene ritenuto fruibile nei soli casi di rapporti di lavoro part-time a tempo indeterminato o, se determinato, solo per sostituzione di lavoratore con diritto alla conservazione del posto o per studenti.
L’utilizzo delle clausole elastiche comporta il diritto ad una maggior retribuzione oraria globale di fatto pari al 15% (il CCNL Studi professionali la limita al 10%), ferma restando la possibilità per il lavoratore di rifiutare variazioni all’orario lavorativo, tenuto conto che tale condotta non può mai costituire giustificato motivo di licenziamento.

Altra novità da più parti auspicata, introdotta dal decreto di riforma e non più affidato alla contrattazione di categoria, consente ai dipendenti pubblici e privati di trasformare il contratto a tempo pieno in uno part-time, se affetti da patologie oncologiche o cronico-degenerative che comportino una ridotta capacità lavorativa anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita. Successivamente, e su richiesta del lavoratore, il rapporto può essere ritrasformato a tempo pieno.
È poi riconosciuta la priorità nella trasformazione qualora sia constatata la presenza di patologie oncologiche o cronico-degenerative riguardanti il coniuge, i figli o i genitori. Ancora, in caso di totale e permanente inabilità lavorativa di persona convivente cui è riconosciuta invalidità al 100%, con necessità di assistenza continua. E per figlio convivente di non oltre 13 anni o portatore di handicap.
Il lavoratore che abbia trasformato il rapporto di lavoro a tempo pieno in uno parziale ha diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l’espletamento delle stesse mansioni o equivalenti a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale (art. 8, c.6).

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