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Protocolli clinici a confronto nel trattamento della “White Spot”

Antonio Sarnataro et al.

Antonio Sarnataro et al.

ven. 13 aprile 2018

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È stata effettuata una revisione di protocolli clinici basati su ricerche, dal 2010 ad oggi, sull’identificazione e trattamento della demineralizzazione dello strato superficiale dello smalto, nota come “white spot”.

Sono stati analizzati gli strumenti per la diagnosi delle malformazioni dentali e valutato le più attendibili, in base alle ricerche effettuate a livello bibliografico e, successivamente, i protocolli terapeutici che sfruttavano tali strumenti. Ad oggi pochi sono gli strumenti capaci di rilevare con precisione una problematica come la “white spot” rispetto alla ipoplasia dello smalto (MIH). Il ruolo che oggi ricopre l’igienista dentale, in sinergia con l’equipe odontoiatrica, ed in particolar modo con l’odontoiatra, è di diagnosticare in tempo problematiche legate alla demineralizzazione e di porre in atto i protocolli di re-mineralizzazione utili al problema riscontrato, senza rischio di recidive e con un effetto esteticamente idoneo anche alla volontà e desiderio del paziente.

L’odontoiatria contemporanea si sforza di offrire soluzioni cliniche per problemi dentali con il minimo coinvolgimento dei tessuti del dente. Quindi, attraverso ad un’attenta analisi bibliografica degli ultimi 5 anni, sono stati evidenziati i più moderni approcci terapeutici per il trattamento delle “white spots” a disposizione dell’igienista dentale. Sono state impiegate numerose tecniche e tecnologie per la prevenzione e trattamento della “white spots”: lo sbiancamento, la micro abrasione, la resina infiltrante, il gel al CPP-ACP (Casein Phosphopeptide-Amorphous Calcium Phosphate) e le vernici al fluoro.

Il gel di CPP-ACP e quelli al fluoro sono strumenti preventivi e terapeutici allo stesso tempo, la cui funzione è di re-mineralizzare della zona decalcificata rilasciando calcio, fosfato o fluoro; fungendo da serbatoio di minerali sulla superficie del dente.

Da come ha suggerito la bibliografia, i gel al fluoro e CPP-ACP possono essere utilizzati in modo combinato in base alle caratteristiche individuali del paziente (fluorosi “lievi” o intolleranze alle proteine del latte). Nel caso di applicazione ripetuta e a lungo termine di materiali come vernice al fluoro e al CPP-ACP, la re-mineralizzazione e la micro durezza delle lesioni dei prismi dello smalto sono aumentate in modo significativo.

Il meccanismo d’azione della resina infiltrante è quello di arrestare la progressione della lesione occludendo le micro porosità del reticolo cristallino che forniscono percorsi di diffusione per acidi e sali minerali disciolti. Nella “white spot” la differenza di indice di rifrazione della luce tra i cristalli di smalto all’interno delle porosità provoca dispersione di luce che si traduce in un aspetto biancastro opaco di queste lesioni, soprattutto quando sono asciutte.

L’infiltrazione di resina, che non può evaporare, consente un mascheramento della lesione, facendo apparire le lesioni simili allo smalto sano circostante. La tecnica d’infiltrazione di resina è stata progettata per colmare il divario tra la prevenzione e il ripristino, occludendo e rafforzando il reticolo cristallino dello smalto.

Questa revisione sistematica ha rivelato che l’uso dell’infiltrazione di resina per arrestare la progressione della lesione cariosa non cavitata è incoraggiante. È necessario rimanere prudenti con la tecnica d’infiltrazione, perché sono necessari ulteriori studi a lungo termine per stabilire la longevità del miglioramento estetico e clinico.

Al fine di determinare benefici a lungo termine, i confronti dovranno essere fatti tra la resina infiltrante e le altre strategie di re-mineralizzazione dello smalto, e tra la resina infiltrante e restauri convenzionali per le lesioni dentinali.

Materiali e metodi

È stata eseguita un’analisi sistemica della letteratura utilizzando la banca dati PubMed, con i seguenti limiti:

  • Anno pubblicazioni: 2010-2016;
  • Lingua: Inglese;
  • Tipologia degli articoli: Linee guida, Abstract, Case Report, studi in vitro e vivo;
  • Lo studio effettuato si basa sulla ricerca di articoli che menzionassero trattamenti e strumenti diagnostici, utilizzati per riconoscere le white spots di origine traumatica e/o batterica dalle altre patologie che interessano lo smalto o la struttura del dente, con riferimento agli ultimi anni.

 

Autori:
Antonio Sarnataro*, Iole Vozza**, Francesco Occipite Di Prisco***, Francesca Capasso***, Giovanni Occipite Di Prisco*.

*Igienista Dentale, **Presidente CLID C “Sapienza” Università di Roma, ***Odontoiatri

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