DT News - Italy - Monoedentulia e atrofia ossea grave. Problem solving in area estetica

Search Dental Tribune

Monoedentulia e atrofia ossea grave. Problem solving in area estetica

P. Gatto

P. Gatto

lun. 13 febbraio 2017

salvare

Dental Tribune intervista il dott. Alessandro Carmignani che ha ricevuto il premio PEERS nella sezione Protesi cementata, con un caso clinico dal titolo “Monoedentulia e atrofia ossea grave. Problem solving in area estetica”. Il caso presentato dal dott. Carmignani si riferiva a una donna di 55 anni con monoedentulia 21 e atrofia orizzontale/verticale. Lamentava mobilità della riabilitazione protesica (ponte) eseguita anni prima, la decementazione dello stesso ponte (11-22) per carie al pilastro (22). La paziente rifiuta l’opzione non chirurgica di un nuovo ponte. Abbiamo incontrato il dott. Carmignani e gli abbiamo rivolto alcune domande in merito al caso clinico vincitore.

Dott. Carmignani può riassumerci gli aspetti più importanti del caso clinico che ha presentato?
Il piano di trattamento ha dovuto ovviamente tenere in conto le richieste specifiche della paziente. Migliorare l’aspetto estetico, ma soprattutto ristabilire l’individualità degli elementi dentali rispetto alla situazione preesistente (cioè la presenza di un ponte in metallo-ceramica) era una richiesta imprescindibile per l’accettazione del piano di trattamento da parte della paziente. Una volta effettuata la visita e stilata la diagnosi, è emersa immediatamente la necessità di ricreare le condizioni anatomiche necessarie e sufficienti per l’inserimento di un impianto endosseo e di migliorare la prognosi dei denti adiacenti già trattati endodonticamente e ricostruiti in maniera non adeguata.

Il piano di trattamento aveva come obiettivo di risolvere problemi funzionali (occlusione) e le nuove aspettative estetiche. Quale è stato l’iter di questo complesso trattamento?
Nonostante l’assenza di alcuni molari ed evidenti segni di marcata usura occlusale, la palpazione muscolare e dell’ATM avevano dimostrato assenza di sintomi, e quindi una compensazione funzionale della paziente. Dal punto di vista estetico, oltre alla deformità muco-gengivale a livello del dente mancante, un altro elemento “menomante” era rappresentato dall’asimmetria dei profili gengivali dei denti del settore. Fondamentale è stato pertanto l’ausilio del trattamento ortodontico, per migliorare le parabole gengivali del settore frontale senza alterare l’occlusione esistente. Da questo punto di vista il trattamento ortodontico preliminare eseguito da mio fratello Roberto è stato determinante per il successo.

La paziente ha accettato facilmente il piano di trattamento?
Non solo. La signora – che si rivolge regolarmente da diversi anni al nostro studio per sedute di igiene orale – aveva già espresso i suoi desiderata riguardo alla soluzione a lei più congeniale, qualora si fosse verificata la necessità di sostituire il ponte, eseguito in passato da un altro collega. Nonostante la possibilità di una soluzione fissa tradizionale quale un nuovo ponte e di un percorso riabilitativo meno impegnativo, e nonostante siano state debitamente illustrate le differenze esistenti in termini di durata, costi e probabilità di complicazioni, la paziente non ha avuto dubbi a riguardo.

Perché è stata scelta una protesi cementata?
Innanzitutto, perché le soluzioni cementate forniscono senz’ombra di dubbio migliori performance in termini di resa estetica rispetto a quelle di tipo avvitato. Aggiungo che i dati a nostra disposizione secondo la migliore evidenza scientifica dimostrano che le soluzioni implanto-protesiche avvitate siano maggiormente associate a problemi di natura meccanica e/o tecnica, in primis fratture del rivestimento estetico. Le protesi cementate sono invece maggiormente a rischio di complicazioni biologiche (mucosite, perimplantite) che sono correlate a una predisposizione individuale e comunque da valutare contestualmente a altri fattori di rischio (tabagismo, standard di igiene domiciliare e compliance a quella professionale). Dato il basso profilo di rischio biologico posseduto dalla paziente, e da quanto sopra detto, la soluzione cementata è risultata essere la diretta conseguenza del processo logico decisionale.

Il caso è stato risolto utilizzando tecniche odontoiatriche interdisciplinari (endodonzia, ortodonzia, chirurgia, implantologia, protesi, tecniche digitali quali il CAD/CAM). Chi ha svolto il ruolo di guida? Il protesista, il chirurgo o l’ortodontista?
La protesi costituisce sempre l’elemento chiave in un percorso terapeutico riabilitativo e/o restaurativo. Questo è particolarmente vero nei settori a elevata valenza estetica come nel caso presentato. Essa rappresenta il progetto finale; tutte le altre discipline sono importanti per poterne conseguire la realizzazione ed entrano in gioco a seconda delle problematiche che si presentano di volta in volta.

Quali devono essere le capacità dell’operatore e del team per affrontare con queste tecniche i piani di trattamento?
Il successo di un trattamento interdisciplinare implica innanzitutto la presenza di più operatori con diverse competenze specialistiche e tra queste una figura che funga da coordinatore. Inoltre, è fondamentale che ogni componente del team sia consapevole delle conseguenze in positivo e in negativo sulle fasi cronologicamente successive a quella di cui è responsabile. Pertanto, al verificarsi di imprevisti clinici – sempre frequenti nei casi complessi – deve immediatamente informare gli altri e il piano di trattamento dovrebbe essere ridiscusso in modo collegiale e debitamente modificato. Si può capire quindi come il lavoro interdisciplinare non sottintenda solo capacità tecniche/cliniche, ma sia anche sinonimo di responsabilità, versatilità, prontezza di comunicazione.

Dott. Carmignani, lei opera in un ambulatorio odontoiatrico multidisciplinare. Lei stesso ha un’esperienza formativa, di clinica e di insegnamento in differenti discipline. In particolare abbiamo letto che si occupa di gnatologia. Quanto è importante una formazione multispecialistica per la risoluzione di questi casi?
Importantissimo direi. La bocca, oltre le altre funzioni note, è l’apparato cui è preposta la gestione dello stress psichico che ciascuno di noi vive. Attraverso il serramento e il bruxismo scarichiamo il nostro sistema limbico. Il problema è che l’intensità delle forze che noi applichiamo sulle nostre arcate dentarie è drammaticamente aumentata rispetto al passato, parallelamente allo stress e alle tensioni emotive che viviamo. È pertanto necessario diagnosticare se il paziente, dal punto di vista funzionale, sia sano, malato per quanto non sintomatico o a rischio di diventarlo, a causa di un nostro intervento. Mi permetta di fare un paragone tra l’odontoiatria riabilitativa e la scienza delle costruzioni: la parodontologia rappresenta lo studio preventivo del terreno su cui si erigerà una nuova costruzione; la gnatologia lo studio dei carichi che verranno applicati su muri e telai.

Perché è stata scelta, insieme al vostro odontotecnico, una customizzazione CAD/CAM?
In un elemento singolo, la migliore soluzione possibile è rappresentata senz’ombra di dubbio dalla combinazione di un pilastro prefabbricato fornito da una sistematica implantare di qualità e dalla personalizzazione del suo design da parte di un sistema produttivo CAD/CAM, sempre di altrettanta qualità. Il primo fattore assicura una connessione meccanica pilastro/impianto e ritenzione affidabile nel tempo. Il secondo – sempre se guidato dalle mani esperte di un odontotecnico qualificato – assicura la base di partenza per l’applicazione di materiali estetici sempre più performanti. In tal modo il manufatto protesico finale è difficilmente distinguibile dagli elementi naturali vicini.

Il caso ha soddisfatto a pieno la paziente e i clinici?
Per quanto riguarda la paziente, direi proprio di sì. Nel nostro caso, i sinceri complimenti ricevuti da colleghi di comprovato valore e dagli esperti della commissione giudicante confermano la bontà del nostro operato.

Come è nata la passione per la chirurgia e contestualmente gli interessi gnatologici?
La chirurgia è stato il primo amore, grazie anche al dottorato di ricerca in chirurgia oro-maxillo-facciale conseguito alla fine degli anni Novanta, presso la Seconda Università di Napoli. L’interesse nel campo della gnatologia è invece nato dall’esigenza di aumentare il bagaglio culturale e le competenze per trattare i pazienti disfunzionali nelle grandi riabilitazioni. Da qui il programma biennale all’Università di Vienna con il prof. Rudolph Slavicek per il conseguimento del titolo di Master of Science. La ricerca oggetto della mia tesi del Master è stata svolta presso il nostro studio, grazie all’ausilio dei miei colleghi, ovvero, mio fratello Roberto e Gianni Ciampalini, ma anche della dott.ssa Michela Franchini, statistica presso il CNR di Pisa. Mi lasci dire che, grazie a questo, abbiamo conseguito due anni fa il Premio Martignoni al Congresso internazionale AIOP.

In questi anni ha vinto e sta vincendo molti premi per i casi che presenta. Secondo lei quali sono le ragioni alla base di questo successo? E quanta la soddisfazione?
Lavorare in gruppo significa mettere in conto difficoltà iniziali grandissime e la necessità di selezionare colleghi e addestrare personale che dimostrino voglia di condividere: valori, lavoro duro, disponibilità a comprendersi e riconoscere i meriti altrui. Se si creano queste condizioni, si lavora in un clima sereno e ripagante nonostante tutte le difficoltà esistenti oggi e si possono ottenere riconoscimenti non solo da parte dei pazienti. Il merito, quindi, non è mai di una singola persona: è il gruppo a fare la differenza. Fondamentale è poi dedicare del tempo a documentare il più possibile tutto quello che si fa e archiviare il materiale per mostrare il proprio operato. In questo – nel nostro studio – tutte le persone, assistenti in primis, partecipano attivamente.

Quali suggerimenti darebbe a un giovane professionista per intraprendere percorsi simili ai suoi?
Ambizione, spirito di sacrificio, umiltà e perseveranza sono doti ancora oggi necessarie, ma purtroppo non più sufficienti per emergere. Il contesto socio-economico attuale presenta criticità, ristrettezze e fattori di competizione a vari livelli che certo non aiutano i giovani a ritagliarsi un proprio spazio in campo lavorativo. Le competenze da possedere oggi, per affrontare quotidianamente la professione, sono non solo tecniche, ma comunicative se non addirittura gestionali. Ecco perché ritengo fondamentale per un giovane odontoiatra trovare un mentore, una figura che possa mettergli a disposizione il proprio bagaglio di esperienza (non solamente clinica) e che lo aiuti a formarsi e crescere senza ansie.

Grazie per l’intervista e per i preziosi consigli.

To post a reply please login or register
advertisement
advertisement