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L’ortodonzia nell’era del digitale: il conflitto di meraviglie secondo Einstein

Scansione intraorale a colori delle arcate dentarie.
R. Fastuca, P.A. Zecca

R. Fastuca, P.A. Zecca

ven. 10 ottobre 2014

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«Il processo di una scoperta scientifica è un continuo conflitto di meraviglie», affermava lo scienziato Albert Einstein. Negli ultimi anni si è assistito al passaggio di un’era che ha coinvolto tutta l’odontoiatria, investendo anche l’ambito ortodontico. Le innovazioni tecnologiche a più ampio spettro di quella che viene conosciuta e divulgata come “terza rivoluzione industriale” sono state fagocitate da tutto il mondo della moderna medicina con un ampliamento senza precedenti delle possibilità diagnostiche e terapeutiche.

In ortodonzia, il termine “digitale” è stato privato del suo primario significato legato all’ambito numerico per essere sineddoticamente shiftato a tutto ciò che riguarda le tecniche di imaging tridimensionale (3D), che negli ultimi anni popolano le copertine delle riviste scientifiche di settore. Le prime applicazioni del tridimensionale in ortodonzia risalgono infatti al 1944, con le registrazioni stereofotogrammetriche del viso di pazienti trattati ortodonticamente di Thalmann‑Degan, e al 1979 quando Montgomery effettuò le prime tomografie computerizzate per studiare l’anatomia delle cavità nasali. Ancora oggi, però, le nuove tecnologie di imaging tridimensionale sono oggetto di dibattito sulle reali indicazioni e i loro reali vantaggi.

«Il mondo che abbiamo creato è il prodotto del nostro pensiero e dunque non può cambiare se prima non modifichiamo il nostro modo di pensare», sempre Einstein ci aiuta a percorrere la storia dell’imaging in ortodonzia. Sin dall’introduzione della teleradiografia in proiezione latero-laterale e del tracciato cefalometrico di Broadbent nel 1931, infatti, gli ortodontisti utilizzano la cefalometria tradizionale di routine per effettuare diagnosi e pianificazione di trattamento, spesso corredando questo esame radiografico con altri in diverse proiezioni (postero-anteriore, ortopantomografia, endorali occlusali e periapicali) con l’esigenza di aumentare il numero e la certezza delle informazioni di un esame radiografico bidimensionale soggetto a distorsioni, ingrandimenti e falsi radiografici, aumentando così significativamente il rischio di danno biologico da radiazioni ionizzanti per i pazienti. La teleradiografia in proiezione laterale, infatti, presenta errori legati sia alla tecnica radiografica sia all’assunto di effettuare un esame bidimensionale in un soggetto tridimensionale e mai perfettamente simmetrico, e questi errori possono essere riassunti nella classificazione di Hatcher.

Nonostante i suoi limiti, il tracciato cefalometrico standard rappresenta uno strumento semplice e conosciuto universalmente per la diagnosi ortognatodontica ed è radicato da decenni nella pratica clinica e scientifica. Iniziare a usare le nuove tecnologie di imaging tridimensionale presuppone un percorso formativo e una curva di apprendimento che rendono il loro diffondersi in parte più lento e difficile. «La perfezione della tecnologia e la confusione degli obiettivi sembrano caratterizzare la nostra epoca.»
La possibilità di imaging tridimensionale – sia con mezzi invasivi, quali la tomografia computerizzata Cone Beam (CBCT), sia non invasivi, quali le scansioni tridimensionali intraorali ed extraorali – presenta il pregio di fornire innumerevoli informazioni al clinico e al ricercatore, che però nello stesso tempo possono risultare troppe e difficili da interpretare e da ricercare senza un adeguato training. Da qui la nascita di molteplici software che ricavano le tipiche immagini bidimensionali simil ortopantomografiche e teleradiografiche a cui il clinico è molto più abituato e che sono a lui più familiari e di semplice interpretazione. Le nuove tecnologie offrono quindi numerose possibilità, che vengono in parte ridotte a una mera emulazione di metodi più imprecisi e che eliminano gran parte delle informazioni ottenibili per un motivo di “maggiore familiarità” da parte degli ortodontisti. Fondamentale diventa quindi il ruolo dell’informazione e dell’istruzione per poter sfruttare appieno queste nuove tecnologie. «La mente che si apre ad una nuova idea non torna mai alla dimensione precedente.»

E proprio così: chi impara ad approcciarsi all’ortodonzia digitale e tridimensionale non riesce più a farne a meno. L’abbassamento delle dosi grazie alle nuove tecnologie volumetriche radiologiche a raggio conico e a field of view (FOV) ridotti permette di poter scegliere la prescrizione di una CBCT in molti più casi di quanto fosse possibile negli anni precedenti. È stato riconosciuto l’utilizzo diagnostico della CBCT nel caso di elementi dentari inclusi (Fig. 1)1, che ha rappresentato per anni, e fin dall’inizio della diffusione delle tecniche radiologiche tridimensionali low dose, l’indicazione di elezione, permettendo la corretta individuazione tridimensionale dell’elemento incluso, la pianificazione del recupero ortodontico-chirurgico e la presenza di riassorbimenti radicolari anche minimi degli elementi dentari adiacenti, determinante nella scelta di eventuali estrazioni. L’impiego delle CBCT nell’analisi dei volumi aerei dopo espansione palatale e interventi di chirurgia ortognatica, specialmente in pazienti con sindrome da apnee ostruttive notturne (OSAS), ha permesso di valutare il volume tridimensionalmente delle alte vie aeree con l’acquisizione di nuove consapevolezze sulla risposta dei tessuti2. Inoltre, la valutazione con CBCT dei trattamenti con espansione rapida del mascellare ha messo in luce effetti indesiderati, quali la disarticolazione delle suture circum-mascellari e anche più profonde fino all’allargamento dello spazio suturale della sincondrosi sfeno-occipitale, fenestrazioni e danni radicolari e parodontali degli elementi pilastro dell’apparecchiatura che stanno portando alla rivalutazione dei protocolli terapeutici in atto con diverse proposte di protocolli di espansione lenta per la riduzione del carico delle forze trasmesse. La possibilità di effettuare CBCT prima e dopo trattamento ortodontico permette la reale valutazione dei limiti anatomici corticali, che non dovrebbero essere violati nello spostamento delle radici degli elementi dentari. Qualora vi fosse riscontro radiografico di fenestrazioni radicolari senza alcun segno clinico, si ravvede la necessità di controlli periodici con maggiore monitoraggio parodontale.

Sempre più valido risulta però ad oggi il principio “ALARA” (As Low As Reasonably Achievable)3 cioè la necessità di somministrare radiazioni ionizzanti solo quando soddisfatto il principio di giustificazione e il rapporto rischio/beneficio. Sulla base dell’ALARA stanno emergendo tecniche di imaging non invasive corollarie alla diagnosi ortodontica sempre più numerose. L’utilizzo degli scanner intraorali è risultato essere preciso e affidabile, e le nuove tecnologie a colori permettono un’acquisizione rapida di immagini assimilabili alle fotografie intraorali con perizia di dettagli (Fig. 2). Inoltre, i file 3D ottenuti dalle scansioni possono essere manipolati per effettuare setup ortodontici e sovrapposizioni pre e post-trattamento con i volumi ottenuti dalle CBCT. L’utilizzo della sistematica integrata con scanner intraorali ha permesso inoltre lo sviluppo di metodiche di setup con trattamenti ibridi con allineatori trasparenti utilizzati in rifinitura di trattamenti con bracket customizzati per informazioni e materiali che possono essere utilizzati come supporti per aumentare la frizione dell’allineatore stesso e, quindi, la possibilità di movimento (Fig. 3). L’utilizzo degli scanner si estende anche al volto e ai tessuti molli facciali (Fig. 4), associato a tecniche di fotografia 3D e stereofotogrammetria con precisione oltre i 2 mm. Già pubblicati i primi studi che valutano la corrispondenza delle analisi cefalometriche dei tessuti molli tridimensionali con la diagnosi tradizionale effettuata con la cefalometria su teleradiografia latero-laterale. La possibilità di effettuare una diagnosi scheletrica abbastanza corrispondente ai reali rapporti cefalometrici tra le componenti osseo-dentali apre chiaramente lo scenario per un nuovo approccio non invasivo alla diagnosi ortognatodontica.

Alla luce delle ultime pubblicazioni in ambito di ortodonzia digitale occorre quindi non solo un corretto processo di istruzione e comprensione, ma di rinnovo, che non è solo tecnologico, ma anche in parte concettuale di revisione delle precedenti conoscenze da cui non si può più ormai prescindere. Abbiamo a tal proposito intervistato il prof. Alberto Caprioglio, direttore della Scuola di specializzazione in Ortognatodonzia e funzione masticatoria dell’Università dell’Insubria e presidente eletto del Board italiano di Ortodonzia, nonché socio attivo della Angle Society of Europe. Abbiamo chiesto quali secondo lui fossero i reali vantaggi, se esistono, dell’ortodonzia digitale nella pratica clinica, e concludiamo brevemente con la sua risposta: «L’applicazione delle tecnologie digitali in ortodonzia ci ha permesso di avere notevoli vantaggi clinici soprattutto nella programmazione dei casi che richiedono interventi chirurgici di sbrigliamento e allineamento di elementi inclusi e in senso più lato per la possibilità di setup nella chirurgia ortognatica e nei pazienti in cui in nostri trattamenti possono aumentare il rischio parodontale. Ciononostante, ancora ad oggi non abbiamo cambiato il nostro modo di fare ortodonzia alla luce di queste nuove conoscenze. Forse, anzi sicuramente, succederà in futuro. In fondo, anche quella che era “la pazza idea dell’aeroplano dei fratelli Wright” oggi è entrata a far parte della nostra routine».

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L'articolo è stato pubblicato sul numero 2 di Ortho Tribune Italy 2014.

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