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Gestione del conflitto sul lavoro

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Roberta Pegoraro

Roberta Pegoraro

mer. 14 maggio 2014

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Il conflitto può essere considerato un contrasto comunicativo caricato di emozioni. Il conflitto comporta uno stato di disagio, perché rappresenta un disallineamento nella comunicazione e può rivelare una incompatibilità di valori.

Il conflitto è una divergenza di opinioni, è un momento di confronto. A seconda delle proprie caratteristiche personali, può essere percepito come un’opportunità per comprendere un nuovo aspetto di una cosa (e come tale può essere considerato stimolante e motivante) oppure può essere percepito come una svalutazione personale o della propria competenza ed essere vissuto come un momento faticoso da gestire. Il confronto caricato di emozioni diventa conflitto e può accadere quando l’obiettivo che si persegue non è comune, quando la relazione con è sufficientemente fiduciosa e quando nessuno delle parti vuole spostare il proprio punto di vista per individuare una terza via.

Per ridurre i conflitti sul lavoro è importante accertarsi che la cultura aziendale sia condivisa, che i valori a cui lo studio si ispira siano noti e condivisi. È importante che ci sia chiarezza nei ruoli, distinguendo tra ruoli attribuiti e ruoli percepiti. Il ruolo professionale è l’atteggiamento, lo stile di relazione e i comportamenti assunti dalla persona, durante l’esercizio delle sue funzioni, all’interno del gruppo e/o del sistema sociale cui fa parte. Il ruolo definisce una struttura di aspettative reciproche. Se il ruolo è decisionale l’aspettativa è che si sappia decidere, se il ruolo è subordinato l’aspettativa è che si chieda prima di decidere. Attraverso la chiarezza dei ruoli, la definizione dei compiti assegnati e le indicazioni sullo stile aziendale per la realizzazione dell’incarico, si favorisce la percezione di competenza nel ruolo incaricato. Se, ad esempio, l’incarico attribuito è di sorveglianza, si attiveranno comportamenti di controllo perché si risponde all’aspettativa riposta nell’incarico.

Nel caso di confusione di ruolo non si identificano chiaramente compiti e mansioni , si fa un po’ di tutto e non sempre in modo coordinato. Si possono rivestire più ruoli contemporaneamente, sociali e professionali (ognuno di noi può essere contemporaneamente adulto, figlio, amico, genitore, genero, nuora, titolare, dipendente ecc.). L’importante è attivare i comportamenti adeguati al contesto e fare “il figlio con i propri genitori”, “il genitore con i propri figli”, “l’amico con gli amici”, “il genero con le proprie suocere” e “la nuora con i propri suoceri”, “il titolare con i dipendenti” e “il dipendente con il titolare”. Se i comportamenti rispondono al ruolo atteso, non c’è confusione. Al contrario, se si attivano i comportamenti in modo confuso ci possono essere problemi di relazione (immaginate se faceste i genitori con i colleghi, i figli con il titolare, ecc.).

Nel caso di conflitto di ruolo c’è una discrepanza tra ciò che “ci si sente di essere” e ciò che si deve essere nell’esercizio delle proprie funzioni. Una personalità generosa e idealista potrebbe vivere male il ruolo di responsabile del recupero crediti e vivere un conflitto di ruolo. Un titolare dallo stile poco direttivo può avere difficoltà nel dirigere una squadra e soddisfare così l’aspettativa di ruolo, con inevitabili ricadute sul clima di lavoro. Nel caso di incompatibilità di ruolo ci può essere una persona che occupa un ruolo che non gli appartiene, per il quale non è competente. Anche il cambiamento di ruolo può esser fonte di conflitto, un cambiamento di ruolo può essere percepito come un’opportunità di crescita o come una minaccia alla propria autorevolezza. Conoscere i propri collaboratori è importante, ascoltare le loro esigenze ed aspettative professionali e promuovere azioni per il miglioramento professionale va a beneficio del team e chiaramente a beneficio del cliente finale. Rendere noti i valori ai quali lo studio si ispira e lo stile con cui intende realizzare i servizi, permette di contenere i comportamenti conflittuali. Uno studio ha come valore il team (la squadra), con ruoli e compiti ben definiti ed uno stile formale o informale; consente ad ogni membro di partecipare al progetto qualità distinguendo i propri valori personali identificando quelli comuni, adeguandosi per ottenere un risultato comune. Una squadra tenderà così ad assumere comportamenti meno conflittuali.

Per gestire un conflitto è importante:
1. identificare il conflitto. Ascoltare le parti. Comprendere se il conflitto si presenta sui contenuti o obiettivi o sui valori oppure sulle personalità. Capire se gli obiettivi divergono, se le intenzioni vengono distorte o se i valori sono fraintesi. Individuare uno spazio di compromesso;
2. proporre alternative, in modo rapido e spontaneo per vedere se emerge una soluzione condivisa;
3. approfondire l’analisi delle proposte per ascoltarne motivazioni e demotivazioni;
4. ragionare in termini di migliore soluzione possibile e non in termini assoluti di migliore soluzione in assoluto. Contestualizzare la soluzione;
5. definire chi fa cosa, quando e come, in modo che ci sia chiarezza dei ruoli attribuiti;
6. definire un punto di controllo, mettere sotto osservazione l’alternativa introdotta per testarne l’efficacia e in caso di inadeguatezza, perfezionare;
7. una volta controllato, rivedere la situazione dall’inizio, inserire la soluzione nel contesto più ampio ed osservare se la soluzione può diventare sistema o metodo di lavoro.

Per gestire il conflitto dal punto di vista della relazione entrambe le parti coinvolte devono:
1. distinguere la persona dal problema (si fanno cose sbagliate non si è sbagliati); le emozioni che emergono dal conflitto sono aspetti di autenticità della persona (gioia, rabbia, delusione);
2. comprendere il punto di vista dell’altro, modificare il punto di vista percettivo del problema, “come se” ci appartenesse, in modo empatico per favorire un clima empatico; dallo spostamento del punto di vista è possibile produrre critiche oggettive ai diversi aspetti del problema e non fare critiche soggettive;
3. mediare tra le due posizioni in modo creativo, ricordare l’obiettivo primario, i valori di studio e lo stile per proporre alternative che siano in sinergia con quello.

Se ci si trova in conflitto con una persona si può riflettere prima di affrontarla, per capire se si è in conflitto con la persona o con il comportamento della persona. Se si è in conflitto con la persona, si può essere in presenza di un conflitto di ruolo, può non essere compreso da una delle due parti e può essere esplicitato.

Può essere una divergenza di valori personali, sottolineare l’importanza che riveste quella cosa e cosa rappresenta può essere di aiuto alla risoluzione del conflitto. Se la persona vive con disagio il ruolo attribuito e non riesce a modulare i comportamenti di conseguenza, oppure sta ricoprendo un ruolo per il quale non è preparato, oppure sta affrontando un cambiamento e vive con difficoltà una fase della vita professionale e/o personale, possono sfociare conflitti che non hanno precisamente a che vedere con le azioni, spesso hanno a che vedere con lo stato d’animo della persona in quel periodo. In questi casi difficilmente si va ad agire sull’organizzazione.

Se si è in conflitto con il comportamento della persona, va verificato da dove scaturisce il comportamento fonte del conflitto (informazioni errate o altro), va spiegato come modificarlo in modo pratico e oggettivo proponendo una o più alternative concrete, raggiungendo gli obiettivi condivisi. Per risolvere un conflitto bisogna condividere il principio che non ci sono vincitori nel protrarsi del conflitto.L’energia viene continuamente investita in scaramucce, disarmonie, screzi e alla fine si rivelerà logorante anche per chi crede di essere nel giusto. Immaginate uno studio dove le persone si accettano con le loro individualità e particolarità. Dove le persone hanno la capacità di portare in evidenza gli aspetti utili al clima professionale e di lasciare sullo sfondo gli aspetti meno utili. Immaginate di ascoltare confronti e non conflitti, di essere immerso in un clima di competenza, complicità e condivisione. La formazione non può essere solo quella operativa clinica, deve essere anche formazione relazionale, ed educazione al miglioramento delle performance.

L'articolo è stato pubblicato sul numero 5 di Dental Tribune Italy 2014.

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