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Inclusione canina e implantologia post-estrattiva immediata

La perforazione in apice garantisce la stabilità apicale grazie all’inserimento delle prime due o tre spire, mentre la conservazione di una lingua ossea crestale palatale garantisce la stabilità dell’impianto sul collo e sul tappo di guarigione.
F. Dell’Innocenti

F. Dell’Innocenti

ven. 20 novembre 2015

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Questo lavoro propone una soluzione clinica alternativa nell’inclusione canina. La ricerca è stata a favore di un approccio clinico implantare più rapido e più estetico rispetto al tradizionale trattamento ortodontico.

Il paziente odontoiatrico, in particolar modo di età adulta e con una vita sociale attiva, richiede prestazioni rapide e poco coinvolgenti esteticamente. Una di queste condizioni è l’inclusione canina.
Il trattamento tradizionale di questa situazione clinica prevede quasi sempre l’accesso chirurgico palatale all’elemento dentale incluso, il suo ancoraggio attraverso un bottone adesivo, la sua trazione e il posizionamento in arcata attraverso un trattamento ortodontico fisso 1-7.
Una possibile alternativa a questa più conosciuta e riconosciuta metodica è rappresentata dall’approccio implantoprotesico. Questo tipo di trattamento però prevede una soluzione limitata al sito chirurgico lasciando inalterato il disallineamento dei denti in arcata (Fig. 1).

Materiali e metodi
La paziente di sesso femminile, razza europea, anni 42, all’anamnesi non presenta malattie sistemiche e/o specifiche di rilievo. Presenta una inclusione ossea dell’elemento 1.3 (Fig.1 e Fig. 37).
L’esigenza della paziente è di ripristinare l’elemento non erotto in tempi brevi e non desidera sottoporsi a trattamenti lunghi e antiestetici. La metodica utilizzata è quella dell’implantologia post-estrattiva immediata.
Il termine tradisce il concetto della disinclusione chirurgica, affiancata all’immediato posizionamento della fixture, supportata da una adeguata ricostruzione con biomateriale.
I materiali utilizzati sono stati: Cefamezin 1000 mg/4 ml, impianto Exacone (Leone Spa) cilindrico a connessione conometrica autobloccante di diametro 4,8 mm e altezza 14 mm, biomateriale Alos (Allmed), componentistica Leone, Permadyne Polyether Impression Material, corona protesica metal-ceramica.
Si inizia praticando un accesso chirurgico palatale con lembo a spessore totale esteso all’incisivo laterale e al primo premolare. Una volta presa visione completa della corticale ossea, cerchiamo di intercettare la bozza coronale canina e da lì iniziamo a praticare la breccia di apertura. Allarghiamo progressivamente la porta ossea di accesso fino al punto in cui possiamo praticare la sezione coronale dell’elemento incluso. Un’ulteriore spaziatura pericoronale ci permette di lussare la radice fino a sfilarla dalla cavità ossea palatale (Fig. 2).
Dobbiamo dedicare particolare attenzione alla conservazione di una piccola lingua ossea palatale crestale, vedremo più avanti con quale obiettivo. L’interno della grande cavità residua deve essere attentamente ispezionato, ripulito e svuotato da qualsiasi residuo dentale, capsulare e osseo. Fatto questo, procediamo a un lavaggio accurato con antibiotico che completa chimicamente il lavoro meccanico precedentemente eseguito. L’antibiotico predispone favorevolmente l’azione della chemiotassi e della fagocitosi 8-9 dei globuli bianchi nel loro compito endogeno di disinfezione. A questo punto cerchiamo di utilizzare al meglio gli spazi per costruire la sede di allettamento della fixture. Nel caso specifico non costruiremo un alveolo implantare come in osso nativo pieno, ma cercheremo di bloccare l’impianto in una grande cavità apparentemente non contenitiva. L’obiettivo è quello di ottenere una “doppia stabilità” alla base e all’apice della fixture. Questa condizione potrà garantire alla componente ricostruttiva di ottenere una valida osteointegrazione dell’impianto. Iniziamo con la perforazione dell’osso crestale, oltrepassiamo con la fresa il suo spessore e raggiungiamo il fondo della cavità dove prolunghiamo la perforazione per circa 4-5 mm. Questo lavoro richiede l’utilizzo di frese particolarmente lunghe e di un impianto di grandi dimensioni. Nel caso specifico è stato utilizzato un impianto Exacone 10-23 Leone cilindrico a connessione conometrica (cono Morse) di diametro 4,8 mm e altezza 14 mm con tappo di guarigione immediato. La perforazione in apice garantisce la stabilità apicale grazie all’inserimento delle prime due o tre spire, mentre la conservazione di una lingua ossea crestale palatale garantisce la stabilità dell’impianto sul collo e sul tappo di guarigione (Fig. 3).
A questo punto procediamo al riempimento con biomateriale. Il riempimento in questo caso è doveroso essendo lo spazio tra fixture e margine osseo ampiamente superiore ai 2 mm. In questa fase è necessaria una sufficiente irrorazione ematica che possa conquistare completamente il biomateriale per dar luogo alla sua totale sostituzione con osso autologo. Per far sì che ciò avvenga dobbiamo posizionare il materiale senza compattarlo esageratamente (Fig. 4).

A questo punto suturiamo con un punto a materassaio crestale e punti staccati sulle incisure rilascianti palatali e vestibolari. Due punti staccati vengono aggiunti anche a livello crestale a sostegno del punto a materassaio detto sopra (Figg. 5, 6).
Dopo 5 mesi possiamo verificare l’ottimo stato di salute parodontale (Figg. 7-9).
Dal leggero decubito crestale riusciamo chiaramente a intercettare il tappo di guarigione. Procediamo con una piccola opercolizzazione e sostituiamo il tappo di guarigione standard da 3 mm posizionato intraoperatoriamente con uno identico da 5 mm (Figg. 10-12).
Dopo soltanto due settimane abbiamo una buona condizione clinica dei tessuti nel tragitto transmucoso. Questo perché la volumetria del platform switching 24-29 era già stata impostata utilizzando un tappo di guarigione in fase chirurgica. In seguito all’opercolizzazione e alla sostituzione del tappo di guarigione non avremo fatto altro che favorire la migrazione dell’epitelio lungo il profilo interno del tragitto transmucoso, creando una condizione di protezione al connettivo e quindi di buona salute parodontale (Figg. 13-15).
A questo punto rileviamo l’impronta utilizzando il perno da impronta Leone con diametro 4,8 mm. La parte del perno destinata all’interno fixture presenta una struttura che permette la sua estrazione con l’impronta. Questa porzione è caratterizzata da un esagono in testa con funzione antirotazionale e stabilizzante; non presenta le caratteristiche del cono morse, bensì uno stelo più piccolo che non vincola la connessione; presenta inoltre un appoggio a chiusura sul collo dell’impianto. La porzione esterna del perno in prossimità del collo riproduce la forma del platform già impostata dal tappo di guarigione, immediatamente seguita da una forma cilindrica piena. L’ultima parte della porzione esterna presenta una spaccatura a mezzo cilindro facilmente leggibile per un eventuale riposizionamento del perno nell’impronta. Si notano inoltre tre solchi costruiti appositamente perché il materiale da impronta possa penetrare e facilitarne l’uscita dalla fixture quando viene tolta l’impronta (Fig. 16).
Inseriamo il perno da impronta perfezionandone la discesa con un colpetto di martello. La porzione cilindrica piena scompare in parte o in toto all’interno del tragitto transmucoso mentre la parte sezionata emerge con i relativi solchi (Figg. 17-19).
Una volta tolta l’impronta, vediamo come la parte sezionata del perno rimane inserita con precisione nell’elastomero (Figg. 20-22).
In laboratorio viene posizionato un analogo di impianto, colata l’impronta e verificato l’angolo dell’asse implantoprotesico. Nel caso specifico si è reso necessario un moncone angolato per facilitare l’emergenza centrata del moncone nello spazio interdentale. Il moncone presenta anch’esso una porzione intrafixture e una extra. La parte interna riproduce completamente la logica del cono morse, quindi un esagono antirotazionale in testa e un cono con angolo piccolo e ampia superficie di attrito. Queste due caratteristiche garantiscono l’estrema stabilità del giunto con assenza di gap, micromovimenti e alta resistenza ai carichi dislocanti. La parte esterna del moncone individua l’angolazione dell’asse implantoprotesico e deve presentare una scanalatura.

All’interno di essa possiamo collocare un punteruolo, dirigendo il colpetto di connessione in asse con il cono piuttosto che con il moncone (Fig. 23).
Inseriamo il moncone verificando come la parte emergente sia limitata alla porzione da protesizzare (Figg. 24-26).
Proviamo la struttura controllando la forma, il rispetto dei tessuti molli e gli spazi necessari in relazione centrica e nelle funzioni di lateralità e protrusiva (Figg. 27-29).
Prendiamo un’ulteriore impronta di precisione sulla struttura per visualizzare esattamente gli spazi e costruiamo la ceramica (Figg. 30, 31).
Cementiamo la corona controllando lo scatto del filo interdentale sui punti di contatto, la guida canina nella funzione di lateralità e la compressione minimale sui tessuti molli (Figg. 32-34).
Dopo 5 mesi un ulteriore controllo clinico evidenzia come i tessuti molli si siano adeguati alla festonatura gengivale fisiologica ricreando una linearità del margine ed evitando l’inestetismo del “dente lungo”. Vediamo inoltre come le papille prossimali abbiano ripreso un aspetto naturale nella forma, nel colore e nella consistenza (Figg, 35, 36).
In appendice, la radiologia dell’intervento (Figg. 37, 38) e del controllo a 5 mesi dalla protesizzazione, ovvero a 10 mesi dall’intervento (Fig. 39).
Per concludere, un affiancamento del quadro clinico inziale a quello finale (Figg. 40, 41).

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Risultati
Il risultato del lavoro è stato una valida sostituzione implantoprotesica del canino da un punto di vista radiologico, osteointegrativo ed estetico in un tempo relativamente breve di circa 6 mesi, contro indicativamente i 18 mesi di un approccio ortodontico.
Discussione
I vantaggi della metodica implantoprotesica nel canino incluso consistono nella rapidità e nell’estetica del trattamento rispetto al gold standard ortodontico, che comunque prevedrebbe una parte chirurgica per l’esposizione dell’elemento incluso e il posizionamento del bottone. I limiti di questo metodo sono invece rappresentati dalla perdita di un elemento dentale naturale a favore di un elemento implantoprotesico e dalla permanenza del disallineamento dentale dovuto al mancato trattamento ortodontico. Il risultato clinico ottenuto è da ritenersi interessante per i buoni parametri estetici, biologici e funzionali.

Ringraziamenti
Ringrazio i miei collaboratori che mi hanno aiutato a realizzare questo lavoro nella fase progettuale, clinica, protesica, iconografica e redazionale.
Realizzazioni protesiche: Laboratorio odontotecnico SP LaborDental di Stolfi, Parolo e Meloni – Pisa.

 

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L'articolo è stto pubblicato su Implant Tribune Italian Edition, novembre 2015.

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