Sebbene il mestiere del medico sia ancora tra i più ambiti in Italia, il numero chiuso delle facoltà di medicina e il blocco del test d’ingresso, fa desistere molti aspiranti camici bianchi. A questi fattori vanno aggiunti il blocco delle assunzioni e il difficile passaggio alle scuole di specializzazioni, con parallele disparità di retribuzioni.
Reportage rilanciati dalle maggiori testate nazionali lanciano da mesi il medesimo grido di allarme: tra alcuni anni scompariranno i medici di base. Secondo un reportage de “La Stampa” entro sette anni 20 milioni di italiani potrebbero rimanere senza il proprio medico; infatti si stima che nei prossimi anni verranno a mancare 16 mila medici di famiglia.
Da oggi al 2023 andranno in quiescenza 21.700 medici di famiglia, che se prima appendevano il camice al chiodo verso i 70 anni ora si ritirano intorno ai 67 o prima se hanno raggiunto i 35 anni di contribuzione: “Bisogna aumentare i posti nelle scuole post-laurea di medicina generale, altrimenti sul territorio rimarranno solo i pazienti” denuncia il presidente dell’Enpam, Alberto Oliveti.
Con una stima di 1200 pazienti per ogni medico, vuol dire che un assistito su tre rimarrà senza. Un fenomeno diffuso in tutta Italia, anche se i numeri sono più allarmanti a Nord. In Piemonte, ad esempio, nei prossimi sette anni lasceranno lo studio 1173 medici di famiglia, in Lombardia 2776, in Veneto 1600, in Liguria 527. E il problema è per ogni quattro dottori che lasciano, ce n’è solo uno pronto a subentrare se le regioni continueranno, come fanno oggi, a elargire con il contagocce le borse di studio per accedere alla professione.
Dinanzi questi numeri si ci scontra con le difficoltà di molti giovani sia ad intraprendere la professione, quanto il spesso complesso percorso accademico, con da una parte un difficile accesso alle scuole di specializzazione più ambite, dall’altra la disparità di contribuzione. Secondo i dati diffusi dalla Fimmg, le Regioni che programmano l’accesso alla professione non vanno oltre i 900 borsisti l’anno, mentre le uscite marciano al ritmo più che triplo: oltre tremila camici bianchi ogni dodici mesi. “I giovani non vengono incentivati a intraprendere la formazione in medicina generale” puntualizza il vicesegretario nazionale vicario della Fimmg, Silvestro Scotti “Visto che i giovani che scelgono la specialistica, come chirurgia od ortopedia, possono contare su una retribuzione mensile di 1700 euro. I borsisti che aspirano a diventare medici di famiglia a malapena raggiungono gli 800 euro”.
Si ricorda inoltre che i futuri medici di famiglia sono a carico delle Regioni. Che da un lato tirano i cordoni della borsa, dall’altro - insieme al governo centrale - pensano a un nuovo modello di assistenza per il futuro dove il primo punto di contatto per il cittadino sul territorio non sarà più il medico di base ma infermieri e tecnici della riabilitazione, con alle spalle équipe mediche pronte a intervenire alla bisogna. Un sistema che si pensa possa far limitare le prescrizioni e, quindi, produrre risparmi.
In questo complesso scenario uno studio condotto da Anaao lancia un grido di allarme per il prossimo decennio: andranno infatti in quiescenza 47.300 specialisti ospedalieri e 8200 universitari e specialisti ambulatoriali, con quindi un esodo di oltre 55.000 medici. Dinanzi questi numeri persiste il parziale blocco delle assunzioni, con la possibile sostituzione di un solo camice bianco su quattro. Una politica che sta portando ad una carenza di medici negli ospedali e ad un innalzamento dell’età media dei dottori. Basti solo pensare che i giovani medici tra i 30 e i 34 anni sono solo l’1,7%. Con questo trend, anche se si dovesse tornare alle piene assunzioni, entro un decennio mancheranno oltre 20.000 medici all’appello nelle strutture ospedaliere.
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