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Quale futuro per l’utilizzo dell’osso di banca in odontoiatria?

Stefano Fiorentino

Stefano Fiorentino

mar. 23 settembre 2014

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L’osso umano omologo, distribuito dalle Banche del Tessuto italiano, ha negli ultimi anni incontrato sempre di più il favore dei dentisti italiani, soprattutto negli interventi di alta chirurgia rigenerativa, ovvero quando il difetto osseo necessitava di apporto di materiale velocemente e naturalmente rimodellabile dall’organismo.

A disposizione dell’odontoiatra erano presenti, sino a poco tempo fa, tessuti ossei raccolti, prelevati e “processati” in Italia e quelli provenienti da Banche estere, che distribuivano il prodotto in Italia passando attraverso il controllo sistematico di una o più Banche italiane, tanto che il dentista doveva richiederlo solo ed esclusivamente alla Banca italiana che ne effettuava l’importazione.

Nel vecchio sistema, l’attività di “promozione” del tessuto proveniente da Banche estere – intesa come informazione sulle sue caratteristiche al medico/potenziale utilizzatore – veniva svolta da aziende private che anticipavano i costi di acquisizione del tessuto, atteso che ai sensi della nostra legge di riferimento (D.Lgs. 191/2007, art. 29), nessuna Banca italiana avrebbe potuto acquisire il tessuto da quelle estere per mancanza di fondi e per non gravare di nuovi costi la finanza pubblica. La situazione normativa è cambiata lo scorso anno con il Decreto Ministero Salute 10.10.2012, entrato in vigore il 19 gennaio 2013, secondo cui le Banche italiane debbono avere un rapporto convenzionale diretto con quelle estere per l’importazione del tessuto. La norma non farebbe una grinza, se fossero dotate di mezzi economico-finanziari con cui acquistare direttamente i tessuti dall’estero: peccato che, essendo le Banche strutture pubbliche (quindi in regime di costante spending review), il nuovo sistema diventi di fatto inattuabile, in quanto le Banche estere non possono certo “anticipare” tessuto a quelle italiane in attesa che paghino il corrispettivo con i tempi che si possono immaginare.
A questo si aggiunga che nella primavera 2013, la Procura di Torino ha avviato un’indagine che coinvolgerebbe aziende private e Banche del Tessuto italiane in merito a paventate violazioni delle normative italiane ed europee in materia di tessuti umani. Perlomeno è quanto abbiamo letto su la Repubblica del 28 luglio 2014 che titolava “Importazione di tessuti umani. Guariniello apre un’inchiesta”. Secondo il magistrato, l’arrivo in Italia dei tessuti non sarebbe avvenuto con le strutture pubbliche, ma tramite privati, violando una legge del 2007.

Ispezioni del Ministero della Salute
A seguito dell’indagine, subito balzata all’onor di cronaca, il Ministero della Salute nell’agosto/settembre 2013 ha invitato formalmente le Banche del Tessuto italiano a sospendere ogni importazione dall’estero, in attesa di linee guida precise sul funzionamento del nuovo sistema, nelle quali i “punti caldi” da risolvere sarebbero sostanzialmente due:
1) la possibilità o meno, per le Banche italiane, di stringere accordi di importazione con Banche estere profit;
2) il ruolo dei privati nel nuovo sistema.

Il primo, in realtà, è un “non problema”: l’Italia ha recepito la direttiva madre in materia di tessuti umani (2004/23/CE) in modo estremamente rigido, imponendo lo status pubblico e no profit alle Banche nazionali; altri Paesi europei, per converso, hanno consentito che possano essere Banche dei Tessuti anche strutture private e/o profit, pur mantenendole sotto i più rigorosi controlli statali: è il caso, ad esempio, della Germania, in cui possono anche essere strutture private profit, ma debbono soggiacere ai rigidi controlli dello Stato federale in materia di tessuti umani.
L’equivoco nel quale si è smarrito il Ministero consiste nel fatto che il decreto 10.10.2012 non esclude dal novero dei possibili Enti convenzionabili le Banche profit bensì i “Paesi che fanno libero commercio di tessuti”. La dicitura, secondo il parere di chi scrive, ma anche secondo l’interpretazione giurisprudenziale e dottrinaria consolidate, è pacifica e intende con ciò quei Paesi privi di regolamentazione sulla gestione di organi e tessuti, cioè dove sono legittimi (o non regolati, pertanto liberi) l’acquisto o la vendita di organi e tessuti. Situazione non certo riferibile alla Germania della Merkel.

Il secondo punto è invece molto delicato. La corretta informazione e la promozione tessutale da parte di aziende private operanti sotto il controllo di Banche pubbliche non costituiscono certo “attività commerciali sui tessuti”, dovendosi invece ritenere attività indispensabili per incrementare l’utilizzo di quei tessuti umani che la legge 91/99 dichiara “obiettivo del Servizio Sanitario Nazionale”. Sarebbe certamente contrario all’etica tessutale che il frutto di una donazione rimanesse inutilizzato nei magazzini delle Banche: chi opera fattivamente nel settore sa bene che solo la promozione e l’informazione al medico utilizzatore possono, di fatto, contribuire a incrementarne l’utilizzo. Promozione e informazione sono pertanto strumento necessario per perseguire l’obiettivo del SSN, servizi indispensabili che la Banca può delegare a terzi sotto il suo esclusivo, assoluto controllo (art. 24 D.Lgs. 191/2007): pensare a un sistema di tissue banking senza servizi in outsourcing ai privati è di fatto impossibile. Meglio sarebbe indicare i limiti entro i quali le aziende private possono svolgere attività di informazione sotto il controllo delle Banche pubbliche.

A fronte di questi unici punti bisognosi di chiarimento, inutile dire che, a distanza di oltre un anno dal blocco delle importazioni di tessuto, nessuna linea guida è stata emanata, con la conseguenza che le Banche italiane non importano più alcun tessuto dall’estero e, per evitare qualsiasi problema, hanno al tempo stesso limitato fortemente l’attività di promozione tessutale svolta in via diretta, ovvero senza l’ausilio di terzi. La mancanza di regole chiare, contrariamente a quanto ipotizzato dai soliti “cervelloni”, non ha certo favorito l’utilizzo del tessuto osseo nazionale a scapito di quello straniero, in quanto i dentisti (ma lo stesso valga negli altri settori chirurgici, ortopedia in primis), proprio per evitare inutili seccature, si sono orientati rapidamente verso tessuti biologici eterologhi (bovini, equini, suini ecc.) che, in quanto medical devices, sono di libera vendita e utilizzo, essendo dotati della prescritta marcatura CE! Che dire? Dopo i limiti all’utilizzo dei fattori di crescita piastrinici connessi al sistema trasfusionale italiano, i recenti warning dell’AIFA sull’utilizzo della collagenasi nel tessuto adiposo, le puntualizzazioni dell’EMA e del CAT sull’utilizzo dell’aspirato midollare nella bone surgery, ecco dunque un altro prodotto, l’osso di banca, che viene potenzialmente “sottratto” alla disponibilità del dentista italiano che si occupa di rigenerativa.

Cari amici dentisti, siate coscienti di ciò che sta accadendo, parlatene nei congressi, approfondite questi concetti nelle tavole rotonde, portate il caso alle associazioni scientifiche di categoria perché se nessuno farà nulla, tra qualche anno la vera chirurgia rigenerativa orale verrà fatta solo all’estero, magari ancora da ottimi dentisti italiani, che dovranno necessariamente recarsi fuori dal Bel Paese se vorranno offrire ai pazienti scelte biologiche al top e chirurgie rigenerative di alto livello.

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