Dall’osteointegrazione alle perimplantiti: quale scenario per il futuro?

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Dall’osteointegrazione alle perimplantiti: quale scenario per il futuro?

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ven. 27 settembre 2013

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Professor Simion, con la stessa forza con cui si è diffusa la moderna implantologia osteointegrata, adesso si parla di diffusione della perimplantite? È una nuova patologia da prendere in seria considerazione?

Certo. Il paziente trattato con impianti dentali è sempre un paziente a rischio, a dispetto di quanto si sosteneva negli anni Novanta, quando le percentuali di successo a lungo termine superiori al 95% ci facevano dire che un impianto sarebbe durato per sempre. I dati di allora non possono essere utilizzati con gli impianti di oggi e attualmente il paziente implantare deve essere considerato come un paziente affetto da malattia parodontale in fase di mantenimento.

Quindi sono state fatte delle affermazioni sbagliate?
No. Quando abbiamo parlato del 97% di sopravvivenza implantare stavamo raccogliendo dati che riguardavano una tipologia di impianti codificata che successivamente è stata modificata. Dopo i primi anni l’industria ha rivolto l’attenzione della ricerca verso lo sviluppo di superfici implantari trattate con acidi, sabbiature o ossidazioni anodiche per ottenere un maggior tropismo degli osteoblasti su superfici ruvide.
L’obiettivo era ottenere una integrazione e una funzionalità precoci e quindi anche una differenziazione commerciale dei prodotti. Questo ha naturalmente cambiato il valore dei dati che avevamo raccolto nella prima fase della ricerca sull’osteointegrazione.

Come vede lo scenario attuale dell’implantologia osteointegrata?
L’implantologia osteointegrata è stato uno dei fattori che più hanno influenzato l’odontoiatria negli ultimi trent’anni, ma adesso dobbiamo seriamente rivalutare in maniera critica e retrospettiva i successi ottenuti a lungo termine e non solo quelli a breve termine.

L’alta predicibilità del trattamento implantare non è più un punto di forza di questa terapia?
Oggi ci confrontiamo quotidianamente con le infezioni perimplantari che costituiscono la principale causa di insuccesso implanto-protesico e si manifestano a distanza di 5 anni o più. Non sempre le intercettiamo, ma la perimplantiti sono molto diffuse.
Purtroppo le conseguenze di un fallimento tardivo sono più gravi perché compromettono il tessuto osseo perimplantare e la riabilitazione protesica definitiva.
Al contrario, un fallimento precoce si può correggere con la sostituzione dell’impianto senza gravi conseguenze.
Se l’obiettivo della terapia implantare è la sopravvivenza a lungo termine, con le nuove superfici trattate quest’ultima non è affatto migliorata perché forse i fallimenti tardivi sono aumentati più di quanto siano diminuiti quelli a breve termine.

Ma che peso possono avere le perimplantiti in termini percentuali?
Dati precisi non esistono ancora perché la comunità scientifica è divisa nella determinazione dei criteri diagnostici e nella definizione delle perimplantiti.
Alcuni considerano come perimplantite anche i fisiologici adattamenti dell’osso. In base a questa interpretazione il 56% dei pazienti sarebbe affetto da perimplantite.
Alla luce dei nuovi criteri diagnostici più realistici, emersi al recente congresso della Osteology Foundation a Monte Carlo, ritengo che con le superfici implantari ruvide il rischio di infezioni dei tessuti perimplantari difficilmente curabili sia aumentato di molto e le percentuali di prevalenza si attestino sul 10-12% degli impianti e il 20-25% dei pazienti. Valori percentuali comunque troppo alti rispetto al passato.

Come si deve comportare l’odontoiatra?
Bisogna saper distinguere tra le proposte che ci vengono fatte dalle aziende ed essere aperti a rivedere i propri protocolli chirurgici.
A Milano, Assago, il 15 novembre 2013 si terrà un corso, da me organizzato, per fare il punto sulla moderna osteointegrazione e soprattutto sulle perimplantiti.
Maggiori informazioni si trovano sul sito www.osteointegration-revisited.it.
Ritengo che sarà un evento molto utile per chi vuole aggiornarsi in maniera libera e senza il coinvolgimento degli sponsor tradizionali.

La perimplatite è una patologia difficile da trattare?
Certamente: il trattamento della perimplantite oggi non è predicibile. Infatti la terapia non chirurgica non si rivela efficace e anche la terapia chirurgica a cielo aperto ha percentuali di successo intorno al 50%. Il problema di sempre è la decontaminazione batterica delle superfici ruvide. Purtroppo anche per la diversa tipologia di superfici disponibili è molto difficile identificare protocolli standard e attualmente gli operatori devono accontentarsi di ricorrere a metodi empirici.

Con l’avvento dei fattori di crescita la GBR, di cui lei è stato uno dei padri, la perimplantite è destinata ad avere un ruolo diverso?
Nel nostro gruppo abbiamo lavorato molto alla semplificazione della terapia e abbiamo lavorato all’introduzione di tecniche e materiali per l’ingegneria tissutale. In modo particolare abbiamo studiato i Platelet Derived Growth Factors (PDGF), un fattore di crescita di derivazione piastrinica che favorisce la rigenerazione sia del tessuto osseo che dei tessuti molli. Purtroppo il PDGF è disponibile negli Stati Uniti, ma non in Europa e non mi sembra che burocrazia, limiti legislativi e dati della ricerca facciano intravedere una disponibilità commerciale a breve termine. Poiché gli altri fattori di crescita hanno delle forti limitazioni sia operative che legislative che di efficacia clinica, credo che la GBR per ora sia una delle poche strade percorribili per gli aumenti di volume senza ricorrere ad alternative molto più invasive e non sempre predicibili.

L'articolo è stato pubblicato sul numero 3 di Implant Tribune 2013 Italy

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