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Overdentures su impianti: riabilitazione ancora attuale?

S. Carossa

S. Carossa

ven. 18 marzo 2016

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Il miglioramento dei protocolli di prevenzione e della qualità delle cure odontoiatriche ha comportato, negli ultimi anni, una probabile diminuzione degli edentulismi totali in alcune fasce di età adulta avanzata, in precedenza maggiormente esposte al problema.

Questo fatto, unitamente allo sviluppo e alla diffusione dell’implantologia moderna che ha profondamente cambiato l’approccio diagnostico- terapeutico nelle riabilitazioni protesiche degli edentulismi sia parziali che totali, ha indotto molti professionisti, soprattutto delle nuove generazioni, a considerare di minor interesse clinico la riabilitazione dell’edentulo mediante protesi totale. Sempre più diffusa è la tendenza alla riabilitazione implantoprotesica fissa in ogni situazione clinica. Si è arrivati al punto che, presso alcune scuole qualificate a livello internazionale, è stata proposta l’abolizione dell’insegnamento di protesi totale nel Corso di laurea in Odontoiatria e Protesi dentale. La realtà invece è diversa per una serie di motivi:

  • l’incremento della lunghezza della vita media della popolazione con una percentuale significativa di soggetti oltre i 75 anni di età fa sì che vi sia un aumento degli edentuli per la perdita fisiologica di elementi dentari.
Il peggioramento della crisi socio-economica, anche in Occidente, che colpisce in particolare gli anziani pensionati, fa sì che questi soggetti sovente non abbiano le possibilità di sostenere le spese per una riabilitazione implantoprotesica fissa.
  • l’aumento delle patologie sistemiche, correlato con l’innalzamento dell’età media, che può rappresentare una controindicazione a interventi chirurgici anche ambulatoriali quali quelli di inserzione di impianti.

Pertanto, la richiesta di riabilitazioni totali rimovibili nei prossimi decenni rimarrà elevata; anzi, si prevede che tenderà ad aumentare.
Da un lavoro di Douglass e collaboratori del 20021 riferito alla popolazione degli USA, a fronte della costruzione di 33 milioni di protesi totali nel 1991, se ne stima una produzione di circa 38 milioni nel 2020.
La riabilitazione mediante protesi totale, per quanto ben eseguita, comporta in assoluto dei significativi limiti di efficienza masticatoria. La gravità di tale deficit è legata soprattutto alla difficoltà di ottenere adeguate ritenzione e stabilità della protesi mandibolare. La difficoltà è dovuta alla minor superficie di appoggio mandibolare rispetto a quella mascellare. Ad aggravare la condizione nel tempo inoltre, vi è un progressivo maggior riassorbimento dell’osso mandibolare rispetto a quello dell’osso mascellare (mediamente 4 volte superiore).

L’instabilità della protesi inferiore, la cui entità è in relazione al grado di riassorbimento osseo, può avere conseguenze sia in termini di patologie che di disagio funzionale. La diminuita efficienza masticatoria può condurre a sindromi da malnutrizione dovute a un’insufficiente assunzione alimentare, e una spiccata mobilità protesica può rendere difficoltosa la funzione fonatoria e indurre inoltre il paziente a non indossare la protesi durante la notte, provocando o aggravando disturbi del sonno quali la OSAS (obstructive sleep apnoea syndrome).

Per ovviare ai limiti funzionali sopracitati, la soluzione più idonea è la overdenture (OVD) mandibolare ritenuta da impianti osseointegrati. La validità di tale riabilitazione è testimoniata dalla notevole crescita negli ultimi anni del numero di pubblicazioni scientifiche a riguardo, prodotte dai più autorevoli ricercatori clinici nel campo protesico. L’OVD è facilmente applicabile anche alle fasce di pazienti più anziani, poiché comporta costi e invasività chirurgica inferiori rispetto a riabilitazioni implantoprotesiche fisse. La presenza degli impianti, oltre che stabilizzare la protesi, limita il progressivo fisiologico riassorbimento osseo attorno agli impianti stessi. Numerosi studi, tra i quali molti effettuati dalla Scuola protesica torinese, hanno analizzato mediante tecniche istologiche, biomolecolari, neurofisiologiche e biomeccaniche, i cambiamenti nella mandibola alla base del recupero della propiocezione persa a causa dell’assenza dei legamenti parodontali. La presenza dei due impianti stimola l’attivazione di propiocettori vicarianti contenuti nelle mucose, muscoli e osso intorno e adiacenti agli impianti, consentendo il ripristino di una funzione più fisiologica.
Numerosi lavori scientifici evidenziano come il miglioramento della stabilità della protesi ottenuto mediante OVD incida profondamente sulla qualità della vita dei pazienti.

Per poter applicare la soluzione tecnica più idonea alla situazione clinica del paziente è necessario conoscere i vari tipi di ancoraggi disponibili quali attacchi a pallina, Locator, magnetici, barre ecc.
Una recente metodica che utilizza mini-impianti e il carico immediato è attualmente oggetto di uno studio clinico presso la Dental School di Torino. Dai primi riscontri la procedura risulta altamente affidabile. I vantaggi sono rappresentati, rispetto alla OVD tradizionale, da una significativa riduzione dei costi, da una più ampia applicabilità e da un aumentato comfort per il paziente. Questi ultimi punti sono dovuti a una minore invasività chirurgica legata al diametro ridotto degli impianti (che possono essere inseriti anche in situazioni di spiccato riassorbimento osseo) e al fatto che le fasi chirurgica e di ancoraggio protesico vengono effettuate nella stessa seduta operatoria.

 

Bibliografia
1. Douglass C.W., Shih A., Ostry L. (2002), “Will there be a need for complete dentures in the United States in 2020?”, J Prosthet Dent. 2002 Jan;87(1):5-8.

 

L'articolo è stato pubblicato su Implant Tribune Italian Edition, marzo 2016

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