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L’importanza della tecnologia e della multidisciplinarietà: intervista al presidente SIE Mario Lendini

Mario Lendini, presidente SIE.
Patrizia Biancucci

Patrizia Biancucci

mar. 17 dicembre 2024

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Il dott. Mario Lendini è un libero professionista torinese esperto in varie discipline odontoiatriche e attualmente presidente della SIE (Società Italiana di Endodonzia), un ruolo molto prestigioso ma altrettanto faticoso.

Dott. Lendini, non vede l’ora che finisca il suo mandato?
È un impegno gravoso, ovviamente grande onore e molto interessante ma anche grande fatica. In questi due anni ho imparato molto, però è un ruolo impegnativo perché una società scientifica moderna, attuale, grande, importante come la SIE ha bisogno di essere seguita, è quasi un secondo lavoro a tempo pieno. Per fortuna ho uno staff e un consiglio direttivo che mi hanno aiutato tantissimo.

La SIE risponde al bisogno dei pazienti di mantenere il più possibile i propri denti naturali anziché toglierli, e voi endodontisti a volte fate dei miracoli. Ma la SIE è andata oltre con il congresso nazionale che si è svolto all’hotel Marriott di Roma, dal 14 al 16 novembre. Il titolo “Le fondamenta della multidisciplinarietà” che ha raccolto 5 discipline con 18 relatori a testimonianza dell’ampio raggio dell’endodonzia. Ci dica due parole su questo evento che sembra essere stata l’occasione per concludere al meglio la sua presidenza.
Quest’anno è stato un congresso veramente disciplinare e con un notevole numero di partecipanti, a differenza dell’anno passato che era focalizzato sull’endodonzia, sui nuovi materiali e sulle nuove tecnologie. Noi pensiamo che l’endodonzia sia un po’ la base, le fondamenta appunto dei trattamenti odontoiatrici, perché quando non si fa una buona endodonzia la protesi successiva non sarà all’altezza, la conservativa non potrebbe essere realizzata in maniera adeguata, quindi l’endodonzia si pone in un certo senso come guida, nel senso che all’endodontista spetta anche il ruolo decisionale fra la conservazione del dente oppure consigliare altri percorsi terapeutici. L’endodonzia dunque è fondamentale per cui nel congresso di quest’anno abbiamo avuto i soci attivi per parlare di endodonzia ma anche altri esperti di alto livello in diverse specialità sempre in rapporto con l’endodonzia. 

Dott. Lendini, cosa ne pesa dei sistemi di ingrandimento, vale a dire l’uso del microscopio nella pratica endodontica quotidiana? Serve una curva di apprendimento? Lo fanno anche le università? 
Molte università si sono ormai attrezzate, l’Università di Torino in primis, ma non solo. In tante altre università ormai fa parte sia dell’insegnamento durante il corso di laurea, poi anche nei master post lauream. Quindi sì, ci sono certamente dei percorsi di apprendimento. Il microscopio è uno strumento importantissimo perché ci permette di vedere meglio, l’area di visione è correttamente illuminata da una luce coassiale all’asse ottico, quindi a quello che vediamo. Il microscopio non serve a far diventare più bravi, serve semplicemente a fare meglio le cose che già sappiamo fare. Quindi dobbiamo imparare a usare il microscopio non solo noi medici, ma anche le nostre assistenti; per questo motivo nei nostri congressi, compreso quest’ultimo, abbiamo avuto una sessione dedicata alle assistenti per affiancare in maniera corretta l’operatore che usa il microscopio. Questo l’abbiamo esteso anche alle igieniste che oggi usano microscopi a ingrandimenti più bassi. Ormai lo usano tanto i protesisti e i conservatori, un po’ meno i parodontologi.

Dal momento che aumenta l’efficienza della prestazioni endodontica e fa risparmiare tempo, ci sono vantaggi anche sotto il profilo economico?
L’efficienza perché uno riesce a fare meglio le cose in un tempo più limitato, le cose più difficili, quando ha imparato ad usarlo. È ovvio che c’è una curva di apprendimento e questa va gestita come in tutte le cose, però una volta che è entrato nella nostra routine quotidiana è uno strumento eccezionale.

Possiamo dire che c’è una relazione tra l’utilizzo dei strumenti di ingrandimento e quello che ormai impera come concetto di mini-invasività?
Certo, è ovvio. L’endodonzia chirurgica realizzata al microscopio ci consente di fare un accesso minimale, una breccia ossea molto piccola perché abbiamo una visione comunque ingrandita, anche in chirurgia parodontale. Ma io lo uso a volte per controllare i margini di preparazione se ho dei dubbi, perché mi permette veramente di avere un quadro molto preciso, quindi il risparmio di tempo alla fine c’è.

Il paziente può vedere cosa sta facendo l’operatore durante l’intervento?
Assolutamente sì, il paziente vede perché io guardo negli oculari, poi ci sono due possibilità: o c’è un secondo oculare per le assistenti, ma io preferisco una cosa diversa e per cui mentre io lavoro e guardo per la maggior parte del tempo negli oculari, le assistenti guardano in due grossi monitor che sono messi in angoli diversi e che permettono di seguire l’intervento. Addirittura alcuni pazienti mi hanno chiesto la registrazione dell’intervento.

Migliora anche l’immagine dello studio?
Questo assolutamente sì. È un po’ come avere la cone beam in studio, che vent’anni fa era una cosa un fuori dall’ordinario. Sono stati i miei due grandi investimenti a distanza di alcuni anni l’uno dall’altro ed entrambi hanno cambiato il mio modo di lavorare. 

Sappiamo che lei è un’eccellenza in campo endodontico, ma la media dei nostri colleghi utilizza questi sistemi?
Quando io ho comprato il primo microscopio, forse ce n’erano una decina in Italia. Adesso è diventato un prodotto più diffuso, anche i costi si sono abbassati e si hanno prodotti con delle caratteristiche veramente molto buone. Tanto per dirne una, la luce: la luce led di oggi costa un decimo della luce allo xeno che compravamo noi 25 anni fa e che era bellissima ma costava una cifra improponibile. Era veramente un grosso investimento. Oggi ci sono tante possibilità che sono anche modulari per cui uno può iniziare con una cosa base e poi aggiungere delle funzioni in più. I microscopi sono più leggeri e più o meno ingombranti. Certo esistono ancora i top di gamma che hanno delle caratteristiche magari superiori, però a seconda di quello che uno decide di fare può fare una scelta mirata in base alla strada da percorrere per poi adeguarla alle necessità e all’evoluzione del proprio modo di lavorare. 

Quindi abbiamo dato degli spunti interessanti anche a chi magari non è ancora convertito a queste tecnologie di alta precisione.
Se posso permettermi aggiungo ancora altre due cose. Nel congresso non c’è stata soltanto la sala principale con i relatori citati prima, ci sono state delle tavole cliniche in cui i relatori erano in rapporto diretto con una quindici di partecipanti, ci sono stati sei corsi pre-congresso teorico-pratici nella giornata del giovedì pomeriggio con un numero limitato a venti persone. Abbiamo avuto anche le relazioni libere, i premi Garberoglio per la ricerca e molto altro. Insomma, il panorama è stato veramente ampio con tanti spunti e con la possibilità di spostarsi da una sala all’altra in base ai propri interessi.

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