DT News - Italy - Lacci e lacciuoli della professione odontoiatrica in un momento di crisi economica e d’identità

Search Dental Tribune

Lacci e lacciuoli della professione odontoiatrica in un momento di crisi economica e d’identità

© shutterstock.com
G. Marzo

G. Marzo

mar. 16 maggio 2017

salvare

L’odontoiatra svolge nella società civile un ruolo di rilievo. La sua funzione di prevenzione è di fondamentale importanza non solo per le patologie orali, ma per tutte quelle malattie che riguardano la salute in generale. In Italia il settore odontoiatrico genera inoltre un indotto, di circa quattrocentomila addetti (dati de Il Sole 24 Ore) tra odontoiatri, odontotecnici, assistenti, segretarie, agenti e fornitori, cin un fatturato annuo totale sui dieci miliardi di euro.

Un momento importante nella formazione del professionista è il percorso universitario che, oltre alla valorizzazione delle capacità tecnico-scientifiche, permette di sviluppare parallelamente una costante attenzione alla dimensione umana del paziente, quale sistema complesso di diagnosi e cura, a cui approcciarsi in maniera armonica e trasversale. L’Università dell’Aquila, sede alla quale chi scrive, appartiene come docente, cerca da sempre di coniugare gli insegnamenti accademici con la vita lavorativa post-lauream, proponendo agli studenti dell’ultimo anno incontri specifici di avviamento alla professione, organizzati in collaborazione con l’Ordine provinciale dei Medici e le principali associazioni sindacali di categoria.

I docenti dei corsi di laurea in Odontoiatria, che hanno la prerogativa di esercitare la professione, rappresentano un esempio virtuoso riuscendo a trasferire efficacemente nell’insegnamento l’esperienza clinica quotidiana di lavoro a contatto diretto con i pazienti e le problematiche legate alla complessità dei casi clinici trattati.

La professione ha vissuto, e ancora ne subisce le conseguenze, un momento di difficile crisi non solo economica ma anche d’identità. Una delle questioni che è tornata prepotentemente alla ribalta in questi ultimi anni, non fosse altro per il diffondersi delle cosiddette “catene”, è l'anarchia che imperversa sulla pubblicità sanitaria, dove la scorretta divulgazione dell’informazione non reca danno soltanto alla professione, ma è irrispettosa dei cittadini e del loro diritto alla salute.

Come noto, l’evoluzione normativa, iniziata con il c.d. Decreto Bersani (D.L. n. 223/2006) e ampliatasi con il Decreto sulla libera concorrenza e pubblicità informativa (D.P.R. n. 137/2012), ha dato vita ad un processo di liberalizzazione nel campo della pubblicità sanitaria. I criteri stabiliti dalle norme hanno tuttavia lasciato ampio margine a diverse interpretazioni giurisprudenziali e a prese di posizione da parte delle autorità preposte, quali l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che ha emanato provvedimenti sanzionatori a carico della FNOMCeO, relativamente agli articoli del codice deontologico sulla pubblicità sanitaria.

Gli Ordini Provinciali purtroppo sono spesso impotenti davanti al dilagare del fenomeno e la Federazione Nazionale non è forse riuscita a interloquire in maniera incisiva con le istituzioni politiche per poter limitare comportamenti scorretti che possano determinare una lesione dei diritti fondamentali e un pregiudizio alla salute dei pazienti. L’attività professionale non si può ridurre alla mera ricerca del profitto, in ogni modo e con ogni mezzo, considerando la salute come una “merce” alla pari di prodotti comunemente venduti sugli scaffali dei negozi.

Il principio della tutela della salute (art. 32 della Costituzione e fondamento etico del nostro Codice deontologico), si realizza anche attraverso una corretta e veritiera informazione sanitaria: le informazioni scorrette e ingannevoli spesso inducono i pazienti a valutazioni erronee, comportando una lesione dei loro diritti fondamentali e un pregiudizio per chi opera nel rispetto delle regole. Sarebbe di grande aiuto alla professione vagliare la possibilità di un incremento delle detrazioni fiscali, per potere offrire alla popolazione una maggiore possibilità di accesso alle cure.

Si tratterebbe di un investimento dovuto da parte dello Stato, e non di un costo, tanto più se si pensa che andrebbe a generare a medio termine un risparmio molto superiore, considerando le migliaia e migliaia di cittadini che non dovranno richiedere al Sistema Sanitario pubblico di farsi carico di situazioni ormai croniche con interventi onerosi e complessi. Se tale risparmio appare difficilmente quantificabile in termini finanziari, risulta invece immediatamente inquadrabile in termini di vantaggi sociali e di tutela dalla salute.

La professione, la deontologia, l’etica, impongono di impegnarsi in questa direzione. Le Istituzioni e la politica non possono rimanere insensibili al nostro richiamo, sulla base di pur motivate ragioni di carattere finanziario che tuttavia non appaiono mai anteponibili alla tutela della salute dei cittadini, il solo bene primario in cui tutti dovrebbero riconoscersi.

To post a reply please login or register
advertisement
advertisement