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Le trasformazioni sociali a cui stiamo assistendo negli ultimi decenni non riguardano solo i flussi migratori con le relative contaminazioni culturali ma anche, e soprattutto, i cambiamenti demografici conseguenti a un sensibile miglioramento della aspettativa di vita nei paesi industrializzati. Basti pensare che nel 2010, per la prima volta, il numero degli adulti over 65 ha superato quello dei bambini sotto i 5 anni di età (Lamster 2016). È evidente che questi cambiamenti avranno conseguenze anche sul modo in cui l’odontoiatra si dovrà misurare con questi fenomeni adesso e nel prossimo futuro.
Il paziente che invecchia, infatti, presenta delle specificità legate a una serie di cambiamenti psico-fisici sia da un punto di vista sistemico che odontoiatrico. L’80% delle persone over 65 ha infatti almeno una malattia cronica e il 50% presenta una co-morbidità di almeno due malattie sistemiche con patologie che spesso richiedono terapie farmacologiche di lungo periodo che hanno ricadute sulle condizione orali prima fra tutte la riduzione del flusso salivare (Lamster 2016).
Da un punto di vista odontoiatrico il paziente anziano deve fare i conti con altre trasformazioni e condizioni cliniche specifiche: la parodontite, che ha una prevalenza fino anche all’80% (Kassebaum et al 2014) le carie radicolari in relazione alla presenza di una iposcialia in parte indotta dai farmaci e in parte alla riduzione della funzione delle ghiandole salivari, la riduzione della manualità con conseguente peggioramento della capacità di rimozione quotidiana del biofilm batterico e soprattutto con una riduzione della dentatura naturale che può arrivare fino alla edentulia totale in circa il 50% dei pazienti over 75 (Report ISTAT 2015).
Questi cambiamenti sono accompagnati anche da significative alterazioni dello stato psicologico, alimentate anche dalle mutate condizioni economiche generali. Ecco che in questo contesto diventa fondamentale promuovere fin dalla giovane età un regime di controllo e prevenzione per quello che riguarda la salute della persona che consenta di ridurre gli effetti negativi dell’invecchiamento. Il dentista e l’igienista in questo senso possono rivestire un ruolo fondamentale nell’intercettare precocemente quelle condizioni orali o sistemiche che possono alterare la salute degli individui.
Purtroppo i dati ISTAT nel nostro paese descrivono un quadro in cui la diagnosi di Parodontite e l’adesione a programmi di prevenzione odontoiatrica sono ancora considerati una nicchia e non la routine. Una recente ricerca demoscopica della Società Italiana di Parodontologia (SIdP gli Italiani e la Parodontite 2017) ha evidenziato come solo il 9% della popolazione nella fascia di età tra i 25 e i 75 anni abbia ricevuto una diagnosi di parodontite, un dato che cozza tremendamente con la prevalenza della malattia, che sappiamo essere di oltre il 50% anche nel nostro paese (Aimetti et al. 2015).
Nonostante l’efficacia dei sistemi di supporto con richiami periodici sia stata ampiamente e ripetutamente dimostrata da studi longitudinali trentennali c’è ancora molto da fare per coinvolgere maggiormente sia la comunità degli odontoiatri e degli igienisti che la popolazione, sulla necessità di migliorare la compliance generale e cioè la partecipazione nei programmi di prevenzione e controllo.
Un ultimo campanello di allarme è rappresentato dall’aumento dell’incidenza di casi di peri-implantite, molto più elevati nella popolazione anziana perché questa fascia di popolazione non viene inclusa in programmi di richiamo adeguati (Costa et al 2012). La Società Italiana di Parodontologia è oggi più che mai impegnata in prima linea per comunicare in modo autorevole ed efficace questi messaggi sia alla professione che ai cittadini perché una buona compliance è certamente la chiave per il successo di qualunque terapia odontoiatrica e spesso anche del mantenimento di una salute e di un benessere generale.
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