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Intervista del dr. Francesco Riva consigliere del CNEL al prof. Vittorio Colizzi

Francesco Riva, consigliere CNEL

Francesco Riva, consigliere CNEL

lun. 27 aprile 2020

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Intervista al Prof. Vittorio Colizzi, MD, PhD Professore di Immunologia dell’Università di Roma Tor Vergata, Cattedra UNESCO di Biotecnologie e Bioetica, Coordinatore Laboratorio Condiviso Covid-19 Tor Vergata.

Prof. Colizzi avendo condiviso con Lei le problematiche legate alle prime fasi dell’epidemia COVID-19, conoscendo la Suo esperienza internazionale nel campo delle pandemie, in particolare nel continente africano, vorrei che spiegasse lo stato attuale dello situazione italiana in merito al COVID-19 per poterlo trasmettere al CNEL.
La grande differenza che posso registrare con la mie esperienze africane (AIDS, Malaria, Tubercolosi, Ebola) è che per il Covid-19 l’attenzione e il massimo delle risorse umane, tecnologiche e finanziarie sono state messe negli ospedali e non sul territorio. Ed in particolare su alcuni grandi Ospedali (Spallanzani, Sacco, etc.) creando quasi un regime di monopolio, e abbandonando le altre strutture come le RSA, gli studi medici, i medici di base e di medicina generale. Mi sembra un errore che forse potrebbe essere considerato veniale nelle prime settimane, ma ora è da considerarsi mortale. In Sierra Leone durante la recente epidemia da virus Ebola, il controllo era a livello personale di famiglie, di quartieri, di villaggi. Si andava a cercare il possibile contatto e/o paziente, non si stava chiusi negli Ospedali ad aspettare gli arrivi dei pazienti con le ambulanze.

Come medico mi sento impotente nel vedere cittadini e colleghi, con sintomatologia sospetto, consigliati a rimanere a casa in atteso degli eventi senza poter formulare una diagnosi. Perché non è possibile eseguire esami (tamponi e sierologia) nei laboratori di analisi convenzionati con il SSN, quando invece sono accettati altri esami più complessi.
In una prima fase posso comprendere questa forma di controllo/monopolio delle analisi molecolare (meno di quelle sierologiche) da parte del Ministero, delle Regioni e dei grandi ospedali di riferimento. Ma i laboratori di analisi sono parte integrante e importante della medicina di territorio, e quindi dovranno essere coinvolti, così come gli studi medici della medicina generale e specialistica, degli studi odontoiatrici, radiologici, etc. Per eseguire i test nei laboratori convenzionati ed evitare abusi e/o errori diagnostici, sarebbe sufficiente dare indicazioni chiare con quali metodologie, procedure, kit, costi.

Non pensa che lo Stato avrebbe dovuto avere un piano di emergenza per la risoluzione di tutti gli aspetti sanitari e sociali legati alle pandemie?
Come già detto, lo Stato si è occupato degli Ospedali e non del territorio. Al tempo stesso, ha imposto giustamente forme d’isolamento, ma senza attrezzare la sanità territoriale. È come occuparsi dei delinquenti e delle prigioni senza intervenire sui territori dove nasce e si moltiplica la delinquenza. E i virus sono microscopici e molto più difficile da arrestare.

Molte attività nel prossimo futuro riprenderanno la loro produzione, non pensa che per alcuni lavoratori sarebbe opportuno validare il loro stato di salute, in particolare per coloro che per motivi improrogabili non hanno mai smesso?
In questo momento si chiede agli scienziati di dire quando sia possibile passare alla così detta Fase 2. La domanda dovrebbe essere messa in relazione al piano di controllo e assistenza sanitaria territoriale e aziendale. Se ci fosse un forte impegno territoriale, si potrebbe riaprire prima, in assenza di un chiaro piano con relative risorse umane, tecnologiche, finanziarie l’unica cosa è rimanere a casa. Ma è chiaro che l’isolamento sociale non è una soluzione a lungo tempo. Ripeto ancora che bisogna utilizzare tutte le strutture sanitarie territoriali: medici di medicina generale, laboratori analisi, farmacie, studi radiologici, studi medici specialistici, etc. ed integrarle con quelle della Medicina del Lavoro per le aziende e le fabbriche.

Per quanto riguardo il mondo odontoiatrico, che come ben sa è ad altissimo rischio in quanto vi è un contatto diretto con la bocca del paziente, non pensa che sarebbe opportuno effettuare test diagnostici sia al paziente primo di cominciare un ciclo terapeutico sia al personale sanitario che partecipa alle cure. In questo modo si avrebbero molteplici effetti positivi: per il paziente che potrebbe conoscere il suo stato di salute, per il personale sanitario che potrebbe lavorare con minori ansie, tutelando anche la salute stesso del paziente.
Ritengo che per il personale in particolare odontoiatrico si dovrebbe fare qualcosa in più, e stabilire procedure più stringenti che per altri studi medici. Nebulizzatori con materiale anti-virale, disinfettanti da aerosol, doppie mascherine con schermi di plexiglas, etc., etc. Oltre a queste misure di maggiore protezione individuale e d’igiene ambientale, sarebbe utile conoscere lo stato immunitario dell’operatore, anche facendo indagini specifiche (per esempio la presenza di anticorpi neutralizzanti e protettivi). Per il personale sieronegativo andrebbero fatte procedure ancora più serie, per evitare il passaggio dal paziente all’operatore. Si potrebbe pensare a intervenire solo su pazienti che abbiano fatto il giorno prima il tampone e che lo abbiano negativo, riducendo in tal modo di molto la probabilità d’infezione. E, in ultimo, non dimentichiamo la formazione professionale, crediti ECM, e seminari specifici su Covid-19.

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