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Intervento complesso o di routine? Spetta al dentista provare la complessità del caso

Mario Aversa

Mario Aversa

gio. 6 ottobre 2011

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Viene rigettato il ricorso di un dentista condannato al risarcimento di 22 mila euro nei confronti di un proprio paziente che aveva subito un intervento implantologico non andato a buon fine

Secondo una recentissima sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Sez. Terza Civ. n. 14109 del 27.06.2011) il danno causato dall'applicazione di una protesi dentaria con la tecnica dell'implantologia può essere qualificato intervento di routine, facendo anche riferimento alla data in cui è stato eseguito e per questo dev’essere risarcito anche per sola colpa lieve. Viene così rigettato il ricorso di un dentista condannato al risarcimento di 22 mila euro nei confronti di un proprio paziente che aveva subito un intervento implantologico non andato a buon fine. Nella sentenza si sostiene che “la diligenza del medico nell'adempimento della sua prestazione professionale deve essere valutata assumendo a parametro la condotta del debitore qualificato, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, codice civile”. Paragonando un intervento di implantologia con finalizzazione protesica ad una “prestazione medico-chirurgica di routine” spetta eventualmente al medico provare (il che non risulta essere avvenuto) la particolare complessità in concreto dell'intervento stesso. Decisamente ininfluente ai fini della sentenza, la circostanza che il paziente non avesse saldato completamente la parcella del professionista, con un residuo di 13mila euro.
Due sono a nostro avviso gli spunti di riflessione:
1) l’implantologia viene ormai considerata una tecnica sperimentata, diffusa, sicura e, quindi, “routinaria” al pari delle altre usuali procedure odontoiatriche, quali potrebbe essere la classica terapia conservativa
2) si conferma la difficoltà di dimostrare da parte del sanitario (su cui incombe l’onere della prova) che l’intervento eseguito fosse di particolare difficoltà, limitando in tal caso la responsabilità solo in caso di dolo (volontarietà) o colpa grave.

In odontoiatria, quindi, dimostrare che la situazione abbia le caratteristiche di difficoltà tecnica tali da rendere assolutamente difficile il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, è una prova estremamente difficile da fornire, perché il caso eccezionale, sempre secondo la suprema corte, “è considerato quello non ancora studiato e sperimentato oppure oggetto di controversi dibattiti scientifici in materia di diagnosi e cura”.
In sostanza, quindi, nel momento in cui l’odontoiatra decide di effettuare una terapia decide, allo stesso momento, che quella soluzione è applicabile al paziente in cura e deve raggiungere il risultato che si è prefisso con lui salvo che non insorgano elementi imprevedibili e di particolare difficoltà nel corso della cura stessa. In tutte le altre evenienze, cioè quelle che si materializzano nella stragrande maggioranza dei casi e che necessitano della cosiddetta diligenza media, il paziente oltre a non essere tenuto al pagamento del corrispettivo dovuto al professionista, avrà diritto anche al risarcimento dei danni morali e materiali.
 

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