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Si intende qui richiamare l’attenzione su una norma del CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) per gli studi professionali sottoscritto il 15 maggio 2015, attualmente in vigore. In particolare sull’art.128, in tema di “licenziamento simulato”. Il Contratto prevede infatti che sia privo di effetti giuridici quel licenziamento cui fa seguito una riassunzione nella medesima unità produttiva. Il secondo comma precisa che è comunque simulato se tale nuova assunzione avviene dopo un mese dal recesso datoriale.
Andiamo con ordine.
Innanzitutto, nel silenzio del CCNL, è ragionevole affermare fin da subito che si sta discutendo di un licenziamento per ragioni oggettive, ovvero per causali attinenti al datore di lavoro: crisi dello studio, riorganizzazione della forza lavoro ecc... In tale ipotesi, pur potendo procedere con un licenziamento, il CCNL prevede che un’eventuale, successiva assunzione renda il provvedimento espulsivo tamquam non esset, cioè come se non fosse avvenuto.
La norma è poco chiara. In primis, non si comprende se la nuova assunzione debba essere nello stesso livello d’inquadramento e mansioni del lavoratore sostituito perché la norma trovi applicazione. Ad esempio l’avvicendamento di due assistenti alla poltrona potrebbe essere certamente precluso. Ma cosa accade se a seguito del licenziamento di un’igienista si procede all’assunzione di un’assistente alla poltrona e viceversa?
Qui viene il bello. Se si discute infatti di licenziamenti per ragioni oggettive, si dovrebbe sapere che non sono sempre disposti per contrazione di ricavi o per arginare perdite; al contrario non è infrequente si tratti di una riorganizzazione dei dipendenti con licenziamento di taluni e vantaggio eventualmente di altre figure più “redditizie”, per tentar di mantenere i conti in ordine e pertanto l’attività d’impresa economicamente conveniente.
In tale ipotesi, l’operatività della norma di cui al CCNL impedirebbe di fatto tale riorganizzazione, visto che non sarebbe possibile “riorganizzare”, se non a fronte di un definitiva espulsione di una risorsa, che però non può essere rimpiazzata. Aggirare l’ostacolo e quindi procedere con la nuova assunzione è di fatto impossibile nel primo mese dal recesso per espressa previsione pattizia. Successivamente (ma non è specificato per quanto tempo) la strada è comunque in salita e occorre adottare le cautele più opportune del caso prima di rimpinguare il personale esistente.
Se si contravviene a quanto previsto dalla normativa le sanzioni sono pesantissime. Di fatto, l’essere l’atto espulsivo privo di effetti giuridici così come prevede il CCNL, comporta una nullità radicale del licenziamento, con ricostituzione (o diritto a conseguire l’indennità sostitutiva della reintegra pari a 15 mensilità) del precedente rapporto, cui si aggiunge il diritto a percepire le mensilità perdute tra l’illegittimo recesso fino all’effettiva reintegrazione. La sanzione “colpisce” si badi bene grandi strutture, così come il singolo libero professionista con pochi dipendenti.
Non si rinvengono dunque le ragioni dell’inserimento di questa norma, che è sembrata ai più una inutile complicazione. Sarebbe stato invece più opportuno che a decretare la nullità (con reintegra) ovvero l’illegittimità (con pagamento delle mensilità indennitarie) di un licenziamento fosse rimesso al giudizio della Magistratura del lavoro che, in ogni caso, verificherà la bontà di un provvedimento espulsivo, per decretarne l’annullamento o la conferma, sulla scorta dei fatti emersi dall’indagine istruttoria richiesta dalle parti.
Provare a regolare tramite il contratto collettivo questa fattispecie, oltre a rivelarsi di scarsa utilità, rischia di complicare la vita agli operatori del settore e alla Magistratura del lavoro, che deve decidere se applicare la norma sic et simpliciter, ovvero fare riferimento alla giurisprudenza consolidata sul fatto giuridico inesistente, con esiti, per le parti, tutt'altro che scontati.
Per informazioni
a.marinelli@studiolegale stefanelli.it
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