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Lo spazio del lavoro

Zarya Maxim Alexandrovich-Shutterstock
Arch. Massimo Tiberio

Arch. Massimo Tiberio

mar. 10 dicembre 2019

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Lo spazio del lavoro è uno dei temi di cui ultimamente si parla molto, ma in pratica è ancora un tema alquanto sconosciuto nonché, quasi sempre, affrontato in modo frammentario. Lo spazio del lavoro è quella grandezza volumetrica architettonica all’interno del quale noi ci troviamo a lavorare.

Questa definizione è quella che, a mio avviso, definisce e chiarifica il concetto perché in essa vi sono comprese delle riflessioni sia di tipo dimensionale sia di tipo ambientale- relazionale. Il tema dello spazio del lavoro, ultimamente, è molto presente nei dibattiti professionali e anche la normativa italiana ha definito alcune leggi con lo scopo di realizzare degli spazi confacenti con le caratteristiche bio-fisiche dell’uomo al fi ne di proteggerne la salute (non solo quella fisica).

Quasi sempre lo si affronta, tuttavia, da un punto di vista frazionato e separato. In questi casi si fa sempre riferimento alle nozioni e ai dati dell’Ergonomia, la scienza che se ne occupa nello specifico, ma queste vengono applicate in modo selettivo e discontinuo: la normativa, ad esempio, descrive solo l’area di lavoro dando dimensioni e caratteristiche fisiche e tecniche; i corsi e molti trattati di ergonomia affrontano quasi sempre solo alcuni aspetti spaziali del lavoro e mai la sua globalità come un insieme unico formato da molti sottoinsiemi in interazione continua. La complessità del sistema di sistemi “spazio del lavoro”, invece, deve essere vista come un entità unica e trattata come tale anche nella sua realizzazione pratica. Lo spazio del lavoro, per tentare una semplificazione, può essere suddiviso in tre ambiti che io per praticità chiamerò: l’area di lavoro, la zona di lavoro e l’ambiente di lavoro. L’area di lavoro è la superficie dove si svolge un tipo specifico di lavorazione. Di solito può essere o la bocca del paziente o l’area di un determinato piano di lavorazione; in più essa, in ambito odontoiatrico, non dipende solo dal tipo di lavoro che si svolge, ma soprattutto dalla tipologia specifica di ogni lavorazione all’interno di quel determinato lavoro.

Questo significa che per una singola operazione spesso si richiede l’utilizzo di diverse aree di lavoro. Per esempio, se si deve fare una ribasatura immediata di una protesi le aree di lavoro saranno almeno due: una è la bocca del paziente e l’altra è il piano dove si mescolano le resine odontoiatriche entrambe caratterizzate da spazi di azione e spazi strumentali. Nel caso, invece, sia fatta in laboratorio, noi abbiamo almeno tre aree di lavoro in due stanze separate. Nella sala del riunito avremo due aree, la bocca del paziente e quella per la mescola del bicomponente, poi l’adeguamento della protesi avverrà in una terza area all’interno del laboratorio dello studio.  Ogni area deve essere dimensionata e illuminata in base al tipo di lavorazione e alle caratteristiche antropometriche del o dei soggetti che vi lavorano. Proprio per quest’ultimo motivo l’area non sarà mai uguale, quello che invece rimane costante è la suddivisione in tre superfici di importanza. La prima è quella dove avviene la vera e propria lavorazione e può essere di pochi centimetri (5x5), la bocca del paziente, o fino a 30/40cm (per le superfici piane delle lavorazioni extra orali). Attorno a questa vi è un’altra area che varia da 40/90 cm ed è lo spazio per la strumentistica e/o i materiali più usati (ad esempio gli strumenti come il trapano, l’aspiratore… del riunito) durante la lavorazione nella prima zona.

Segue una terza area compresa tra i 90/120 cm per strumenti e materiali che si utilizzano saltuariamente (come ad esempio il carrello degli strumenti). La zona di lavoro è quel volume spaziale all’interno del quale si svolgono tutte le specifiche tipologie di lavorazione per ogni singola operazione; a volte può coincide con l’area di lavoro, ma come abbiamo visto sopra, spesso congloba diverse aree anche in posizioni diverse o distanti. Come per la precedente, l’area di lavoro dovrà essere progettata, dimensionata e illuminata secondo le specifiche di chi vi lavora, ma in più dovranno essere garantiti ergonomicamente gli spostamenti e le eventuale interazioni ambientali e con altre persone (sia che possano collaborare per la stessa lavorazione, sia che facciano altre lavorazioni in contemporanea) assicurandosi che ognuno possa operare in confort e sicurezza.

La terza è l’ambiente di lavoro, questo coincide con tutto lo spazio del vostro studio, perché il vostro lavoro non è solo il ”lavorare sul paziente” e non inizia né finisce di fronte al riunito. Esso, invece, inizia da quando si entra nello studio; ogni azione che fate all’interno dello studio è parte integrante del vostro lavoro perché tutto, anche le attività compendiarie a ciò che avviene attorno al riunito, sono struttura sostanziale del vostro lavorare (ad esempio andare a parlare con la segretaria per i dati da compilare nelle cartelle pazienti, spostarsi all’interno dello studio per fare diverse lavorazioni, le riunioni gestionali e/o con i colleghi...).

L’ambiente di lavoro, se da un lato ha regole simili alle due precedenti, dall’altro, l’aspetto principale, deve garantire la distribuzione funzionale degli spazi ed è per questo che la sua complessità risiede nel fatto di dover gestire ad assicurare che tutti i sotto sistemi lavorativi e funzionali diversi si esplichino al meglio e agiscano in modo sinottico, garantendo, attraverso la composizione degli spazi all’interno dello studio, percorsi funzionali e fruibili chiari, corti e pratici senza sovrapposizione o ridondanza.

Le tre zone, anche se hanno regole e parametri propri, non possono essere affrontate separatamente. Ciò facendo, si definirebbe una proposta spaziale corretta antropometricamente e normativamente, ma scarsamente ergonomica ed efficace. L’area di lavoro è la più significante poiché è lo spazio dove si passa la maggior parte del tempo ed è quello che influisce maggiormente sulle condizioni fisiche (e di ricaduta performative) del medico; essa, inoltre, dipende da parametri semplici e ben normati (dimensione, postura) che la rendono più facile da progettare; per questi motivi è sempre l’argomento primario di tutta la trattatistica in merito.

Le altre zone dovranno organizzarsi in modo compiuto armonizzando da un lato le specifiche dell’area di lavoro e dall’altro soddisfacendo le proprie caratteristiche richieste: questo impone difficoltà superiori che richiedono maggior competenze per la loro progettazione e realizzazione. Sia la zona sia l’ambiente di lavoro dipendono dai fattori complessi (spesso non normati), da un insieme di parametri fisico-tecnico- edili-ambientali e non hanno una casistica standard, motivi per cui spesso si evita di affrontarle (teoricamente e praticamente) in maniera significativa. In questo modo, rendendo gli spazi del lavoro semplici aree dimensionali, si riduce la complessità del sistema “spazio del lavoro” rendendoli più facili da trattare, ma perdendo la loro reale funzione: quella di agevolare e aiutare l’uomo nel suo lavoro evitando in esso ripercussioni significative a livello fisico e la riduzione di performance.

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