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Bifosfonati: una minaccia o un’opzione?

Il Dr. Per Aspenberg è Professore di Chirurgia Ortopedica presso l’università Lin Köping in Svezia, con due decenni di esperienza negli studi clinici e di ricerca sull'uso dei bifosfonati per il trattamento ortopedico. Ha presentato al congresso dell’EAO di Stoccolma 2015, un documento sui bifosfonati in implantologia odontoiatria come parte del programma congressuale.
P. Aspenberg

P. Aspenberg

gio. 29 ottobre 2015

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La maggior parte dei dentisti diventeranno familiari con i bifosfonati principalmente come causa di osteonecrosi della mandibola (ONJ). L’osteonecrosi della mandibola è una complicazione della terapia sistemica. Al contrasto, applicati localmente, i bifosfonati si sono dimostrati efficaci per migliorare la stabilità degli impianti dentali. Ragioni teoriche, dati sperimentali e piccoli studi clinici suggeriscono che l’applicazione locale dei bifosfonati è sicura ed efficace in parodontologia e chirurgia implantare. I bifosfonati hanno effetti positivi in molti casi sull’osso e pochi e rari effetti collaterali.

La loro efficacia nell’osteoporosi è ben nota, e c’è prova di miglior fissaggio dell’impianto in un numero crescente di applicazioni. In odontoiatria, tuttavia, i bifosfonati sono spesso considerati negativamente, a causa del piccolo rischio di osteonecrosi della mascella. L’osteonecrosi della mascella è davvero un problema. Tuttavia, ci sono evidenze teoriche e cliniche che suggeriscono come il rischio di osteonecrosi della mascella possa essere evitato con un trattamento locale. Il trattamento locale con i bifosfonati ha indicato gli effetti benefici senza complicazioni in studi clinici randomizzati in parodontologia e in chirurgia implantare1.
Come può essere? Ecco una spiegazione: i bifosfonati o si legano ai cristalli minerali dell’osso o vengono rapidamente espulsi. Normalmente, essi non entrano nelle cellule e di conseguenza non sono tossici. Solo gli osteoclasti possono assorbire l’osso e, quando lo fanno, il materiale disciolto nell’osso passa attraverso la cellula. Di conseguenza, i bifosfonati possono raggiungere lo spazio intracellulare degli osteoclasti. Una volta dentro l’osteoclasto, essi bloccano la cellula e quindi riducono il riassorbimento dell’osso. 

Quando l’osso è stato infettato, l’osso che circonda l’infezione sarà rapidamente riassorbito. L’osso infetto sarà pertanto circondato da tessuti molli riccamente vascolarizzati che delimitano la zona infetta. Quindi, una buona capacità di riassorbimento è importante per prevenire la diffusione dell’infezione ossea. Questo meccanismo di protezione può essere compromesso se il riassorbimento è ridotto da qualsiasi potente antiriassorbente, che porta alla diffusione dell’infezione e all’osteomielite.
In odontoiatria, questo tipo di osteomielite è chiamato osteonecrosi. Così, da un punto di vista fisiopatologico, l’osteonecrosi della mascella è un termine un po’ ingannevole. I già ben noti effetti antiosteoclasti dei bifosfonati sono sufficienti per spiegare l’osteonecrosi della mascella senza necessità di ipotesi riguardo gli altri meccanismi meno noti2. Inoltre, la teoria si adatta con le osservazioni che gli antiriassorbitivi non bifosfonati sono associati con l’osteonecrosi della mascella. Quando gli impianti vengono inseriti nell’osso, numerosi studi hanno dimostrato che – soprattutto in un osso spugnoso – i bifosfonati riducono la risposta riassorbitiva al trauma senza alterare la risposta di formazione dell’osso, avendo quindi un netto effetto anabolizzante. Questo spiega perché i bifosfonati sia locali sia sistemici sono stati indicati da test clinici randomizzati per migliorare la fissazione precoce del ginocchio e delle protesi d’anca3.

Poiché i bifosfonati si legano fortemente alle ossa, il trattamento locale rimarrà locale. I bifosfonati applicati a una superficie ossea resteranno lì più o meno per sempre, e quindi non compromettono la resistenza all’infezione altrove. In un modello animale di impianti dentali (in siti compromessi da una ferita locale), il gruppo di ricerca dell’autore ha mostrato che il trattamento sistemico con i bifosfonati induce l’osteomielite (ONJ), mentre gli impianti con un rivestimento di bifosfonato, miglioravano il fissaggio dell’impianto senza problemi nonostante il sito di inserimento fosse compromesso4. Inoltre, se il sito implantare nell’uomo è stato infettato, solo l’osso a circa un millimetro dalla superficie dell’impianto conterrebbe bifosfonato e potrebbe essere rimosso, se necessario.
In un test randomizzato di impianti dentali ricoperti da uno strato proteico con bifosfonati, è stato dimostrato il miglioramento del fissaggio5. La frequenza di risonanza è stata di 6,9 ISQ maggiore per gli impianti rivestiti rispetto ai controlli (p = 0.0001; Cohen d = 1,3). Le radiografie hanno mostrato un riassorbimento meno marginale sia a 2 mesi (p = 0.012) sia a 6 mesi (p = 0,012). I pazienti sono stati seguiti per 5 anni senza complicazioni.

Per concludere, gli antiriassorbenti sistemici possono mettere in pericolo la protezione contro l’osteomielite, aumentando così il rischio dell’osteonecrosi della mascella in pazienti con altri fattori di rischio. I bifosfonati locali non sembrano conferire tale rischio e migliorano la fissazione dell’impianto per il loro netto effetto anabolizzante. Il trattamento locale con i bifosfonati potrebbe diventare uno strumento importante in odontoiatria e chirurgia maxillo-facciale.


Le note bibliografiche sono presenti presso l’Editore.
Dichiarazione conflitto di interesse: l’autore ha quote in AddBIO.
L’articolo è stato pubblicato su Today EAO Annual Scientific Congress 2015 Stockholm 24–26 September, 2015.

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