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Già nel 1892, Bryan aveva introdotto la possibilità di accelerare il trattamento ortodontico tramite una stimolazione chirurgica. La tecnica fu poi ripresa molti anni più tardi nel 1959 da Kole e consisteva in osteotomie inter-radicolari e osteotomie sopra-apicali, interessanti tutto lo spessore del processo alveolare. La teoria dell’autore era che la velocizzazione si ottenesse poiché si creavano dei “blocchi osso-dente” connessi solamente dalla spongiosa.
Questa teoria è stata poi confutata dai lavori dei fratelli Wilcko3,4 che, grazie a osservazioni di TAC pre e post operatorie, non riuscirono a confermare la teoria del movimento del “blocco di osso”. Al contrario, osservarono dei fenomeni di demineralizzazione e rimineralizzazione localizzata coerenti con la teoria di Frost del Regional Acceleratory Phenomen o RAP5. Secondo questa teoria, infatti, dopo un insulto chirurgico, il tessuto osseo reagisce con una rapida, transitoria e localizzata osteopenia, fenomeno in cui non si ha perdita di volume osseo, bensì di densità (mineralizzazione). In pratica l’osso midollare, in seguito alla corticotomia, sarebbe indotto a una fase transitoria più “malleabile”, condizione che favorirebbe lo spostamento dentale3. A conferma del fatto che non è la teoria del blocco a giustificare il più rapido spostamento, il lavoro di Hajji4, in cui si è provato a sostituire il disegno classico della corticotomia intorno alle radici dei denti, con delle perforazioni della corticale non collegate fra loro, ottenendo dei risultati equiparabili in termine di velocizzazione dello spostamento dentale.
Ma la novità principale della tecnica descritta dai fratelli Wilcko, che sono considerati i padri del moderna corticotomia, è l’associazione della corticotomia con un innesto di osso. Con questa tecnica, denominata “movimento ortodontico parodontalmente accelerato” (PAOO), si ottiene una vera e propria rigenerazione. I benefici ottenibili non si limitano quindi alla sola velocizzazione del movimento ma anche ad una espansione delle basi ossee. Questo si traduce in un ampliamento delle possibilità terapeutiche in ortodonzia. Tra i benefici, per esempio, la possibilità di poter effettuare meno estrazioni e minori rischi di danni parodontali.
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