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Una nuova tecnica per la preparazione del sito implantare con l’impiego della chirurgia piezoelettrica (PES)

Preparazione del sito implantare solo con inserti da piezochirurgia.
M. Labanca, L.F. Rodella, P. Brunamonti Binello

M. Labanca, L.F. Rodella, P. Brunamonti Binello

mar. 7 ottobre 2014

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La piezosurgery (PES) è una tecnica chirurgica utilizzata in varie branche specialistiche della medicina, al fine di realizzare osteotomie estremamente precise, conservative e minimamente invasive, oltre che nel rispetto delle strutture anatomiche più nobili del distretto oro-facciale.

In chirurgia orale e, in particolare, in implantologia tale tecnica è ormai da tempo utilizzata anche per la preparazione del sito implantare, al fine di ottenere un posizionamento il più corretto possibile degli impianti e perseguire una osteointegrazione ancora più predicibile grazie al maggior rispetto della vitalità ossea del sito.
Obiettivo di questo lavoro è descrivere le fasi operative per l’implantologia e valutare se al fine di una corretta preparazione del sito implantare possa risultare più opportuna una preparazione eseguita totalmente con inserti per la piezochirurgia o se sia invece più opportuno limitarne l’uso alle sole fasi iniziali e completare la preparazione con frese implantari dedicate. Verranno illustrati inoltre i risultati definitivi di una ricerca randomizzata con follow-up post-chirurgico a 36 mesi.
L’obiettivo è confermare tale metodica come terapia valida, alternativa e non sostitutiva alle metodiche tradizionali – già esaurientemente descritte in letteratura – che prevedono l’impiego di frese su manipolo ed eventualmente di osteotomi manuali.

Introduzione
La piezosurgery (PES) è una tecnica chirurgica nata negli anni Novanta; per la sua versatilità e utilità di impiego oltre che in chirurgia orale ha avuto immediata diffusione di utilizzo in numerose altre branche chirurgiche specialistiche quali, ad esempio, la chirurgia maxillo-facciale, l’ortopedia e la neurochirurgia.
Tale metodica sfrutta l’ormai consolidato principio fisico cavitazionale secondo il quale microvibrazioni ultrasoniche ad ampiezza modulata tra 60 e 200 micron sono in grado di realizzare incisioni anche dei tessuti maggiormente mineralizzati quali il tessuto osseo, lo smalto e la dentina.
Tali incisioni presentano, in particolare, le seguenti peculiarità:
– semplicità di esecuzione;
– riproducibilità;
– procedura standardizzabile;
– elevata precisione (incisioni lineari e conservative);
– traumatismo dei tessuti molli circostanti quasi nullo rispetto alle tecniche tradizionali;
– riduzione drastica delle complicanze lesive a carico delle strutture anatomiche nobili del distretto oro-facciale (membrana schneideriana, nervo alveolare inferiore, arterie, ecc.), in caso di contatto diretto accidentale.
Per le suddette ragioni la PES ha meritatamente riscosso un immediato successo anche in implantologia.
Allo stato dell’arte, infatti, molteplici protocolli riabilitativi prevedono l’utilizzo della PES non solo nelle condizioni cliniche più avanzate e complesse (split-crest, rialzo del pavimento del seno mascellare, ecc.), ma anche nei casi meno complessi, limitatamente all’allestimento dei singoli siti implantari.
Infatti, anche in implantologia non avanzata, che non preveda cioè la contestuale rigenerazione del processo alveolare residuo per l’inserimento dell’impianto, esistono a volte condizioni cliniche di oggettiva difficoltà almeno per le fasi iniziali di preparazione del sito chirurgico.
Riportiamo di seguito alcuni esempi di tali situazioni.
– Posizionamento di impianti post-estrattivi immediati a livello dei settori anteriori.
– Posizionamento di impianti post-estrattivi immediati a livello delle biforcazioni inter-radicolari.
– Posizionamento di impianti a livello di processo alveolare edentulo con irregolarità morfologiche a livello crestale o con profilo residuo molto ridotto.
– Posizionamento di impianti a livello del processo alveolare edentulo con presenza di sottosquadri ossei in senso vestibolo-linguale (ovvero in senso vestibolo-palatino se in mascellare superiore).
Per l’operatore esperto tali circostanze non assumono vere e proprie prerogative di complessità, ma rendono comunque più difficile la preparazione iniziale del sito implantare utilizzando solo le frese pilota su manipolo disponibili in tutte le sistematiche implanto-protesiche in commercio. Questo a causa del fatto che la rotazione della fresa, e quindi il suo macromovimento, ne rende particolarmente complessa la stabilizzazione in fase iniziale esattamente dove voluto dall’operatore, e questo anche in caso di fresa lanceolata appuntita e tagliente. In tal senso l’utilizzo della PES rappresenta un ausilio importante per il clinico, in quanto costituisce una metodica sicura e affidabile con indiscutibili vantaggi sia di carattere intraoperatorio (tecnica-correlati) che di carattere biologico.
I principali vantaggi di carattere tecnico-esecutivo per l’operatore possono essere così riassunti.
– Consente un posizionamento più stabile dell’inserto guida sul profilo crestale per la creazione del primo foro implantare.
– Consente la definizione di un più corretto asse implantare, favorendo il successo della riabilitazione implanto-protesica.
– Consente eventuali correzioni intra-operatorie dello stesso asse implantare.
– Rende l’osteotomia corticale in cresta più sicura, essendo il manipolo piezoelettrico ergonomico al brandeggio e privo dei fenomeni di “sbandieramento” iniziale tipici di ogni sistema rotante.
– Rende l’osteotomia iniziale meno traumatica, sfruttando il processo cavitazionale con irrigazione costante.
– Riduce l’impatto emozionale sul paziente, che non avverte le fastidiose vibrazioni causate dall’uso di frese su manipolo.
I vantaggi di tipo biologico, invece, sono comunque tecnica-correlati e possono essere elencati come segue.
– Riduzione dello stress termico sul tessuto osseo.
– Mantenimento di una migliore vitalità ossea.
– Maggior rispetto del turn-over osteoblastico e migliore risposta ossea post-resettiva.
– Preservamento dei tessuti molli e di eventuali strutture anatomiche nobili (nervo alveolare inferiore, membrana schneideriana, ecc.) contigue all’osteotomia.
Quanto sopra esposto, in particolare per quanto concerne i vantaggi di tipo biologico, è reale solo in condizioni di utilizzo appropriato e corretto dello strumento piezoelettrico, oltre che ovviamente di selezione del sistema di piezochirurgia che risponda alle sopradescritte caratteristiche.
Esistono, infatti, alcuni studi che evidenziano come un utilizzo improprio della piezochirurgia in determinate circostanze possa essere potenzialmente più rischioso, se non addirittura iatrogeno, rispetto alle osteotomie tradizionali, realizzate con frese su manipolo. In particolare, in tali ricerche si evidenzia che un’eccessiva e prolungata pressione esercitata dall’operatore sul manipolo (e quindi sull’inserto vibrante) in fase di taglio, come può erroneamente verificarsi nel caso di osteotomie estese e in presenza di densità ossee particolarmente elevate, possa generare temperature superiori a quelle generate dalle frese tradizionali sui tessuti duri.
Come è noto, lo stress termico induce un conseguente danno tissutale significativo e interferisce con la neo-angiogenesi. Tale evenienza intraoperatoria assume particolare rilievo soprattutto quando le quote ossee sono minime, come avviene di solito in implantologia o, più genericamente, in chirurgia orale.
Inoltre, giova ricordare che non tutto ciò che vibra è piezochirurgia. Esistono in commercio sistemi che pur dichiarandosi atti a tale procedura, non hanno le adeguate caratteristiche, non hanno i necessari studi istologici validanti alle spalle o non hanno le adeguate modalità e frequenze di utilizzo.
Ne consegue che l’incauto acquisto di un errato sistema potrebbe portare l’operatore a confidare sic et simpliciter nel beneficio della piezochirurgia, ma a causa della scelta errata ad avere in realtà un risultato clinico e biologico peggiore rispetto a quello ottenibile con gli strumenti rotanti tradizionali. A fronte di tali considerazioni circa i pro e i contro sull’utilizzo della piezochirurgia odontostomatologica e dei dati oggettivi forniti da una letteratura ricca di EBM e in tal senso esaustiva, gli autori ritengono opportuno prendere in considerazione un protocollo chirurgico, riproducibile e standardizzabile, che preveda l’utilizzo della chirurgia piezoelettrica limitatamente alla fase iniziale di preparazione del sito implantare, per poi completare la preparazione del sito con le frese previste dal protocollo implantologico prescelto dall’operatore.
In questo lavoro verranno pertanto illustrate le fondamentali tecniche esecutive, finalizzate al conseguimento del miglior successo clinico possibile sia sotto il profilo biologico, che sotto quello funzionale ed estetico, al fine di realizzare riabilitazioni implanto-protesiche sempre più atte al massimo soddisfacimento delle esigenze quotidiane del clinico e del paziente.
La tecnica proposta dagli autori è volta a utilizzare la chirurgia piezoelettrica nella fase iniziale della preparazione, al fine di beneficiare degli indiscussi vantaggi della stessa, e cioè nella fase di perforazione della corticale, di definizione della lunghezza di lavoro e della inclinazione di inserimento e di completare però la preparazione del sito implantare con le frese a esso dedicate. Opinione degli autori è infatti che nelle fasi finali della preparazione l’entità della frizione, e quindi del surriscaldamento, della fresa sull’osso è decisamente ridotta, mentre risulta fondamentale per un corretto adattamento dell’impianto al sito di preparazione e per il giusto rispetto del protocollo chirurgico suggerito dalle case implantari l’uso delle frese della forma e della lunghezza dedicate all’impianto stesso. L’universalità degli inserti implantari non permette infatti che la preparazione finale del sito sia perfettamente congrua con la molteplicità degli impianti esistenti, rischiando così di perdere in capacità ritentiva o in precisione di inserimento (o comunque anche solo di contravvenire alle linee guida dell’azienda implantare, rischiando anche eventuali contestazioni in caso di fallimento).
Oggetto del lavoro sarà pertanto descrivere i risultati, a 36 mesi, dello studio volto a valutare l’efficacia della tecnica sotto il profilo clinico e istologico, che prevede l’utilizzo di inserti piezoelettrici limitatamente alla prima fase di allestimento del sito implantare rispetto alle altre metodiche chirurgiche.

Materiale e metodi
Come già evidenziato in fase introduttiva, l’obiettivo della ricerca è stato realizzare – su una campionatura randomizzata di pazienti – un confronto tra preparazione del sito implantare mediante uso di inserti piezoelettrici solo in fase iniziale, rispetto alla tecnica tradizionale con le frese del sistema implantologico su manipolo, ovvero uso esclusivo di inserti piezoelettrici.
I principali parametri di valutazione considerati sono stati i seguenti:
– risposta biologica immediata, valutata mediante istologia di tessuto prelevato in sede chirurgica;
– successo implanto-protesico a medio (12 mesi) e lungo termine (36 mesi), valutato con RX endorali periodiche, indici di placca e di sanguinamento peri-implantari a scadenza semestrale dalla protesizzazione definitiva.
È stata innanzitutto eseguita una selezione randomizzata di 30 pazienti.
Al fine di creare uniformità di protocollo i pazienti in oggetto possedevano necessariamente i seguenti requisiti di base:
– età compresa tra i 30 e i 50 anni;
– buone condizioni di salute generale (assenza di patologie sistemiche scompensate),
– non fumatori;
– edentulismo intercalare;
- processo alveolare residuo nell’area edentula sufficiente all’inserimento di un impianto di lunghezza non inferiore ai 10,0 mm e di larghezza non inferiore ai 4,0 mm;
– assenza di necessità di chirurgia rigenerativa.
Al fine di uniformare le procedure chirurgiche si è optato per le seguenti comuni caratteristiche:
– utilizzo di impianti sommersi con superficie ottenuta per sottrazione;
– dimensioni implantari non < 10,0 mm di lunghezza e non < 4,0 mm di diametro;
– assenza di impiego di materiali da innesto;
– densità ossea compresa tra i valori 2 e 4 secondo la Classificazione di Misch;
– posizionamento implantare limitato alle aree edentule con esclusione delle aree incisali e distali ai sesti;
– posizionamento di impianti mediante lembo chirurgico “a tutto spessore”;
I pazienti selezionati per la ricerca sono stati quindi divisi in 3 gruppi da 10 ciascuno, secondo il seguente criterio.
– Gruppo 1: 10 pazienti sottoposti a riabilitazione implanto-protesica mediante esclusivo utilizzo di frese tradizionali montate su manipolo, con frese dedicate al corrispondente sistema implantare.
– GRUPPO 2: 10 pazienti sottoposti a tecnica implantare con preparazione del sito realizzata esclusivamente con inserti piezoelettrici.
– GRUPPO 3: 10 pazienti sottoposti a preparazione iniziale del sito implantare con inserti piezoelettrici, mentre la fase terminale di preparazione dello stesso sito chirurgico è stata completata con le frese dedicate della relativa sistematica implantare (tecnica proposta dagli autori e sottoposta alla verifica di questo studio).
Su ogni paziente trattato sono stati prelevati in fase chirurgica – previo specifico consenso informato – campioni di tessuto osseo nella sede corrispondente all’area di preparazione del sito implantare con le tre differenti metodiche sopradescritte, al fine di comparare istologicamente fra le diverse metodiche di preparazione l’entità del danno tissutale osseo creato.
Tutti i pazienti trattati sono stati sottoposti a terapia antibiotica come di seguito: amoxicillina + acido clavulanico compresse da 1 gr; 1 cpr ogni 8 h (3 cpr/die) per 6 giorni.
Inizio terapia per os, 1 giorno prima della seduta operatoria.
A tutti i pazienti sono stati inoltre prescritti sciacqui post-chirurgici giornalieri con clorexidina gluconato allo 0,2%, fino alla rimozione della sutura chirurgica. Tutti i pazienti sono stati suturati con sutura Ethicon in Vicryl Plus 4.0®, filo intrecciato riassorbibile rivestito di Triclosan al fine di esercitare un ulteriore controllo sul rischio infettivo del sito chirurgico.
Seguendo i suddetti parametri sono stati quindi posizionati nel complesso 64 impianti, di cui 28 nel mascellare inferiore e 36 nel mascellare superiore.
Il follow-up post-chirurgico a 36 mesi, inoltre, prevedeva i seguenti passaggi:
– 1 RX endorale di controllo ogni mese circa;
– 1 RX endorale in sede di scopertura;
– 1 RX endorale al termine della protesizzazione definitiva;
– 1 RX endorale ogni 6 mesi dalla protesizzazione definitiva.
Per quanto concerne la protesizzazione si è optato per i seguenti criteri:
– tempistica protesica tradizionale (3 mesi di attesa per gli impianti posizionati in mandibola e 6 mesi per gli impianti posizionati in mascella);
– rilievo del valore di ISQ tramite Ostell® confrontato con quello rilevato al termine della fase chirurgica;
– protesizzazione con perno moncone provvisorio e corona in resina provvisoria avvitata;
– ridotta intercuspidazione degli elementi diatorici.
Dopo un adeguato periodo di carico e di verifica clinica e funzionale (mediamente 3 mesi) si è proceduto alla protesizzazione definitiva, sempre previa verifica del valore di ISQ, tramite perno moncone in titanio definitivo serrato con chiave dinamometrica secondo le indicazioni della casa implantare e cementazione della corona in metallo-ceramica con cemento ImplaCem Precision (Dentalica).
Di seguito sono sinteticamente descritte le fasi seguite per la preparazione dei siti implantari con tecnica mista utilizzata in questa ricerca.
Tecnica mista di preparazione iniziale del sito implantare mediante inserti piezoelettrici
Una volta eseguito un adeguato lembo a tutto spessore, al fine di scheletrizzare l’area edentula, la tecnica di preparazione iniziale del sito implantare mediante inserti piezoelettrici prevede i seguenti 3 passaggi intra-chirurgici fondamentali.
1. Osteotomia pilota iniziale mediante inserto piezoelettrico Mectron IM 1S.
2. Utilizzo dell’inserto IM 2 (A o P a seconda dell’area trattata). Ottimizzazione della concentricità della preparazione del sito implantare tra 2/3 mm di diametro mediante inserto piezoelettrico IP 2-3 ovvero dell’inserto OT 4 in caso di necessità di correzione dell’inclinazione.
3. Eventuale ulteriore allargamento del sito implantare mediante inserto piezoelettrico Mectron IM 3 (A o P a seconda dell’area trattata).
La fase successiva di completamento e ottimizzazione del sito implantoprotesico è stata eseguita con fresa implantare rotante su manipolo dedicata al sistema in utilizzo necessaria a portare la preparazione al diametro atteso dall’operatore per quell’impianto e per quella tipologia ossea. È noto infatti che a seconda del sistema implantologico prescelto o della tipologia dell’osso incontrato sono a volte necessarie modalità differenti di preparazione (sovra o sotto-preparazione).
Gli autori ritengono che questo tipo di approccio offra i seguenti vantaggi:
– precisione elevata;
– possibilità di ottimizzare l’inclinazione dell’asse implantare;
– traumatismi tissutali ridotti;
– rispetto della sequenza operativa del sistema implantare in uso;
– successo clinico maggiormente predicibile.

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Risultati
Sono stati posizionati nel complesso 64 impianti, di cui 25 nel mascellare inferiore e 39 nel mascellare superiore, così ripartiti:
– 21 impianti posizionati nel Gruppo 1 (esclusivo uso di frese tradizionali montate su manipolo, con frese dedicate al corrispondente sistema implantare), dei quali 13 a livello mascellare superiore e 8 a livello mandibolare;
– 22 impianti posizionati nel Gruppo 2 (esclusivo uso di inserti piezoelettrici), dei quali 12 a livello mascellare superiore e 10 a livello mandibolare;
– 21 impianti posizionati nel Gruppo 3 (uso di inserti piezoelettrici limitatamente alla preparazione iniziale del sito implantare, mentre la fase terminale di preparazione dello stesso sito chirurgico è stata completata con le frese dedicate della relativa sistematica implantare), dei quali 14 a livello mascellare superiore e 7 a livello mandibolare.
I termini di successo clinico sono stati distinti in breve (rimozione dei nodi della sutura in ottava giornata), medio (a 6/8 settimane dalla chirurgia) e lungo termine (a circa 36 mesi dalla protesizzazione definitiva).
Come già detto sono stati utilizzati quali parametri di successo clinico:
− stabilità primaria misurata tramite il torque in Nw/cm (e rilevata con utilizzo della registrazione offerta dal motore chirurgico Bien Air modello iChiropro) e con verifica della stabilità implantare mediante Implant Stability Quotient (ISQ) tramite Ostell®;
– stabilità secondaria (tramite ISQ);
– indici di sanguinamento peri-implantare (da 1 a 3);
– indici di placca (da 1 a 3);
– grado di soddisfazione del paziente (da 1 a 3).
In tutti casi riabilitati si è riscontrato il successo a lungo termine e nessuno dei 64 impianti inseriti è andato incontro a insuccesso.
Tuttavia, in seguito ai sopramenzionati prelievi istologici intraoperatori (vedasi il precedente paragrafo “Materiali e metodi”), sono state riscontrate differenze significative sotto il profilo istologico per quanto concerne il danno tissutale osseo tra le tre differenti tecniche di allestimento del sito implantare.
In particolare, nei casi trattati con tecnica mista (Gruppo 3), si sono osservati migliori risultati in termini di:
– corretto posizionamento degli impianti;
– guarigione a medio e lungo termine;
– traumatismo tissutale locale.
Per quanto concerne invece i risultati istologici si è riscontrata in entrambe le tecniche che contemplano l’uso degli inserti piezoelettrici una migliore condizione di salute dei margini ossei adiacenti alla preparazione del sito implantare.

Conclusioni
Sulla base dei risultati conseguiti, oltre che dei dati riportati in letteratura, possiamo affermare che l’uso degli inserti piezoelettrici – limitatamente alla preparazione iniziale del sito implantare e abbinato all’uso delle frese rotanti su manipolo dedicate della relativa sistematica implantare in fase terminale di allestimento – ottimizza i risultati clinici, consentendo di ottenere i seguenti fondamentali obiettivi:
– corretto posizionamento degli impianti;
– ottima precisione iniziale e ottima ritenzione primaria;
– ottima ritenzione ossea secondaria e ottimo mantenimento dei picchi ossei;
– guarigione ottimale a medio e lungo termine;
– traumatismo tissutale locale estremamente ridotto.
Quanto sopra risulta più predicibile e ripetibile rispetto alle tecniche di preparazione esclusivamente effettuate con frese rotanti o con inserti da piezochirurgia. Tali risultati estremamente soddisfacenti inducono, pertanto, a proseguire le ricerche cliniche in tal senso e la procedura illustrata resta, secondo il parere degli autori, valida alternativa – seppur non sostitutiva – delle tecniche tradizionali già esaurientemente descritte in letteratura.

 

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