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Un mondo senza contanti è davvero un’opportunità?

Alfredo Piccaluga

Alfredo Piccaluga

ven. 1 giugno 2018

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Per usare gli inglesismi tanto cari alla nuova classe dirigente, potremmo sicuramente affermare che la guerra al cash è diventata trendy. In questi giorni si plaude all’esempio edificante della Svezia, primo Paese al mondo ad eliminare il denaro contante per passare ad una economia regolata dalla moneta elettronica.

Un’iniziativa più volte dipinta anche da noi come quinta essenza della modernità e dello sviluppo, una direzione intrapresa da tempo. Già quest’anno i pagamenti dei dipendenti di studio avvengono obbligatoriamente per banca, essendo oramai vietato qualsiasi pagamento per contanti delle retribuzioni. Anche le pensioni vanno accreditate in conto. I rifornimenti di carburante avverranno solo più a mezzo carta di credito o altro mezzo similare e la fattura elettronica sostituirà integralmente la vecchia scheda carburante.

Il tutto in uno scenario che vede qualsiasi prelievo bancario o deposito per contanti, anche solo di un migliaio di euro, in “presunzione d’evasione”. Con gravose conseguenze per il professionista che non sapesse giustificare con puntualità e documentazione l’origine e la destinazione di quel denaro.

L’intenzione dell’Erario è spingere ogni singola transazione all’interno del circuito bancario, tracciabile e verificabile. Eliminare il contante per i micro-pagamenti è il prerequisito per l’eliminazione totale del denaro contante e quindi del suo impiego per la criminalità e illegalità di ogni sorta.

Sarà possibile farlo? Certo che si. A spese del contribuente ovviamente. Rifiutare un pagamento con carta, vuoi anche di soli quaranta euro, espone a rischio denuncia. Da due anni infatti è diventato obbligatorio per i professionisti dotarsi di terminali POS, pur con amplio aggravio di costi per gli studi, il che rende teoricamente preparati alla svolta.

Ma l’eliminazione del contante non convince del tutto, ed ancor meno persuadono le finalità conclamate. Il solo vantaggio certo risiede ne l’abbattimento dei costi per la stampa fisica di moneta e cartamoneta, indice che entusiasma tanti economisti, che paiono non tener conto dei maggiori costi – e quindi consumi – derivanti dalla decuplicazione delle transazioni virtuali.

Non è chiaro poi la maggiore legalità in cosa dovrebbe essere percepita. Ogni qual volta si vuole introdurre un’innovazione si tende a portare ad esempio un campione ben riuscito (in questo caso la Svezia) omettendo volutamente esempi contrari. Il Kenia è forse la nazione che più di ogni altra al mondo utilizza i pagamenti attraverso carte di credito e bancomat (più del 70% delle transazioni totali) anche perché in forte crescita. Eppure è uno dei paesi più vessati da corruzione, riciclaggio e disordine fiscale.

A detta dei promotori la tracciatura permetterà di scoprire tutte le transazioni, finanche quelle dei docenti che danno ripetizioni private. Improbabile, perché essi giustificheranno diversamente i bonifici, ad esempio come svendita occasionale di mobilio privato (che è esentasse) ed eluderanno la norma.

Come si può pretendere di controllare ogni transazione in un paese dove si è scoperto che addirittura le slot, ossia le macchinette mangiasoldi, hanno generato buchi da milioni e milioni di euro all’erario? Tracciano tutte le giocate in tempo reale e le comunicano immediatamente per via telematica, evasione quindi virtualmente impossibile.

Alcuni gestori hanno però adottato lo strumento più pratico e brutale: hanno staccato le macchinette dal circuito rendendole invisibili al fisco. Più diventa stringente la morsa, e più si rende efficace la contromisura. Magari barbara, ma efficace.

In generale poi, lo si è già visto, l’ingerenza estrema dell’Erario sulle transazioni porta ad una contrazione dei consumi, effetto drammatico per un’economia delicata come la nostra. Le cifre elevate dell’evasione, checché ne dica una propaganda populista radicata da almeno un decennio, non risiedono certo nel piccolo contribuente che al più dimentica di pagare qualche multa… bensì nei grandi enti che forti dei loro uffici di pianificazione fiscale evadono allegramente miliardi senza aver mai toccato un contante in vita loro.

Obsoleta è l’immagine della finanza sommersa fatta di “spalloni” che a dorso di mulo portano i contanti in Svizzera. La grande evasione è dieci passi avanti e cavalca le novità. A volte le promuove, di sicuro non le patisce. Si pensi alle cosiddette App tanto promosse e pubblicizzate. Airbnb sino a poco fa celava un florido mercato di locazioni in nero. Tant’è che si è recentemente reso necessario un intervento normativo, ovviamente non risolutivo.

Ancora più indicativo il caso di Uber. Quella italiana è controllata al cento per cento da «Uber International BV» domiciliata in Olanda. Ma «Uber International BV» è a sua volta una filiale, sempre al cento per cento, di una terza società: «Uber International CV», che risiede, stavolta, alle Bermuda, noto paradiso fiscale. «Uber International CV» è peraltro associata ad una quarta società, la «Neben LLC» immatricolata negli Stati Uniti e, per l’esattezza, nel Delaware, un altro paradiso fiscale.

Qual è l’obiettivo ultimo di una simile organizzazione? «L’ottimizzazione fiscale». Meno tasse per l’erario insomma. E non è stato necessario muovere una sola banconota. Se da un lato è quanto meno dubbia l’utilità e la reale efficacia del passaggio alla moneta virtuale, d’altro canto sono però ben note le controindicazioni. Le spese bancarie in Italia sono già tra le più alte d’Europa, e tenderanno sicuramente a crescere. Complice anche un sistema creditizio piccolo ed in crisi di identità. Il problema si acuirà con l’eliminazione del contante, senza contare che già oggi nel nostro paese proliferano le frodi telematiche.

L’Italia è una delle nazioni più anziane in termini anagrafici oltre che una delle più ricche di analfabeti funzionali. Una miscela esplosiva. Obbligando all’uso della moneta elettronica milioni di pensionati che neppure hanno uno smartphone e che dovranno velocemente adattarsi (senza ovviamente riuscirvi) creerebbe un’impennata del malaffare anziché contrastarlo.

Se la moneta elettronica è così sicura come mai i consumatori sono così poco tutelati rispetto alle truffe che imperversano “in rete”? La polizia postale, ente preposto a questo tipo di controlli, quasi sconosciuto sino a pochi anni fa, oggi è letteralmente sommersa di denunce, poche delle quali otterranno soddisfazione.

Stiamo imboccando, come spesso accade, una strada che offre problematiche certe a fronte di benefici aleatori ed appena teorizzati. Ed il costo di queste sperimentazioni, nelle fasi di assestamento, ricade in genere su noi contribuenti.

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