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Sostituti ossei e prevedibilità clinica: dalla ricerca al successo chirurgico

Danilo Alessio Di Stefano
P. Gatto

P. Gatto

mer. 24 febbraio 2016

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Al XXVII Congresso di Monte Carlo dello scorso novembre 2015, Dental Tribune ha incontrato il professor Danilo Alessio Di Stefano (in foto), docente di Chirurgia odontostomatologica presso l’Università Vita-Salute IRCCS San Raffaele Milano (CLID – direttore prof. Enrico Gherlone), al termine della sua relazione dal titolo “Criteri di prevedibilità nell’aumento dei volumi ossei: biomateriali o sostituti ossei?”. Laureato a Milano e già docente nel 1999/2000 di Tecniche rigenerative e ricostruttive all’Università di Chieti, è uno dei massimi esperti italiani di tecniche rigenerative implantari, relativamente alle quali negli ultimi anni ha svolto molteplici ricerche ed è autore di numerose pubblicazioni.

Buongiorno prof. Di Stefano. La relazione di Monte Carlo riassume le conoscenze più aggiornate e le sue personali considerazioni di clinico e professionista impegnato nella ricerca e autore di diverse pubblicazioni. In quale contesto sono stati ideati gli studi presentati nel suo intervento?
I lavori nascono nel contesto della collaborazione storica e proficua con il professor Gherlone e l’istituto San Raffaele, la cui centralità nel panorama della ricerca odontoiatrica di base, traslazionale e clinica è riconosciuta a livello nazionale e internazionale.
L’attività dell’Unità di Odontoiatria trova infatti spazio sulle principali riviste scientifiche del settore con numerose pubblicazioni. Un ruolo da protagonista guadagnato grazie alla dedizione di professionisti di altissimo livello e linee di ricerca attuali e innovative.

Nella sua relazione, ha affermato che le attuali classificazioni dell’atrofia ossea non bastano a valutare correttamente il successo degli incrementi di volumi ossei. Può spiegarci perché?

Gli attuali sistemi di classificazione presentano delle limitazioni prognostiche perché si basano solo sull’analisi del profilo della cresta residua, senza considerare il difetto osseo nella sua unità anatomico-biologica, cosa che consentirebbe di valutarne in modo più razionale il potenziale rigenerativo e di stimare con maggiore attendibilità il successo dell’atto chirurgico. Oltre al profilo crestale, ci sono infatti altri fattori che impattano su tempi e qualità della rigenerazione: il numero di pareti ossee circostanti il difetto; la sua collocazione rispetto al profilo crestale; l’estensione e la direzione dell’incremento desiderato; il grado di corticalizzazione del sito ricevente e la quantità e qualità della componente trabecolare presente. È quindi importante integrare i sistemi di classificazione esistenti con l’analisi delle caratteristiche del sito più rilevanti in termini biologici.

 

Leggi l'articolo completo nella sezione CLINICAL > IMPLANTOLOGY

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