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Roberto Rosso (Key-Stone) sul digitale nel dentale e sul… cambio di paradigma

Roberto Rosso, Presidente Key-Stone.
m. boc

m. boc

lun. 15 maggio 2017

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Nella giornata di giovedì 18 maggio (e nell’ambito del programma scientifico preliminare), una presentazione di alto respiro è costituita dall’intervento (a partire dalle 14.30) di Roberto Rosso di Key-Stone, figura di analista molto ascoltata – e non solo dalle aziende UNIDI che a lui commissionano ogni anno un apprezzato studio statistico.

Rosso si sofferma su «l’avvento del digitale nel dentale e il cambio di paradigma», enunciazione che apparirebbe criptica se non fosse meglio definita dal sottotitolo del suo intervento,, che dice trattarsi di una «ricerca quali-quantitativa sulla domanda e offerta di tecnologia digitale nel settore dentale». Della durata prevista di un’ora e mezzo, l’intervento di Rosso merita qualche domanda chiarificatrice in anteprima.
Si tratta forse di una ricostruzione storica dell’avvento digitale nell’odontoiatria?
Parzialmente. Si tratta di una ricostruzione storica, ma in chiave prospettica. Mi spiego: osservare l’evoluzione dell’avvento del digitale, comparandola soprattutto con quanto sta accadendo in altri Paesi “odontoiatricamente” a noi vicini, ci consente di ipotizzare in modo piuttosto verosimile quanto potrà avvenire nel futuro prossimo, sempre più attuale, poiché il tasso di crescita del flusso digitale ha dimensioni incredibili, una progressione di tipo geometrico. E la grandissima crescita di quest’ultimo anno – favorita anche dagli incentivi fiscali in atto – non è che un preludio di un un mutamento radicale nel modo di fare protesi nel nostro Paese. Un cambiamento senza ritorno, che obbliga la professione odontoiatrica ad adattarsi a nuove metodiche di lavoro, a nuovo modo di pensare l’odontoiatria e le relazioni con pazienti e fornitori. Non senza qualche frustrazione da parte di chi lo vive in modo passivo, senza passare attraverso l’accettazione delle nuove tecnologie per entrare in un percorso di sviluppo professionale e personale che mette in discussione antichi paradigmi.
A proposito di paradigmi, cosa significa quel “cambio di paradigma” di cui si accenna nel titolo?
Mi riferisco a un “modello di riferimento”, inteso soprattutto come un ruolo ben delimitato e preciso degli attori della filiera. Ebbene, non è già più così. L’odontotecnico si trasforma da ottimo “artigiano della biomeccanica” – competenza che non può assolutamente tralasciare – a tecnico evoluto e in costante aggiornamento dell’ambito digitale, spesso con il mouse al posto della spatola, rischiando di dover mettere in archivio anni e anni di expertise con quei materiali e quelle metodiche che presto potrebbero essere in disuso. Con un profilo formativo, a iniziare dal percorso scolastico, assolutamente non più adatto al ruolo attuale e alla necessità di interloquire a pari livello con clienti e fornitori, con un grave rischio di delegittimazione del proprio riconoscimento sociale.
Altri soggetti della filiera odontotecnica, a monte e a valle, come i fabbricanti e i suoi stessi clienti dentisti, entrano direttamente nel processo produttivo, con non pochi rischi di conflittualità e confusione di ruolo, nonché con l’assoluta necessità strategica di effettuare investimenti che non sono alla portata del modello di business tipico del piccolo laboratorio artigianale che caratterizza il nostro settore odontotecnico. D’altro canto, i fabbricanti, che per decenni si sono occupati di produrre e distribuire materiali, entrano in modo dirompente nel mondo dei servizi, producendo manufatti protesici e ortodontici in luogo del laboratorio. E quello che all’inizio sembrava un allargamento della propria proposta di valore, ora sta diventando “core business”, anzi lo è già diventato per primari operatori internazionali attraverso mirate acquisizioni nell’ambito tecnologico. Forse solo per lo studio dentistico, il modello di riferimento cambia più lentamente, ma le nostre ricerche dimostrano che è proprio il comparto in cui una parte degli operatori sono più a disagio, per l’indubbia difficoltà nell’affrontare una curva di apprendimento che non si presenta priva di ostacoli e incognite.
Limitandosi al rapporto
domanda/offerta, si può affermare che è più vivace in ambito odontostomatologico rispetto ad altri della medicina, date le caratteristiche proprie della professione odontoiatrica?
Non conosco in modo così approfondito altri ambiti della medicina, che senza dubbio è in costante evoluzione secondo una traiettoria di crescita e rinnovamento continuo. I grandi investimenti, inoltre, spettano agli enti e non a micro imprese come quelle di dentisti e odontotecnici, per questo motivo quanto sta avvenendo nel dentale è originale e dirompente.
Nell’ipotesi, nemmeno troppo ottimistica, di circa 10.000 operatori (dentisti e odontotecnici) che investono mediamente tra i 20 mila e gli 80 mila euro in pochissimi anni, ci troviamo di fronte a valori impressionanti, di almeno mezzo miliardo di euro, che vanno a cambiare in modo sostanziale l’asset patrimoniale del settore. L’aggregato di tutti questi investimenti origina una “macchina produttiva” che deve funzionare, impieghi che devono assolutamente poter contare su un ritorno dell’investimento. In parte si genererà dall’indubbio vantaggio competitivo dei più virtuosi ma, dall’altro, deve poter contare sull’evoluzione della domanda, in un settore in cui i prezzi medi delle prestazioni non stanno certamente aumentando.
Tale situazione non rischia di creare una certa inquietudine tra i dentisti e gli odontotecnici?
Certamente sì. Il disagio è spesso latente, ma la nostra ultima ricerca, presentata in Expo3D, evidenzia una grande necessità da parte degli operatori di essere supportati, e non solo in ambito tecnico. Il primo risultato sorprendente di questo importante studio di mercato – effettuato su un campione rappresentativo di oltre 500 dentisti – dice che tra coloro che hanno già acquistato uno scanner intraorale o un fresatore chairside, circa il 70% ha affrontato la spesa “di pancia”, ovvero ritenendo che fosse la cosa giusta da farsi, ma senza entrare in calcoli di possibile ritorno dell’investimento, di fatto senza un businessplan. Tutto ciò è abbastanza normale, poiché i primi a investire sono di fatto dei “pionieri” e, normalmente, possono anche permettersi un rischio economico comunque sostenibile.
Ma man mano che il mercato vede affacciarsi operatori più cauti e riflessivi (ed è un percorso fisiologico), cresce una certa inquietudine sull’onere che può comportate l’entrata nel mondo del digitale, un peso che non riguarda solo il costo delle tecnologie, ma anche la gestione della curva di apprendimento, il rischio di insuccessi dovuti alla scarsa dimestichezza con le tecnologie, la preoccupazione per il possibile ridursi della predicibilità del proprio lavoro.
Dalla ricerca, prima qualitativa attraverso un approfondito approccio psicologico, poi quantitativa con una valenza più statistica, emerge la necessità che il sistema nel suo complesso supporti il cambiamento attraverso una maggior vicinanza dei fornitori, che non possono assentarsi dopo la vendita, degli odontotecnici, che devono poter supportare i propri clienti dentisti e dei consulenti che dovrebbero aiutare il professionista nel pianificare le corrette strategie conseguenti all’investimento, in una logica di maggior efficacia commerciale e miglior controllo della gestione.

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