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Ricerca ed evoluzione per le tecniche di riabilitazione implantoprotesica

Cellula staminale mesenchimale, con differenziazione in senso adiposo, in anafase.
R. Rodriguez y Baena, S. Rizzo

R. Rodriguez y Baena, S. Rizzo

mer. 9 settembre 2015

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La riabilitazione implantoprotesica, affermatasi negli ultimi decenni come tecnica chirurgica affidabile e di indubbio successo è, come è noto, fortemente condizionata dalla scarsità di osso determinata dalla lunga edentulia, da pregressi traumi e svariate patologie. La sfida dell’odontoiatria moderna è quindi rivolta al modo di trovare le tecniche atte a garantire un ancoraggio protesico anche in soggetti privi di una quantità di osso sufficiente.

Tale esigenza sarà sempre più sentita dal momento che, secondo i dati statistici, l’Italia si colloca nelle prime posizioni per invecchiamento della popolazione. L’OMS calcola che nel 2045 gli anziani in Italia saranno 6 milioni in più, con una aspettativa di vita di 85 anni per le donne e di 80 per gli uomini. I pazienti che nel prossimo futuro si sottoporranno a cure odontoiatriche saranno quindi sempre più anziani, e sempre più frequentemente presenteranno l’esigenza di ripristinare le funzioni masticatorie, estetiche e fonetiche, senza tuttavia accontentarsi più della protesi rimovibile, vuoi per questioni di relazioni sociali vuoi per semplice autostima.

Normalmente, in caso di deficit osseo, l’incremento osseo viene ottenuto attraverso tecniche di chirurgia avanzata tra le quali citiamo, come le più affidabili:

  • innesti di osso autologo, con prelievo da diversi siti ossei, extra e/o intraorali: a questi interventi si associano alcuni svantaggi, come l’aumento della morbilità post-operatoria, il rischio di mancata integrazione dell’innesto o di necrosi o il riassorbimento dello stesso;
  • innesti di osso di banca, limitato dal rischio di una mancata integrazione e di eventuale, anche se rara, trasmissione di malattie infettive oltre che appesantito da una procedura burocratica alquanto complessa e dalla scarsità delle banche dell’osso sul territorio;
  • rialzo del seno mascellare, limitatamente all’arcata superiore nei settori posteriori, con impiego di osso autologo, eterologo o di osteosostitutivo di tipo alloplastico;
  • osteodistrazione, con aumento dei tempi di guarigione, difficoltà tecniche di grado elevato, complicanze dovute ad errori, scarsa predicibilità dei risultati, indicazioni limitate, necessità di elevata compliance del paziente;
  • tecniche di split crest con limitate indicazioni e modesto recupero di osso;
  • tecniche di rigenerazione ossea guidata con impiego di osso di varia origine o sostituti dello stesso e di membrane riassorbibili e non.

In alternativa si sono raffinate tecniche che consentono di sfruttare al meglio l’osso disponibile mediante i programmi di implantologia computer guidata che permettono all’implantologo di creare progetti chirurgici precisissimi, spesso ricorrendo alla sistematica “All-on-Four” che si basa sull’utilizzo di soli quattro impianti inseriti in posizioni e con inclinazioni strategiche.
Bisogna inoltre considerare le tecniche di mantenimento della cresta ossea, che, dopo estrazione di elementi dentari, tende a collassarsi sia in senso verticale che orizzontale, impedendo, a volte, l’inserimento di impianti a guarigione avvenuta. A tale scopo l’inserimento di impianti post-estrattivi non permette di prevedere il reale livello osseo che si raggiungerà durante la fase di guarigione. Per questa ragione vengono utilizzate tecniche di mantenimento della cresta ossea (Socket Preservation) che, mediante l’inserimento di osteosostitutivi, con e senza membrana, riducono il riassorbimento osseo conseguente all’estrazione dentaria.

 

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