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La legislazione odontoiatrica italiana: Storia ed evoluzione di un percorso difficile

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Paolo Zampetti

Paolo Zampetti

mer. 30 novembre 2011

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Contrariamente a quanto avvenuto negli Stati Uniti d’America e in quasi tutte le nazioni europee, in Italia l’elevazione morale e professionale dell’odontoiatria fu estremamente complessa. Ogni singolo Stato italiano presentava, nella migliore delle ipotesi, disposizioni in materie di legge autonome, per quanto concerneva la professione medica; l’“arte odontoiatrica” (perchè in tal modo veniva denominata) non era considerata medica e veniva consentito l’imperversare dei ciarlatani, dei barbieri o dei cavadenti che riscuotevano, per la verità, un certo successo da parte del pubblico.  

Lo Stato Pontificio fu all’avanguardia nel proporre un inizio di regolamentazione.
Infatti il primo provvedimento legale riguardante l’arte dentaria a noi giunto è un Bando Generale pubblicato sotto il pontificato di Pio VII (1800-1823) ad istanza del Protomedico e del Collegio dei medici di Roma il 28 gennaio 1809. Esso conteneva espliciti “provvedimenti atti a rimuovere i molteplici abusi introdotti nell’esercizio della medicina e delle altre professioni che in qualunque modo hanno rapporto all’umana salute”. Da notare pertanto che implicitamente vi è una distinzione fra professioni sanitarie “maggiori” e “minori”. L’articolo 22 del decreto affermava “Niuno potrà esercitare l’arte di dentista se non esaminato e patentato dal Collegio dè Medici, come viene stabilito nel citato Capitolo dello Statuto del Collegio, sotto pena di venticinque scudi d’oro”.
Il vero riformatore della legislazione sanitaria a Roma e nello stato Pontificio fu però Papa Leone XII (1823-1829).
Già nel 1824, con la promulgazione della bolla Quod divina sapientia, del 28 agosto vi era una drastica regolamentazione degli studi universitari che venivano suddivisi in quattro facoltà: Medicina e Chirurgia, Giurisprudenza, Filosofia e Teologia. Nella facoltà di Medicina erano compresi, diremmo oggi, i corsi di laurea in Medicina, Chirurgia, Farmacia. Il conseguimento della laurea era vincolato all’ottenimento della cosiddetta “matricola”, che costituiva un biennio obbligatorio per l’abilitazione della pratica professionale. Su questa base, due anni dopo, il 18 agosto 1826, con la pubblicazione delle Ordinationes S. Congregationis Studiorum, si ebbe la definitiva codificazione di quelle che venivano ancora considerate “professioni sanitarie minori”; ci riferiamo in particolar modo all’odontoiatria e alla flebotomia. In particolare, gli articoli 26 e 27 sono dedicati all’esercizio della professione odontoiatrica. Può essere interessante la lettura per extenso degli articoli:
Articolo 26: “Coloro che si dedicano alla medicina dentaria dovranno conoscere l’anatomia della testa, e principalmente delle mascelle, e delle parti coerenti alle medesime, le malattie dei denti e delle gengive e l’uso degli strumenti che si devono adoperare”.
Articolo 27: “Si permette ad essi di estrarre i denti, di fortificare i mobili, di nettarli da ogni sozzura e dal tartaro, di turare i bucati, di applicarne dei finti a posticcio; debbono però astenersi dal somministrare e prescrivere medicamenti, anche per pulirli, senza l’approvazione del medico”.
Come si nota diviene indispensabile condizione per l’esercizio professionale l’ottenimento di questa “matricola”, la quale poteva essere solamente rilasciata dopo un esame finale che attestasse la frequenza ai corsi e le conoscenze di base richieste, solamente a persone che avessero dato saggio di buona condotta e spiccata moralità, condizione questa espressa già da Pio V Ghislieri: “Popoli e regni sono bene amministrati quando lo Stato è retto da persone colte e competenti”. Da notare che solamente le Università di Roma e di Bologna potevano rilasciare tale abilitazione. Questi provvedimenti furono poi abrogati, ma siamo già in periodo postunitario, dalla già citata legge Casati (1859) solo nel 1872. A proposito di ciò, occorre dire che la legge Casati, del 13 novembre1859, che si proponeva di riorganizzare la legislazione sanitaria, se da un lato accennava a professioni sanitarie considerate “minori”, dall’altro non prendeva in considerazione l’odontoiatria. Bisognerà attendere molti anni dopo l’Unità d’Italia (1861) per avere una legislazione odontoiatrica adeguata. Dopo innumerevoli proposte, per la verità senza seguito, nel 1865 fu emanata una prima legge sull’Odontoiatria nell’Italia Unita, nella quale era sancito che “Nessuno può esercitare l’arte del dentista se non ha ottenuto il Diploma di Chirurgia in una Università dello Stato”. Si tentò, in seguito, di proporre un diploma autonomo di Dentista da attivarsi presso le Università, senza alcun riscontro, dal momento che non tutti gli Atenei italiani erano disposti ad attivarlo, ritenendolo inutile. Nel 1890, grazie specialmente all’opera della Società Odontologica Italiana, fondata e costituita da medici esercenti l’attività odontoiatrica, che sensibilizzò in maniera capillare il modo politico e universitario dell’epoca, il ministro della pubblica istruzione, Paolo Boselli, riuscì finalmente a proporre un decreto che doveva introdurre le regole sull’esercizio della professione di odontoiatra. Tale decreto legge, n° 6850 (serie terza) del 24 aprile 1890, pensato dal Boselli doveva regolamentare definitivamente l’esercizio abusivo dell’odontoiatria; tuttavia, per un cavillo burocratico che apriva le porte a innumerevoli sanatorie, esso venne tramutato in legge solo nel 1912 (n° 298 31 marzo). Può essere interessante riportare per intero il testo del decreto:
- Art. 1: Chi vuole esercitare l’odontoiatria, la protesi dentaria e la flebotomia deve conseguire la laurea in medicina e chirurgia.
- Art.2: L’insegnamento dell’odontoiatria è impartito nell’Istituto Chirurgico delle Facoltà del Regno le quali dimostrino di possedere i mezzi necessari e le persone capaci di tale insegnamento, secondo i più recenti progressi della specialità.
- Art. 3: La nomina dell’insegnante deve essere fatta secondo le norme vigenti per il conferimento degli incarichi, od eventualmente, dei professori straordinari, sentito il consiglio superiore.
- Art.4: Coloro che hanno intrapresi i corsi di flebotomia o di odontoiatria prima della
pubblicazione di tale decreto potranno compierli e ottenere il rilascio dei relativi diplomi
coll’osservanza delle norme precedentemente in vigore. Ad essi pure sarà permesso l’esercizio
della professione nn altrimenti che ai flebotomi e ai dentisti contemplati dall’art.60 del
regolamento del 9 ottobre 1889 n 6442(serieIII).
L’articolo 4 del decreto si prestava a varie interpretazioni per cui, coloro che non erano medici ma possedevano solo un patentino o un diploma di flebotomo fecero immediatamente ricorso, sostenendo il loro diritto all’esercizio professionale odontoiatrico; si giunse quindi sino al 1912, quando, il 31 marzo, finalmente la legge divenne esecutiva, non senza aver dato adito a numerose polemiche, che erano alimentate da coloro che volevano ottenere deroghe e sanatorie.
Si affermava comunque il cosiddetto “Principio Stomatologico”, secondo il quale l’odontoiatria non doveva essere autonoma ma essere considerata una disciplina non avulsa dalla medicina generale; iniziò pertanto una vivace e spesso feroce polemica che durerà sino al 1980, fra sostenitori di tale principio (la maggioranza degli stomatologi italiani) e i cosiddetti “autonomisti” che privilegiavano invece una formazione indipendente da quella medica.
Nel 1922 Angelo Chiavaro, primo professore ordinario di Clinica Odontoiatrica in Italia, titolare di cattedra a Roma, propose, assieme al ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile, un disegno di legge (3 dicembre 1922 n° 1601) che prevedeva l’istituzione di una Regia Scuola Nazionale di Odontoiatria, da attivarsi nell’Università di Roma.
In questo modo si voleva garantire, su modello americano, una preparazione odontoiatrica autonoma rispetto alla Facoltà di Medicina; si sarebbe creata una Facoltà di Odontoiatria in grado di rilasciare i diplomi di “dottore in medicina dentaria”.
I corsi erano per quattro anni comuni alla facoltà medica, mentre l’ultimo biennio era propedeutico per le discipline odontostomatologiche. Esso divenne operativo con decreto del 31 dicembre 1923 n° 2910; tuttavia le violente opposizioni di gran parte del mondo medico e accademico provocarono la revoca, l’anno successivo, della disposizione.
Nel medesimo anno veniva istituita la scuola di specializzazione in Odonto-Stomatologia, di durata biennale: ma non veniva considerato titolo obbligatorio per l’esercizio professionale odontoiatrico, ritenendosi sufficiente il superamento della prova d’esame in Odontoiatria nell’esame di abilitazione all’esercizio professionale medico (esame di Stato).
Con l’istituzione del Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria ai sensi del DPR n° 135 del 28 febbraio 1980, venne a crearsi una nuova figura professionale, quella dell’Odontoiatra, in linea con gli altri paesi della Comunità Europea.
Si tornava, praticamente, al modello già proposto da Chiavaro circa sessant’anni prima: tuttavia perdurarono alcune anomalie. Solo nel 1993 (DPR 278 del 30 ottobre) veniva sospesa (è bene ricordarsi: sospesa, non abolita) la Scuola di Specializzazione in Odonto-stomatologia.
Attualmente in Italia possono esercitare l’Odontoiatria tre differenti figure: il laureato in Medicina e Chirurgia specialista in Odonto-Stomatologia; il laureato in Medicina e Chirurgia non specialista ma iscritto all’Albo degli Odontoiatri; il laureato in Odontoiatria.
Le prime due tipologie di professionista andranno ad esaurimento; per adesso rimane valida, per compiere il percorso formativo per la pratica odontoiatrica solo la terza.
Siamo tuttavia in attesa di ulteriori sviluppi che certamente non mancheranno.
 

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