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Niente alleanza terapeutica se il paziente non diventa a sua volta responsabile della cura

Prof. Dario Betti, docente a.c. di medicina legale scuola di medicina e chirurgia Università di Padova.
D. Betti

D. Betti

lun. 29 maggio 2017

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I tema dell’alleanza terapeutica, nel contesto della relazione odontoiatra-paziente, è stato focalizzato di recente in un evento formativo tenutosi a Rubano (Padova) dal titolo “Alleanza terapeutica: il ruolo della comunicazione”. Mutuato dalla psicoanalisi nord-americana degli Anni Sessanta, il termine sembra applicarsi con successo al filo conduttore del rapporto medico-paziente che mira ad una comunicazione ispirata ad una tutela della salute costituzionalmente garantita.

Elemento fondamentale di tale comunicazione è la chiarezza espositiva, adeguata alle facoltà di comprensione del paziente ed ispirata dall’onestà intellettuale del professionista, finalizzata a illustrare la soluzione tecnica ottimale per il paziente, tenendo conto delle sue necessità di cura e , sempre connotata da un’empatia che deve colmare – per quanto possibile – l'inevitabile asimmetria culturale col medico.

Alleanza, tuttavia, è anche altro. Il paziente che da un lato acquisisce la maturità culturale che gli permette di operare scelte più consapevoli nella gestione della propria salute, assume in contemporanea anche una sua competenza per conservarla. Sorge quindi il concetto di dovere alla salute (non solo diritto) che lo qualifica modernamente come soggetto attento al suo mantenimento, oltre le norme di legge che lo tutelano (divieto di fumo, limitazioni di alcoolici alla guida, sistemi di protezione passivi sui veicoli a motori, vaccinazioni ecc.). Considerato quindi come “protagonista”, non solo soggetto passivo. In altre parole, un alleato dell’operatore sanitario che sul proprio versante, si occupa di fornire i mezzi tecnici necessari.

Questa interpretazione completa il concetto di alleanza, richiamando il cittadino a una autotutela consapevole: l’osservanza delle prescrizioni di cura, dei controlli e di quanto sia utile all’attuazione di un programma di cura che è condotto dal sanitario ma portato a compimento dal paziente per quanto di sua competenza.

Un’osservazione. Responsabilità è una parola per motivi storico-culturali poco sentita nella nostra società, se non come fattore sgradevole, meglio se traslato su altri. Ma in un complesso socialmente organizzato, “gli altri” siamo noi e lo scarico della responsabilità, portato agli ultimi termini si risolve in un danno per l'intera collettività. Dal momento che la salute è comunque anche un bene personale, è ancor più giustificato che il cittadino assuma nei confronti di sé stesso e delle persone di cui deve affettivamente e legalmente rispondere, una responsabilità gestionale a compimento dell’alleanza.

In sintesi. Se è vero che il cittadino si è evoluto socio-culturalmente, lo è altrettanto che ora è sufficientemente maturo per prendere su di sé una quota di responsabilità nella gestione della propria salute, a conferma del passaggio da una dipendenza adolescenziale a una matura consapevolezza del proprio ruolo nella relazione medico-paziente.

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