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Diritto alla salute: una nuova alleanza con il paziente protagonista

Paul Hearling responsabile ricerca mondiale Novartis Pharma.
Emanuela Medi

Emanuela Medi

mar. 6 aprile 2010

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Impresa farmaceutica e mondo dell’associazionismo: due realtà con tanti obiettivi e interessi comuni. Se da una parte le associazioni dei pazienti sono una realtà sempre più importante in Europa (dove opera il 51% di tutti i patient group del mondo), dall’altra non si può non riconoscere che in molte industrie farmaceutiche si è andata affermando la consapevolezza della necessità di supportare i malati “ascoltando” le loro reali esigenze, al fine di promuovere una migliore qualità di vita.

La patient advocay nel nostro Paese coinvolge oltre 3,5 milioni di malati e svolge un ruolo molto importante nel sistema salute. Da qui il workshop organizzato recentemente a Roma dalla Novartis Alleati per la salute che ha visto la partecipazione di oltre 60 tra responsabili e dirigenti di associazioni. L’incontro aveva un ospite di eccezione, Paul Hearling responsabile ricerca mondiale Novartis Pharma, cui abbiamo rivolto alcune domande.

Perché questa attenzione nei confronti delle associazioni dei pazienti?
La medicina moderna è diventata sempre più potente e sofisticata, e noi oggi sappiamo molte più cose rispetto al passato; per esempio, siamo convinti che i farmaci dovrebbero essere impiegati prima che compaiano i sintomi, prima che la malattia si manifesti. Il paziente si aspetta che il trattamento cui è sottoposto faccia effetto e che migliori la sua qualità di vita. Noi dobbiamo informare il paziente, che ha il diritto di sapere. L’importante è stabilire un rapporto di fiducia in modo che il malato sappia che l’informazione fornita è vera, le promesse siano reali. I medici hanno il dovere di dire anche quello che non sanno, non dare l’impressione che sia tutto certo al cento per cento perché non è vero. Nella scienza c’è sempre una parte che si sa e una che non si sa.

Che cosa chiedete voi alle associazioni?
Noi chiediamo loro di dirci le loro esigenze, i loro bisogni. Nessuno più di un malato sa cosa desidera e cosa contribuisce a migliorare la qualità di vita. Noi dobbiamo sapere tutto questo per meglio adattare le nostre terapie.

Le big pharma seguono sempre e solo la legge del profit?
Molte cose sono cambiate, e veramente in alcune industrie c’è stata una importante inversione di tendenza. È ovvio il profitto è sempre importante, la ricerca e i farmaci non si fanno senza soldi: i nostri azionisti lo sanno e non vogliono essere in perdita. Tuttavia, oggi questo rapporto è più bilanciato, nel senso che i nostri investitori sanno che per alcune malattie, le cosiddette “neglette”, non ci può essere profitto anche perché le malattie maggiormente devastanti, causa di centinaia di morti all’anno, provengono da paesi estremamente poveri. Dunque lo sanno e lo accettano.

Possiamo parlare di una nuova etica?
Io credo proprio di sì, anche perché la globalizzazione ha portato con sé due fenomeni. Il primo, i viaggi: le malattie viaggiano con noi e viaggiano molto velocemente. Quindi, una infezione nata in un Paese lontano (pensiamo alla SARS, nata in una sconosciuta in Cina) si è rapidamente diffusa nel mondo. La seconda considerazione è che tutto è visibile in tempo reale. Il terremoto ad Haiti, lo Tsumani nel Sud-Est asiatico entrano nelle nostre case e nessuno può rimanere insensibile, nemmeno chi vuole solo profitto.
I nostri azionisti sanno che per malattie come la TBC, la Febbre di Deng, la Malaria, i farmaci devono essere venduti a un prezzo irrisorio: lo sanno, ma oggi non si tirano indietro. Certo sono pochissime le industrie che hanno questa politica, ma prima non c’era nulla, domani questa consapevolezza sarà maggiore.

Qual è il vostro rapporto con le grandi charity?
Esistono in America dei Comitati di Investitori etici. Sono delle Organizzazioni i cui appartenenti valutano l’etica delle industrie farmaceutiche che investono capitali nella ricerca di farmaci per malattie – come dicevo prima – neglette.
È proprio l’eticità di queste ricerche a favorire la collaborazione di grandi Fondazioni come la Bill e Mlinda Gates o la Welcome Foundation, che partecipano a queste ricerche. Faccio un esempio: a Singapore abbiamo un grande centro di ricerca per la TBC, la Febbre di Deng e la malaria. In particolare, per la Tubercolosi stiamo facendo delle grandi ricerche per affrontare il drammatico problema delle resistenze, così già ora, con 15 anni di anticipo, stiamo lavorando per trovare nuovi antimalarici, visto che quelli di ultimissima generazione a base di artemisina inducono resistenza anche se in modestissima misura. Purtroppo non parliamo di medicina povera, ma di milioni di poveri al mondo.

 

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