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Metodiche all’avanguardia nella rigenerazione ossea grazie al digitale

Patrizia Biancucci

Patrizia Biancucci

gio. 2 dicembre 2021

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Il dott. Cucchi, un giovane emergente di soli 36 anni ma già avanti. Nella sua relazione al congresso della Digital Dentistry Society ha presentato un caso di rigenerazione ossea di circa 8 mm.

Lei utilizza abitualmente la tecnologia e l’intelligenza artificiale. Quali sono stati gli step del suo percorso professionale?
Mi sono laureato all’università di Verona, la specializzazione in chirurgia all’Università di Milano e il dottorato di ricerca all’Università di Bologna in cui ho poi condotto alcune ricerche scientifiche sulla rigenerazione ossea. La mia relazione si è focalizzata sulle nuove tecnologie, sui nuovi software e sui nuovi processi di produzione di dispositivi customizzati, ovvero personalizzati sul singolo paziente. Questo permette di avere un livello di precisione e accuratezza inimmaginabili qualche tempo fa quando l’intero processo era operatore-dipendente con margini di errore e imprecisione decisamente più elevati.

Lei parla ai suoi coetanei, ai giovani, i nativi digitali. Le tecniche di rigenerazione dell’osso di cui tratta sono accessibili solo al dentista giovane o anche al senior?
Si tratta di tecniche sia per il dentista giovane che per il senior perché attraverso il rapporto che abbiamo con gli ingegneri e i tecnici non è necessario che il clinico sappia direttamente utilizzare queste metodiche digitali perché c’è un flusso di interfaccia continua tra le diverse figure che permette di non avere un background formativo specifico per adottare queste tecnologie. Oggi il software ci permette di collegarci in remoto con degli ingegneri e progettare davanti al nostro computer e far fare tutto a loro evitando perdite di tempo.

Si allarga il team e aumentano le figure con cui ci si interfaccia, ma il momento diagnostico rimane in capo all’odontoiatra.
Assolutamente sì. Gli ingegneri si inseriscono nella fase di progettazione e realizzazione dei dispositivi, ma tutta la fase fondamentale precedente di diagnosi e trattamento rimane in mano ai medici.

Lei prima diceva che ci sono casi di edentulia totale in cui è più facile la rigenerazione ossea rispetto a casi di edentulia parziale di perdita di osso localizzata. Perché?
Questo perché nei casi di perdita di osso localizzata ci sono solitamente esigenze estetiche più elevate. Basti pensare l’assenza di denti nella zona estetica frontale in cui è più complesso restituire al paziente la sua soddisfazione estetica rispetto a ciò che avviene in un mascellare completo in cui, non avendo altri denti, si possono ricostruire morfologia ed estetica non vincolate dai denti presenti grazie all’ausilio di software di progettazione.

A livello di rigenerazione ossea, come fa a essere sicuro che si sia riformato un osso adatto a sopportare gli impianti e supportare una protesi?
In assenza di complicanze infettive, e completata la tecnica in modo scrupoloso, abbiamo la certezza quasi assoluta di aver ottenuto un osso che manterrà la sua funzione nel tempo.

Ha detto: “meglio l’osso autologo”. Ci può chiarire questo punto?
I padri della rigenerazione ossea hanno fatto svariate ricerche per capire quale fosse il mix adeguato per ottenere la qualità ossea migliore a supportare gli impianti e hanno scoperto che un mix di un 50% di osso del paziente e di un 50% di osso sintentico o di altra tipologia sia la scelta più ottimale. Questo permette di trarre i vantaggi da entrambi: dall’osso sintetico quello di mantenersi nel tempo e da quello autologo quello di avere una componente osteogenetica, quindi una capacità di autogenerazione.

La programmazione implantoprotesica in rigenerazione ossea da chi viene fatta?
Parlando di rigenerazione ossea lasciamo il comando al protesista che ci indica il risultato che vuole ottenere: ricostruendo l’osso, con questa metodica, non abbiamo più il vincolo di inserire gli impianti solo dove c’è l’osso ma laddove vanno in modo protesicamente guidato. Così come avviene per l’ortodontista nella pre-protesica.

Tutto, però, senza mai dimenticare il ruolo centrale e indiscutibile della diagnosi.
Certamente. Tutto parte dalla diagnosi, oggi digitale.

 

L'intervista è stata pubblicata su Implant Tribune Italian Edition 4/21.

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