Nei primi Anni Sessanta, la scoperta del laser segnò per l’umanità una tappa fondamentale nel campo medico, in generale, e odontoiatrico, in particolare. Basti pensare all’Oftalmologia, dove è diventato lo strumento terapeutico principe grazie all’azione fototermica che tratta diverse patologie, in primis il distacco della retina.
Altri campi della medicina hanno beneficiato del suo apporto energetico mirato: la Dermatologia e Chirurgia Estetica, l’Urologia, la Chirurgia Vascolare, la Neurochirurgia. L’elenco potrebbe protrarsi a tutte le discipline che implicano trattamenti chirurgici mirati.
Come poteva l’odontoiatria rimanere fuori dalla sfida tecnologica di un’energia radiante sui tessuti orali? Infatti i laser vi vengono impiegati fin dal ’64, intervenendo sulla mucosa orale, sui tessuti duri del dente e sull’osso alveolare senza contatto, vibrazioni o dolore. Nonostante un numero elevato di pubblicazioni, sono ancora molte le controversie e le reticenze d’impiego nei trattamenti odontoiatrici.
Il 5 aprile del 2006 dopo una sperimentazione rigorosa di 54 mesi, l’organo di controllo americano FDA (Food and Drug Administration) ha approvato e certificato i protocolli di utilizzo dei laser, apparecchiature un tempo ignorate per le loro grandi dimensioni, dall’utilizzo indaginoso e spesso costi eccessivi, diventate oggi alla portata di ogni realtà operativa dal punto di vista economico e facilità di utilizzo.
Queste le principali azioni benefiche sui tessuti irradiati dal raggio: quella antiflogistica dovuta a una maggior velocità del microcircolo con riduzione del liquido interstiziale (il raggio esplica infatti un’azione selettiva sul drenaggio dei vasi linfatici terminali). Un’azione antalgica: il raggio caratterizza un effetto inibitorio a livello della frequenza delle scariche dei nocicettori periferici, con conseguente innalzamento della soglia del dolore. Un’azione biostimolativa: l’irradiazione induce nei tessuti trattati una duplicazione cellulare più rapida senza alterazioni di tipo strutturale e/o funzionale.
Il raggio agisce anche sull’energia gradiente della membrana mitocondriale accelerando di circa il 23% il processo di fosforilazione ossidativa per la trasformazione di Adenosindifosfato (ADP) in Adenosintrifosfato (ATP). Inoltre, nei tessuti trattati, avviene una bioriparazione per aumentata mitosi cellulare, un incremento della sintesi proteica (proteine nuove sostituiranno quelle danneggiate), dei cheratinociti e delle cellule dei vasi sanguigni, induzione allo sviluppo e proliferazione dei fibroblasti, un’accentuata capacità neoformativa del tessuto, delle difese immunitarie per attivazione dei macrofagi e dei neutrofili.
Esercita infine un’azione antibatterica (insieme alla biostimolazione) riguardante la decontaminazione. Con questo termine viene indicato “il processo fisico o chimico mediante il quale si procede alla rimozione di potenziali agenti patogeni”. Grazie all’effetto fototermico e fotodinamico (con l’utilizzo di opportune sostanze) vengono denaturate le proteine della membrana batterica con un’azione battericida mirata senza utilizzo di farmaci (quindi proponibile anche ai pazienti cd. “speciali” in cui la sospensione o l’indicazione di un farmaco sono tassativamente vietati), con rimozione dell’epitelio sulculare infetto e del tessuto di granulazione per vaporizzazione con una più rapida guarigione del tessuto trattato. Ma ancor più consentendo di procedere, prima del suo apporto, con un debridement meno aggressivo e un risparmio di tessuto biologico nel massimo confort per il paziente.
Anche per il trattamento delle perimplantiti a eziologia microbica (vero flagello del terzo millennio) l’azione antibatterica del laser associata alle terapie convenzionali (già dimostrata nel 2001 da Dortbudak et al.) si esplica in tempi rapidissimi (1 m. circa), riducendo in modo consistente la carica batterica in prossimità di impianti in pazienti affetti da perimplantite, senza danni strutturali. Per quanto riguarda la necessità o no dell’aggiunta di laser nei trattamenti parodontali ancor oggi la società scientifica è divisa in favorevoli e contrari anche se ammettono un innegabile beneficio nell’immediato.
Fuori discussione ormai la sua potenzialità negli altri trattamenti di prevenzione odontoiatrica: la decontaminazione del solco nel trattamento di sigillatura, abbassando la carica batterica prima dell’apposizione del sigillante, l’efficace e duratura desensibilizzazione, il trattamento delle afte, dell’herpes labiale, delle cheiliti angolari e nel trattamento cosmetico di sbiancamento dentale.
Il non prendere in considerazione questo tipo di tecnologia, rischia di estromettere l’operatore dal futuro mercato del lavoro considerando che della “luce laser in odontoiatria” si è aperta fino ad oggi solo una porticina e immaginando cosa potrà riservare il futuro. Parlando con metafore, «se non si inizia immediatamente a guidare l’utilitaria sarà quasi impossibile guidare poi un bolide di formula 1».
Il laser va visto non come sostitutivo ma come valido supporto dei trattamenti quotidiani, tralasciando protocolli clinici improbabili ma con un percorso preciso e corsi seri di preparazione senza mai dimenticare che «un bisturi è un bisturi. Utilizzato da un clinico capace può salvare una vita, altrimenti può anche toglierla, perché il problema non è il bisturi ma sempre chi lo usa». Così per il laser: «è una luce, ma non una lampadina».
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