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Le tipologie di rapporto tra odontoiatra e paziente: dal paternalismo alla reciprocità

Anna Cantagallo, Neurologo e Fisiatra

ven. 20 aprile 2018

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Comunicazione odontoiatra e paziente. Quanto è importante stabilire un rapporto di fiducia ed empatia? Ad introdurre l’argomento è Anna Cantagallo, medico neurologo e fisiatra oltre a componente della direzione scientifica BrainCare.

Con l’avvento del XXI secolo il rapporto tra medico e paziente ha attraversato cambiamenti radicali, dovuti in gran parte a grandi trasformazioni sociali; in particolare, in questo tipo di relazione, si assiste sempre più ad uno spostamento verso una mentalità di tipo democratico ed ugualitario, tale per cui paziente e medico si troverebbero “sullo stesso piano”. D’altra parte però, bisogna tener conto che, ad oggi, le spese mediche aumentano sempre di più: la causa principale risiede nel fatto che si stanno sviluppando tecnologie sempre più raffinate, complesse, e, ovviamente, costose. Di conseguenza, la figura del medico si ritrova a perdere una parte della sua “autorità” per quanto riguarda la scelta del programma di cura per il paziente.

Il più grande cambiamento a cui assistiamo oggi -continua la dott.ssa - è quello che riguarda lo spostamento da un modello paternalistico ad un modello condiviso.

Qual è la differenza?
In un modello di tipo paternalistico, è il medico che prende le decisioni per il paziente, senza consultarlo: decide autonomamente il trattamento più adatto, a seconda dei casi, poiché si ritiene che possieda tutte le competenze mediche necessarie per decidere per conto del paziente. Di conseguenza, s’impegna semplicemente a curare uno stato di malessere, per ripristinare una condizione di salute. Una relazione di questo tipo è fortemente asimmetrica, sbilanciata a favore del medico, mentre il paziente viene considerato come incapace di decidere, poiché privo di conoscenze tecniche. Il modello paternalistico è governato da due grandi principi etici: il principio di beneficienza, che prescrive l’obbligo da parte del medico di agire per il bene del paziente e di non maleficenza, che implica l’obbligo di non arrecare danno al paziente.

In un modello condiviso invece, paziente e medico si assumono le medesime responsabilità, ed in più hanno entrambi un uguale potere decisionale. In un modello come questo, si pongono al centro della relazione princìpi etici come il rispetto dell’autonomia paziente e il riconoscimento della sua unicità. Una relazione di questo tipo è simmetrica: entrambi i membri sono considerati uguali e con lo stesso potere di negoziazione. Il paziente può acconsentire o meno al trattamento proposto dal medico, dopo che questi ha provveduto ad informarlo su altre possibili terapie.

Qual è la diretta conseguenza di questo profondo cambiamento?
Pur rimanendo un aspetto imprescindibile della figura del medico, il “saper fare” non è più sufficiente; accanto a buone competenze e conoscenze, indispensabile anche una certa empatia da parte dell’odontoiatra nei confronti dei propri pazienti. L’obiettivo dev’essere un’alleanza terapeutica, per ottenere da entrambe le parti fiducia e soddisfazione. In particolare, sarebbe auspicabile un modello chiamato bio-psico-sociale, dal quale si evince la necessità, da parte del medico, di prendersi cura non solo della patologia in sé, ma anche di tutti quegli aspetti psicologici che contribuiscono a determinare l’unicità del paziente, per troppo tempo considerati periferici e meno importanti. Considerare un insieme di aspetti, e non solo quelli prettamente connessi con la patologia, comporta una valutazione della persona nella sua interezza, ovvero di tipo olistico.

Quali gli ingredienti fondamentali?
Esisterebbero alcuni aspetti cardine della medicina, che dovrebbero essere presenti nelle le sue numerose declinazioni; ad esempio, la presenza, l’ascolto attivo, la comunicazione efficace, il silenzio, i movimenti del corpo e il tempo dedicato al paziente. A proposito di quest’ultimo punto, importante ricordare che il medico deve esplicitamente dedicare il suo tempo, e, soprattutto, essere disposto a sintonizzarsi con i ritmi dei propri pazienti, diversi di volta in volta.

È importante dedicare tempo al paziente?
Potrebbe sembrare superfluo, ma è in realtà l’elemento chiave per stringere una buona alleanza terapeutica; troppe volte i pazienti si lamentano del poco tempo dedicato dai medici. Questo accade in genere perché per le persone sane il tempo passa velocemente, ma per coloro che soffrono di una qualche patologia avviene l’esatto contrario. Per questa ragione desiderano per sé una figura medica pronta ad ascoltarli.

Quanto tempo è necessario impiegare?
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, basta davvero poco: a dirlo è Balint, uno studioso secondo cui 5-10 minuti di grande attenzione del medico verso il paziente sarebbero sufficienti per trasformare un semplice incontro in una solida alleanza terapeutica. Queste caratteristiche fondamentali si rivelano importantissime non solo nelle prime fasi di conoscenza, ma anche in quelle precedenti o riguardanti l’organizzazione della prima visita, quando il paziente si rivolge per la prima volta telefonicamente alla struttura odontoiatrica. Fase apparentemente banale e di poco conto, in realtà molto delicata, poiché una buona accoglienza rappresenta l’unico strumento disponibile per dare una prima ed ottima impressione del centro.

Quando poi il paziente si presenta, gli viene in genere consegnata una lettera di presentazione, nella quale si sottolinea l’importanza di formulare una corretta diagnosi, ma anche di instaurare una collaborazione adeguata per raggiungere gli obiettivi prefissati.

In questa fase, è molto comune cadere in errore, Gordon, uno studioso di comunicazione nel 1991 individua quelli più deleteri per il consolidamento del rapporto. Alcuni sono: dare ordini e comandi, persuadere con ragionamenti, interrogare, ridicolizzare e umiliare, e, ovviamente, giudicare ed etichettare chi si ha di fronte.

Quali accorgimenti assumere, quindi?
Di fondamentale importanza prestare cura al proprio lessico, cercando di mediare tra un linguaggio troppo formale, colmo di tecnicismi e uno troppo infantile e ridicolizzante, che toglierebbe al medico ogni autorità. Il colloquio si rivela importante anche per individuare tutti gli aspetti emotivi e psicologici; classica componente psicologica presente in moltissimi pazienti è, ad esempio, l’ansia, nei cui confronti l’odontoiatra non deve preoccuparsi eccessivamente, perché non è da considerare come una patologia, ma può essere facilmente sconfitta dedicando del tempo al paziente, rassicurandolo su ogni fase del trattamento, tramite un linguaggio chiaro e semplice. Tali concetti si possono applicare anche alla pratica odontoiatrica, sapendo che ogni dentista rappresenta una figura a sé, con caratteristiche peculiari di personalità ed un suo bagaglio di esperienze. In ogni caso, esistono delle qualità ideali che ogni odontoiatra, a prescindere dalla sua unicità dovrebbe avere.

E quali sarebbero?
Innanzitutto, a livello tecnico, deve ovviamente possedere una buona dose di bravura, che si manifesta in movimenti leggeri ma spediti, finalizzati a far sentire al paziente meno dolore possibile. Inoltre, un lavoro di qualità dura nel tempo per quanto concerne aspetti funzionali ed estetici. A livello comportamentale, il dentista ideale deve dimostrarsi comprensivo e pacato, per far percepire tranquillità anche al paziente; sicuro di sé, dare l’impressione di sapere quello che sta facendo, anche in caso di situazioni di emergenza. Sarebbe poi utile che descrivesse i vari passaggi di un’operazione, senza troppi particolari talvolta spiacevoli, in modo che il paziente sappia di volta in volta quello che sta facendo. In terzo luogo, a livello etico e funzionale, un odontoiatra ideale deve rispettare appuntamenti ed orari, garantire alti standard d’igiene e sterilizzazione, poiché sono aspetti tenuti in grande considerazione dal paziente. Infine, importante che il medico sia sincero sulle questioni economiche, annunciando il costo dell’intero trattamento prima che sia intrapreso ed informandolo eventualmente su spese aggiuntive impreviste.

Quindi, un paziente co-protagonista?
Anche l’odontoiatria non è esente da una grande trasformazione sociale che vede il paziente protagonista delle proprie decisioni; al contrario, quella che una volta era considerata una professione minore, è oggi divenuta una delle più complesse e sofisticate della Medicina, grazie all’invenzione e sviluppo di nuove tecniche e materiali. Il paziente oggi si reca dal dentista non soltanto per motivi funzionali, ma spesso e volentieri anche estetici: un sorriso bello e smagliante è un grande punto di forza nelle relazioni sociali.

Quali sono le principali tipologie di rapporto tra odontoiatra e paziente?
La varietà di possibili relazioni tra medico e paziente, analizzata nel 2006 da Roter e Hall, può essere applicata anche al rapporto tra odontoiatra e paziente. In particolare, i due studiosi individuano quattro tipologie di rapporti.

Può descriverli?
Il primo tipo, il paternalismo, prevede un alto controllo dell’odontoiatra e uno basso da parte del paziente. Come detto prima, in tale rapporto l’odontoiatra si assume le responsabilità delle sue decisioni, senza considerare le preferenze del paziente. Modello superato, a causa dell’aumento di contenziosi medicolegali e grazie a quello di alfabetizzazione, per cui il medico non può esimersi dall’informare il paziente per ottenere il consenso alle cure.

La seconda possibile tipologia di rapporto è il consumismo, con un basso controllo dell’odontoiatra e uno alto da parte del paziente. Qui è il paziente che afferma la sua autonomia e desidera essere protagonista nelle scelte riguardanti la salute. Un rapporto che oggi si verifica con una certa frequenza nell’ambito dell’odontoiatria e una delle principali cause è quella di tipo economico: l’odontoiatra infatti non utilizza la propria competenza per rassicurare il paziente, ma propone un servizio carico di attrattive con la funzione di creare aspettative nel paziente. Di conseguenza, la relazione assume la fisionomia di un vero e proprio contratto, di nessun aiuto per la creazione di un’alleanza terapeutica.

E gli altri tipi?
Il terzo è il rapporto basato sulla noncuranza, con basso controllo dell’odontoiatra e anche da parte del paziente. Relazione caratterizzata da bassa qualità, poiché fondata sull’indifferenza e scarsa attenzione di entrambi i poli. In particolare, la rottura dell’alleanza terapeutica è causata da una scarsa qualità di comunicazione interpersonale, che innesca una serie di eventi negativi: scarsa empatia, con perdita di fiducia da parte del paziente; bassa compliance, che lo porta a non considerare l’odontoiatra come valido punto di riferimento e a non seguire le indicazioni fornite; inefficacia delle terapie, per scarsa collaborazione del paziente; sfiducia, allorché realizza che le cure sono inefficaci; e, infine, fallimento dell’alleanza terapeutica, che porta entrambi i membri della relazione ad erigere tra loro una sorta di muro immaginario, con un conseguente distacco emotivo da parte di entrambi.

Quarto e ultimo rapporto possibile infine è basato sulla reciprocità che prevede un alto controllo dell’odontoiatra e anche del paziente. È il rapporto più auspicato: entrambi interagiscono nella creazione di un clima empatico, essendo l’empatia l’ingrediente fondamentale per lo sviluppo di una relazione armonica. L’odontoiatra presenta un percorso terapeutico, richiedendo al paziente il consenso. In questa relazione sono fondamentali le competenze comunicative del medico, che permettono di relazionarsi apertamente col paziente, prendendosene cura nel rispetto della sua unicità. A questo proposito, uno strumento molto utile è l’ascolto attivo, che prevede empatia, clima positivo e atteggiamento non giudicante. La reciprocità inoltre si rivela di fondamentale importanza per una maggior soddisfazione professionale, ma soprattutto perché comporta una miglior efficacia delle terapie, oltre a favorire il cd. “passaparola positivo”: un’opinione positiva e soddisfatta di un paziente che ha potuto testare un trattamento rivelatosi molto più efficace di informazioni positive provenienti dal professionista stesso.

Riassumendo, quali sono i concetti chiave da seguire quando si vuole instaurare una relazione efficace ed empatica con il paziente?
Sei i punti fondamentali. Innanzitutto, una buona qualità della cura è imprescindibile; essere trasparenti è fondamentale, poiché permette al medico di presentarsi in maniera limpida, attraverso un servizio soddisfacente che faccia emergere professionalità e competenza. In secondo luogo, non può mancare una buona dose di fiducia: se il paziente, al momento della proposta terapeutica, percepisce di poter scegliere se dare o meno il suo consenso, percepirà un grado di fiducia maggiore nei confronti dell’odontoiatra.

In terzo luogo, è bene utilizzare una comunicazione efficace: parlare in maniera chiara e semplice è fondamentale per l’instaurarsi di un buon rapporto. Se infatti il medico comunica tramite un linguaggio troppo specifico e complesso, quello che percepirà il paziente sarà una scarsa empatia e di conseguenza aderirà meno probabilmente al trattamento proposto. Il segreto sta invece nell’usare un linguaggio privo di eccessivi tecnicismi, assicurandosi di essere stati compresi da tutti. Altro aspetto da curare è fornire le informazioni necessarie suddivise per fasi, scrivendole al paziente e assicurandosi che egli le abbia capite in maniera corretta. Utile anche mettere in risalto le fasi peculiari del trattamento.

Il quarto punto fondamentale è il tipo di relazione dentista-paziente, che implica un alto controllo da parte di entrambi. Anche l’ascolto del paziente è uno strumento importantissimo, in particolare quando l’odontoiatra ha necessità di capire i sentimenti e le sensazioni che prova; se, per esempio, teme particolarmente di essere visitato, il medico dovrà rivolgergli una particolare attenzione psicologica, per comprendere il motivo sottostante al suo comportamento irrazionale.

Infine, l’atteggiamento dell’odontoiatra: il modo di porsi è fondamentale. In particolare, un modello “patient centered” sembra essere il più funzionale per sintonizzarsi al meglio con suoi bisogni. Molto utile avere uno psicologo nello studio odontoiatrico, che accerti eventuali tratti di personalità problematici nel paziente, es. aspetti di tipo ansioso, ossessivo-compulsivo o fobico. Così l’odontoiatra potrà modificare il proprio atteggiamento per renderlo funzionale ai bisogni del paziente.

Quanto è importante una buona comunicazione secondo le opinioni dei pazienti?
Per saperlo, è stato recentemente fatto un sondaggio per indagare tra pazienti odontoiatrici, l’importanza di alcuni fattori oggettivi e di comunicazione, basandosi sulla loro esperienza di pazienti. Veniva chiesto di assegnare un punteggio a diversi fattori: da 1 (poco importante) a 4 (importante). Ne è emerso che la maggior parte dei pazienti dà grandissima importanza ad aspetti di tipo comunicativo; al secondo posto, alla disponibilità del medico all’ascolto e alla spiegazione chiara della cura. Tutti aspetti che contribuiscono in maniera determinante alla percezione di essere stati trattati come pazienti, e non come clienti.

L’importanza crescente data agli aspetti comunicativi rappresenta un radicale cambiamento rispetto al passato: per le generazioni precedenti infatti, quello del medico era considerato semplicemente un intervento puntuale e mirato, messo in atto solo all’insorgere di una patologia. Oggi invece, l’intervento mirato è si è tramutato in un uno ad ampio respiro, che prevede un percorso continuo fatto di prevenzione e di terapia. Trasformazione non fine a sé stessa, ma dai risvolti pratici chiari, primo tra tutti, il fatto che il paziente “pretende di più” dal suo odontoiatra. Egli desidera discutere in maniera dettagliata in ogni aspetto del trattamento, per comprenderlo al meglio, consapevole che potrà dare o meno il proprio consenso sulle decisioni del suo odontoiatra.

Quella del consenso è una tematica oggi molto accesa. Si sentono casi di contenzioni medico-legali in odontoiatria riguardanti sia cause intrinseche alla professione, sia ambientali. Fondamentale che l’odontoiatra crei intorno a sé un ambiente di alto standard qualitativo, per tutelarsi da ogni possibile problema. Una delle soluzioni più semplici ma efficaci è autocontrollarsi; ad esempio, possedere tutta la documentazione clinica in maniera ordinata e classificata gli permette di difendere il proprio operato o, quanto meno, delimitare i danni, allorché il suo esercizio venga contestato da un collega.

 Parlando di tutela, ci parli della Carta di Firenze…
Venne sviluppata nel 2005 quale sorta di codice etico-comportamentale che stabilisce diritti e doveri alla base di un nuovo rapporto medico-paziente. È formata da 15 principi, nati da un’idea di fondo: non esiste cura se medico e paziente non comunicano attraverso l’uso di un linguaggio comprensibile e massima disponibilità del medico stesso. L’aspetto più innovativo è che, per la prima volta quelle che prima erano solo riflessioni sono diventate principi messi per iscritto. Tutti i cittadini avranno l’opportunità di conoscere i propri diritti, per avvalersene.

Di fatto, la maniera migliore per favorire un’alleanza terapeutica resta sempre prendersi cura ottimale dei pazienti, facilitando un rapporto solido ed empatico attraverso sensibilità, umiltà, e consapevolezza dei propri limiti.

Quale modello ideale da seguire per l’instaurazione di una reciproca fiducia medico-paziente?
Quello più auspicato sarebbe di tipo “patient centered” che mette in luce la necessità del paziente, di venir preso seriamente, ovvero di essere considerato come una componente imprescindibile nella relazione tenuta a dare la propria opinione e consenso sul trattamento proposto. Tutto questo comporta un ritorno non solo per il paziente, ma anche per l’odontoiatra che grazie ad un comportamento empatico, si assicurerà la fiducia del paziente, il quale a sua volta sarà disposto a parlargli del suo disagio in maniera sincera ed esauriente.

Come agevolare questo atteggiamento di apertura?
Una delle tecniche più riuscite prevede la formulazione di domande aperte, soprattutto se poste per raccogliere informazioni di tipo anamnestico. Più di tutto permettono al paziente di rispondere in maniera ampia consentendo inoltre di selezionare dalla memoria il maggior numero di dettagli relativi alle proprie esperienze. Le domande chiuse, al contrario, riducono lo spazio di conversazione, limitandolo a fornire risposte sintetiche prive di dettagli.

Procedere con domande aperte non è solo utile per ricavare informazioni particolareggiate, ma per lanciare le basi di un rapporto solido. Consentire ampi spazi di risposta porta infatti ad una maggior discussione facendo percepire al paziente maggior fiducia e rassicurazione di un odontoiatra non solo interessato alle condizioni del suo cavo orale, ma allo stato di salute generale. Anche le domande chiuse tuttavia, hanno i loro vantaggi, Essendo mirate ad indagare un determinato aspetto, sono ideali nel momento in cui si vogliono conoscere nello specifico informazioni che potrebbero perdersi se inserite in una risposta ampia e discorsiva.

Il colloquio ideale sarebbe quindi quello che inizia con domande aperte, ad ampio respiro e procede man mano con domande sempre più chiuse e specifiche. Una cosa però va tenuta in considerazione: ogni paziente è diverso e unico. Pertanto, il concetto di colloquio ideale è relativo, bisogna sempre considerare con chi ci si sta rapportando in un determinato momento. Esistono infatti pazienti che prediligono risposte ampie, poiché si sentono liberi di esprimere opinioni personali, cosa che non potrebbero fare nel caso gli venissero poste domande chiuse. Al contrario, una vasta gamma di pazienti si sente più a proprio agio dando risposte chiuse e mirate.

In conclusione…
Un rapporto di fiducia solido ed empatico è alla base di ogni trattamento. L’ambito odontoiatrico è multidisciplinare presentando pertanto svariate difficoltà, come ad esempio quella di doversi servire di diversi consulenti e operatori per la cura di un unico paziente. Un'altra difficoltà è legata alle tempistiche, sia delle sedute singole che del trattamento nella sua interezza, che troppo spesso, a causa della fretta tipica dei nostri giorni, non vengono rispettate come dovrebbero.

L’ideale sarebbe seguire un percorso standardizzato ed omogeneo, da adottare su ogni cliente, per ridurre al minimo ogni errore, che altrimenti andrebbe ad influenzare negativamente la gestione del paziente. Un percorso di questo genere richiederebbe, ad esempio, di utilizzare la prima visita per indagare sulla storia personale del paziente, con particolare riferimento a possibili episodi negativi nell’ambito dell’odontoiatria, che potrebbero aver giocato un ruolo cruciale nella concezione che il paziente ha di tale disciplina. Questa è la fase conoscitiva, nella quale il medico delinea una sorta di profilo psicologico per pianificare al meglio modi e tempi del trattamento. Nella seconda seduta si potrebbe discutere del trattamento proposto e delle spese che richiede, lasciando in ogni momento il paziente libero di scegliere se proseguire o meno il percorso. Infine, negli appuntamenti successivi, sarà opportuno esporre in maniera più dettagliata il piano terapeutico, con riferimento a fasi, metodi e strumenti, in modo da tranquillizzarlo il più possibile.

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