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Tra odontoiatra e paziente comunicazione in sei mosse

Foto: Anna Cantagallo, Neurologo e Fisiatra.
 Anna Cantagallo

Anna Cantagallo

mar. 6 marzo 2018

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«Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente, in tal maniera non riescono a vivere né il presente né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto» (Dalai Lama).

Nel XXI secolo il rapporto medico-paziente è entrato in crisi a causa di diversi fattori: se da un lato le evoluzioni sociali e storiche hanno portato a una maggior democrazia e uguaglianza in questo genere di relazione, dall’altro le cure sono divenute sempre più complesse e costose a causa di un elevato sviluppo tecnologico e ciò ha portato il medico a perdere parte della sua “autorità” nella scelta del programma di cura.

Nel tempo quindi si è passati da un modello paternalistico in cui era il medico a scegliere anche per il paziente senza consultarlo a un modello condiviso in cui entrambi si assumono le medesime responsabilità ma hanno anche lo stesso potere decisionale. Affinché si crei una buona partnership e vi sia fiducia reciproca è necessario che l’aspetto comunicativo abbia una grande rilevanza e venga curato dal medico.

A tal proposito vi sono sei punti chiave che ogni odontoiatra dovrebbe tenere bene in considerazione nel momento in cui si interfaccia con i propri pazienti:

  • Qualità della cura: l’odontoiatra deve essere un professionista qualificato che offre un servizio soddisfacente attraverso le proprie competenze e i materiali utilizzati, la trasparenza è un attributo fondamentale;
  • Fiducia: deriva dal presupposto che il consenso del paziente sia il risultato di una scelta libera e informata;
  • Comunicazione efficace: se il medico non provvede a fornire le informazioni necessarie al paziente per cui questo ne percepisce la scarsità il risultato è l’impressione che l’odontoiatra sia poco empatico e di conseguenza c’è una minore adesione alla terapia. Ciò che può fare il medico è utilizzare un linguaggio privo di tecnicismi in modo da poter essere compreso da tutti, fornire le informazioni in fasi, in modo specifico, ponendo maggiore rilevanza su quelle più importanti, scriverle al paziente in modo semplice e infine assicurarsi che siano state recepite attraverso la ripetizione da parte del paziente;
  • Relazione dentista-paziente: tra quelle possibili la relazione di reciprocità in cui il controllo è alto sia da parte del paziente che dell’odontoiatra è la più funzionale in quanto entrambi interagiscono in modo empatico;
  • Ascolto del paziente: la paura del dentista è dovuta sia al dolore che al trattamento perciò è importante che il medico abbia un’attenzione psicologica nei riguardi del paziente per comprendere oltre che il problema oggettivo anche quello soggettivo nel momento in cui il paziente tiene un comportamento irrazionale;
  • Atteggiamento dell’odontoiatra: è utile la presenza di uno psicologo all’interno dello studio odontoiatrico in quanto il paziente potrebbe avere in alcuni casi dei tratti di personalità di tipo ansioso, ossessivo-compulsivo oppure fobico e una volta accertato tramite degli strumenti di valutazione adeguati è possibile fornire il supporto necessario e l’odontoiatra può modificare il proprio atteggiamento e assumere quello più funzionale al paziente sulla base del modello Patient Centered.

In un recente sondaggio a pazienti di studi odontoiatrici è stato chiesto di dare un voto da 1 (poco importante) a 4 (importante) ad affermazioni riguardanti i fattori oggettivi e di comunicazione nell’ambito della loro esperienza con l’odontoiatra: la maggiore importanza è stata conferita all’aspetto comunicativo della professionalità e della competenza e subito dopo al secondo posto è risultata essere importante la disponibilità all’ascolto, alla spiegazione della cura, alla risoluzione di eventuali problemi e la sensazione di essere stati trattati come pazienti e non come clienti.

Nel modello Patient Centered viene evidenziata la necessità del paziente di “essere preso sul serio” e ciò ha un ritorno positivo anche per il medico poiché solo il suo assistito è il “vero conoscitore” del suo disagio e solo se si sente compreso è in grado di esprimere in maniera esaustiva tutti i suoi sintomi. È possibile agevolare questo processo di svelamento attraverso la formulazione di domande aperte da parte del medico al paziente e in questo modo portare quest’ultimo a ripescare dalla propria “agenda” esperienziale la maggior parte di dettagli possibili.

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