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Il punto sull’irrigazione in endodonzia (prima parte)

La complessità anatomica: anastomosi e canali laterali (per gentile concessione del dott. A. Malentacca).
G. Schianchi, U. Uccioli

G. Schianchi, U. Uccioli

lun. 19 ottobre 2015

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È ormai di dominio comune l’importanza dell’irrigazione con una soluzione antibatterica, al fine sia di ottenere successo nella terapia endodontica e di eliminare necessariamente il tessuto vitale o necrotico, i microrganismi e i loro prodotti di degradazione, dall’interno del sistema canalare. Ma che ruolo ha assunto oggi l’irrigazione endodontica?

Nello scorso decennio l’attenzione della ricerca è stata principalmente concentrata sulla sagomatura del canale e le fasi principali della terapia endodontica erano rappresentate da: accesso; sagomatura; otturazione. Relegando così la detersione a un “mentre”; ossia la detersione come conseguenza di una strumentazione all’interno del canale riempito di ipoclorito.
Per molti anni abbiamo sentito ripetere: “cleaning and shaping”. Nella fase della strumentazione l’azione principale degli irriganti è di rimuovere i detriti dal canale, ed è proprio la sinergia tra strumentazione e irrigazione a causare una significativa diminuzione nel numero di batteri all’interno del canale1; come se l’irrigazione fosse un compendio della preparazione, anzi un modo per disinfettare e contemporaneamente lubrificare lo strumento, lasciando a quest’ultimo il compito di “rimuovere” la parte infetta del canale.

Ma se il nostro obiettivo ultimo è la rimozione di tutto il contenuto organico e batterico all’interno del canale nel rispetto delle strutture anatomiche, non possiamo non conferire alla detersione un ruolo preminente, anzi, potremmo addirittura definire la sagomatura un mezzo per irrigare e l’otturazione un mezzo per ottimizzare e mantenere il risultato ottenuto con la detersione.
Ciò permette di svincolare la detersione dalla sagomatura conferendole tempi e importanza di una fase della terapia endodontica. Infatti, nella moderna endodonzia, terminata la preparazione del canale, si cambiano strumenti e inizia la fase della detersione del sistema canalare.
I principali fattori ostacolanti la detersione sono: la natura polimicrobica dei batteri e la loro organizzazione in biofilm, la presenza dello smear layer prodotto dai nostri strumenti, ma soprattutto la complessa anatomia canalare che ostacola la penetrazione dell’irrigante. Infatti numerosi studi hanno evidenziato come la preparazione meccanica in associazione alla sola irrigazione classica non garantisca la completa detersione dell’endodonto.
Il biofilm è costituito da batteri all’interno di comunità coaggregate in una matrice detta “glicocalice”, che funge da barriera meccanica nei confronti degli agenti antibatterici dove risultano più protetti e da batteri liberi in forma planctonica (in sospensione). Durante la sua evoluzione questi ultimi, una volta rilasciati, vanno a infettare lo spazio circostante.
La natura polimicrobica in questi casi è determinante: nelle fasi iniziali può non esservi una chiara associazione tra specie batteriche, ma ben presto si sviluppa una forte associazione positiva tra un ristretto gruppo di microrganismi della flora orale dovuta al tipo di nutrienti presenti nell’ambiente.

Il tipo di ambiente e la disponibilità nutrizionale all’interno del canale radicolare regolano la dinamica della flora batterica, il tipo di batteri presenti dipenderà dallo stadio dell’infezione.
Dobbiamo inoltre considerare che il collagene, l’idrossiapatite, le proteine sieriche e la dentina possono esercitare un’azione fortemente inibente sull’azione delle svariate sostanze utilizzate nella detersione del sistema canalare: la dentina, ad esempio, ha un effetto tampone sia sulle sostanze acide sia su quelle basiche. Risultato finale di tutte queste azioni è che il biofilm risulta essere mille volte più resistente rispetto ai batteri in forma planctonica.
La meccanizzazione della preparazione ha comportato alcuni svantaggi per l’irrigazione: la diminuzione dei tempi di contatto dell’ipoclorito con le pareti canalari; la diminuzione del volume dell’irrigante, essendo le preparazioni più conservative; lo smear layer, che era assente o insignificante nella preparazione manuale.
Lo smear layer è costituito da particelle inorganiche di tessuto calcificato e da materiale organico (residui pulpari, batteri) prodotto durante la preparazione meccanica o manuale, a causa della frizione degli strumenti sulle pareti canalari, fenomeno che ha subito un notevole incremento con l’avvento dei nuovi dispositivi rotanti montati su motori dedicati (Fig. 1).
Oggi molti strumenti presentano una conicità aumentata con lame caratterizzate da ampie superfici di taglio separate da solchi profondi necessari ad aumentare la flessibilità della parte tagliente (Fig. 2).
Ma mentre le profonde scanalature sono utili per rimuovere i detriti macroscopici, le parti radiali di taglio spingono e impacchettano i detriti microscopici nei tubuli dentinali, creando uno spesso strato di fango nel loro interno (smear layer)2 (Figg. 3-7).
Molti studi (Tucker DM J Endod1997,WU MK.Int. Endod J 2001,Tan BT. J ENDOD 2002,Rodig T Int Endod J 2002,Weiger R. J Endod 2002) già da tempo hanno messo in evidenza che la sagomatura deterge solo dal 20 al 40% dell’endodonto e che la parte meno pulita risulta essere quella apicale (Mayer et al., 2002; Karadag et al., 2004).
Il limite maggiore nella detersione è rappresentato dall’impossibilità di raggiungere con l’irrigante zone non raggiunte dalla strumentazione; da qui la necessità di sviluppare un sistema che potenziasse l’azione antibatterica e digestiva dell’irrigante e nel contempo la capacità di penetrare in queste aree critiche dell’endodonto.

Cosa si è fatto sino a oggi per migliorare la detersione del sistema endodontico
Negli anni Settanta e Ottanta è stata utilizzata acqua ossigenata alternata all’ipoclorito di sodio, mentre più tardi abbiamo potuto usufruire anche dell’avvento dell’EDTA, usando un normale ago ipodermico montato su una normale siringa, ottenendo “un’irrigazione di tipo statico”.
L’effetto che si riusciva a ottenere era un ricambio di irrigante nella camera pulpare e nel terzo coronale dei canali, lasciando al movimento degli strumenti manuali il trasporto del liquido verso l’apice, sfruttandone nel contempo le proprietà lubrificanti (Fig. 8).
Nonostante queste difficoltà iniziali si sono comunque ottenuti, seguendo i giusti protocolli, buoni risultati (Figg. 9, 10).
È pur vero che nel tempo molti studi hanno evidenziato che:

  • a) spesso un tipo d’irrigante inibiva parzialmente l’azione dell’altro;
  • b) spesso non era assicurato un sufficiente flusso di irrigante all’interno del canale che permettesse la disinfezione e la penetrazione dell’intero endodonto3.
  • c) formazione del Vapour lock; una volta aperto il canale rimane intrappolata dell’aria nel terzo apicale, fenomeno che viene incrementato dalla reazione stessa dell’ipoclorito con i tessuti pulpari per una conseguente produzione di gas. Questa reazione intrappola aria specialmente nella parte apicale che diventa difficilmente raggiungibile dagli irriganti4.
  • d) non abbiamo a oggi un irrigante che svolga contemporaneamente la funzione disinfettante e che sia in grado di rimuovere smear layer e biofilm5,6.

Per queste ragioni dagli anni Novanta la ricerca ha intrapreso due strade parallele:

  • la ricerca di irriganti più performanti e diffusibili;
  • l’attivazione degli irriganti con varie tecniche meccaniche ed elettroniche.

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Ricerca sugli irriganti

Un irrigante deve avere le seguenti caratteristiche:

  • – bacterial decontamination;
  • – broad spectrum antimicrobial activity;
  • – ability to enter deep into dentinal tubules;
  • – ability to dissolve necrotic tissue;
  • – ability to dissolve inorganic material;
  • – safety;
  • – biocompatibility;
  • – lack of toxicity;
  • – ease of use;
  • – moderate cost.


Ipoclorito di sodio
Irrigare un canale senza ipoclorito di sodio è impensabile date le sue caratteristiche antimicrobiche e soprattutto per la capacità di dissoluzione dei tessuti organici che è unica tra gli irriganti attuali.
Oggi sappiamo sicuramente che:

  • l’aumento della temperatura ha l’effetto di potenziare l’azione solvente sul collagene dell’ipoclorito, mentre l’attività battericida è influenzata dalla concentrazione e dal tempo di contatto con i batteri;
  • la concentrazione ottimale è al 5,25%7.
  • l’azione battericida si esplica in 2-5 minuti, a patto che ci sia un contatto diretto tra ipoclorito e batteri. Pertanto è rilevante rinnovare l’irrigante sia per favorire la rimozione dei detriti, sia per avere una soluzione sempre attiva;
  • l’ipoclorito di sodio da solo non è in grado di raggiungere le zone profonde del sistema canalare e quindi queste rappresentano dei serbatoi di potenziale ricontaminazione.
  • l’ipoclorito di sodio non è in grado di rimuovere lo smear layer, è tossico se spinto oltre apice, e presenta un’elevata tensione superficiale.


EDTA

Viene usato a concentrazioni comprese tra il 15% ed il 17% a pH tamponato tra 6,5 e 7. Se usato in sinergia con l’ipoclorito permette di ottenere pareti dentinali perfettamente deterse anche nella regione apicale a patto di portare una quantità sufficiente di entrambe le soluzioni nel terzo apicale del canale8.
Ma la capacità dell’EDTA di chelare gli ioni calcio e la capacità dell’ipoclorito di dissolvere i tessuti necrotici diminuiscono se queste due sostanze entrano in contatto: la percentuale di clorina libera crolla dallo 0,50% allo 0,06% se l’ipoclorito viene messo in soluzione con l’EDTA (Grawehr 2003).
Un tempo di azione prolungato (10 min.) causa un’eccessiva erosione pertitubulare (Çalt 2002).
La completa rimozione dello smear layer non è ancora mai stata ottenuta, in particolare nella zona del terzo apicale (Peters 1997, Heard 1997, Peters 2000, Hülsmann 2001, Schäfer 2002, Foschi 2004).

Soluzioni con clorexidina
L’efficacia antivirale si è rivelata bassa, mentre quella antibatterica è risultata evidente.
Le soluzioni acquose di clorexidina sono disponibili in diverse concentrazioni che vanno dallo 0,1% al 2%.
È spesso addizionata a un agente tensioattivo (cetrimide), presenta elevata capacità di adesione alle superfici dentinali proseguendo in situ la sua azione antibatterica, in maniera direttamente proporzionale al tempo d’applicazione del medicamento ed alla sua concentrazione. Ciò permette un più agevole ingresso nel sistema tubulare del principio attivo, dove può esplicare, oltre all’azione antibatterica diretta, anche l’attività di substantivity consistente nella sua peculiare caratteristica di adesione alle superfici dentinali.
Ha un’azione battericida dovuta alla distruzione del citoplasma batterico per formazione di cross-link tra le proteine (Fardal 1986, Safavi 2003).
È incapace a dissolvere il tessuto pulpare necrotico e presenta un’instabile efficacia sui batteri sia G+ che G– (dobbiamo considerare che le infezioni endodontiche sono sempre a eziologia polimicrobica con una predominanza di batteri G– anaerobi (Sundqvist 1994).

Acido citrico
In concentrazioni che variano dal 6% al 50% è risultato inefficace se usato come unico irrigante nella dissoluzione di tessuti organici e nell’azione antibatterica, mentre è risultato essere efficace nella rimozione dello smear layer usato in associazione all’ipoclorito di sodio (Kopp 1979, Bitter 1990).
La demineralizzazione e la rimozione dello smear layer sono influenzati, dal punto di vista quantitativo, dal pH, dal tempo di azione e dalla concentrazione della soluzione chelante (Baumgartner 1997, Bolaños-Carmona 2006).
Durante l’irrigazione interagisce fortemente con l’ipoclorito di sodio (Baumgartner 1984), riducendo la quantità di cloro libero e rendendo inefficace la sua azione antibatterica e di rimozione dei tessuti necrotici (Schmidlin 2005).
Acido citrico e ipoclorito di sodio non dovrebbero mai essere usati insieme durante le fasi d’irrigazione (Schmidlin 2005).
Studi effettuati a differenti concentrazioni hanno evidenziato come l’effetto sia maggiormente evidente nei due terzi coronali del canale radicolare e come non sia in grado di rimuovere completamente lo smear layer dal terzo apicale (Harashima 1999, Zehnder 2006, Torabinejad -Luque 2008, Armellin 2009).

MTAD

Introdotto da Torabinejad negli anni Novanta, questo irrigante è una miscela di doxiciclina (un antibiotico del gruppo delle tetracicline), acido citrico e di un tensioattivo (Tween 80), che possono essere considerati degli agenti chelanti.
Presenta la capacità di rimuovere lo smear layer, favorisce l’apertura dei tubuli dentinali, ha un’attività antibatterica, ma principalmente rileva assenza di effetti tossici9,10.
Si è visto che la capacità di questa soluzione acida (pH 2,15) non può prescindere dall’associazione con l’ipoclorito di sodio ed è stato evidenziato come il composto sia troppo aggressivo sulla dentina intertubulare, causando una marcata riduzione della matrice collagene esposta11.
Riguardo all’attività antibatterica, anche se gli studi preliminari indicavano il forte potere disinfettante di questa soluzione suggerendone un’elevata efficacia9, ricerche successive hanno portato a risultati differenti, dimostrando la superiorità di azione dell’ipoclorito di sodio (a concentrazione dell’1%) verso l’E. Faecalis (Dunavant 2006) e la minore efficacia di MTAD anche rispetto alla clorexidina.
Si può inoltre creare l’insorgenza di resistenze batteriche non infrequenti fra microorganismi delle popolazioni intracanalari. In ultimo, per la presenza di tetracicline c’è il rischio di colorazione rosso-porpora della dentina radicolare e della corona10.

Tetraclean

Presenta, rispetto all’MTAD, una quantità di doxiciclina ridotta a un terzo (50 mg/5 ml contro i 150 mg/5 ml dell’MTAD), Polipropilenglicole, acido citrico e cetrimide12.
Il tetraclean, è in grado di penetrare nei tubuli dentinali e di esplicare la propria azione nel tempo, eliminando i ceppi batterici in formazione, per la sua peculiare caratteristica di avere una bassa tensione superficiale rispetto agli altri irriganti13-14.
Date le caratteristiche più o meno performanti degli irriganti si è capito che la parola chiave è “sinergia” e cioè l’uso combinato di soluzioni che usate insieme riescano a dare una disinfezione ottimale senza interagire tra loro antagonisticamente.
L’attivazione degli irriganti con varie tecniche meccaniche ed elettroniche
Negli anni Novanta si è pensato che l’altra via era quella di “attivare” gli irriganti per fare in modo che raggiungessero tutte le parti dell’endodonto, provocando il movimento degli stessi.
In sintesi un irrigante doveva:

  • raggiungere l’apice;
  • creare una corrente (forza);
  • trascinare via le particelle per rimuovere i detriti della preparazione e i residui organici batterici.

Varie sono state le metodiche impiegate:

  • irrigazione manuale dinamica;
  • strumenti rotanti con irrigazione interna;
  • manipoli ad aria con irrigazione a pressione positiva e aspirazione simultanea;
  • manipoli sonici;
  • ultrasuoni;
  • irrigazione a pressione negativa;
  • tecnologia laser.


Bibliografia
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14. Giardino L, Ambu E, Rimondini R, Debbia EA. Antimicrobial effect of MTAD, Tetraclean, Cloreximid and Sodium Hypochlorite on three common endodontic pathogens. IJDR 2008.

L'articolo è stato pubblicato su Dental Tribune Italian Edition, ottobre 2015
La seconda parte dell’articolo verrà pubblicata nella prossima edizione di Dental Tribune Italian Edition.

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