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Gestione economica e comunicativa dell’insuccesso in implantologia

L’articolo è tratto da un intervento tenuto durante il corso di aggiornamento Sicoi, a Cavaion Veronese, il 29 gennaio scorso.
Francesco Vedove

Francesco Vedove

mar. 10 maggio 2011

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Quanti di noi non hanno mai avuto un insuccesso in implantologia? E quanti hanno quantificato i propri insuccessi e valutato l’impatto economico e la relativa perdita d’immagine? Per rispondere a queste domande è necessario prima di tutto affrontare il problema dal punto di vista manageriale ovvero calcolare il costo orario del proprio studio.

In merito esistono diversi sistemi più o meno analitici; l’importante è sapere che più dettagliata è l’analisi del costo orario, tanto più affidabile sarà l’esatta valutazione di ogni singolo rifacimento. Alcuni parametri, determinanti, occorre quantificarli, anche utilizzando semplici fogli Excel nei quali la segretaria potrà inserire i valori corrispondenti.
Essi sono:
- il tempo medio necessario per portare a termine una certa prestazione;
- i costi annuali della struttura e il relativo costo orario;
- quanti impianti si eseguono in un anno;
- qual è la percentuale di successo personale.

Non è questa la sede per parlare della possibili cause di insuccesso, ma certamente il suo monitoraggio darà utili informazioni anche per questo fine. Estremamente importante, invece, è il valore che la ricaduta di un insuccesso ha per noi, per lo studio e la professione. Se in un insuccesso esiste un aspetto quantificabile dal punto di vista monetario, esiste altresì un “costo fantasma” che colpisce più duramente: il danno all’immagine. In tutte le varie scuole di pensiero che interessano la comunicazione è risaputo quanta risonanza negativa possa trasmettere un paziente insoddisfatto e, viceversa, quanto sia difficile ottenere un consenso dopo un trattamento ben finalizzato.
Quindi l’argomento ricaduta aprirà due fronti di analisi, uno puramente economico e l’altro di comunicazione. Se è vero che, secondo la letteratura, gli impianti raggiungono il 94-98% di successo, quanto costerà il rifacimento della restante percentuale? La risposta è: dipende dall’organizzazione dello studio e dal numero di impianti che il professionista esegue in un anno, dove per “organizzazione” si intende “un’organizzazione integrata”, cioè uno studio attento ai costi fissi ed efficiente nelle procedure. Possiamo così considerare due aspetti:
- aspetto materiale: tempo, costi vivi ecc.;
- aspetto comunicativo: gestione della non conformità.

Per quanto concerne il primo, ogni studio avrà i suoi parametri specifici, tutti assoggettati a numerose variabili che, giocoforza, non possono essere generalizzate e applicate a differenti strutture. Se vogliamo dare un valore indicativo al costo orario di uno studio dentistico medio, diciamo che oscilla tra 80 e 180 €/ora. Giova ribadire che ogni professionista dovrà misurare il lavoro in tempo e costi, così come sarebbe troppo generico imputare come costo vivo di un impianto una variabile che oscilla tra gli 80 e i 245 €. In collaborazione con Daniele Beretta, esperto di gestione ed ergonomia di studio, è stato composto un foglio di Excel, e applicate le relative formule inserendo 4 gruppi di voci di spesa, ovvero:
1. formazione teorica/aggiornamento;
2. materiali ed attrezzature;
3. costi vivi dei materiali;
4. costi fissi di gestione struttura.

Riempiendo le relative caselle con i valori individuali, il programma calcola 2 risultati finali, cioè dopo l’inserimento di quanti impianti s’inizia a guadagnare e di quanti impianti occorre eseguire per ripagarsi le spese del rifacimento di un impianto fallito.

I valori che ne emergono sono a dir poco stupefacenti! Basti pensare che un principiante che inserisce circa 40 impianti all’anno dovrà rifarne 2.2 per ogni impianto perso. Il calcolo sul rapporto tra il costo completo e il margine che si ha ovvero quante volte si deve far margine per coprire il puro costo del rifacimento. Il valore peggiora drasticamente se si inseriscono anche:
1. i costi dell’odontotecnico per la componente protesica;
2. il tempo perso relativo al mancato guadagno;
3. la perdita di immagine;
4. la pubblicità negativa;
5. il tempo impiegato per la gestione del paziente.
Il valore migliora invece per un professionista avviato il cui moltiplicatore sarà 0.7.

Conclusioni
Se su un piano cartesiano inseriamo in ascisse i costi di organizzazione dello studio e nelle ordinate la comunicazione, otterremo infinite variazioni ma principalmente tre sono i campi a noi utili (vedi Figura):
1. massima organizzazione (costi) e comunicazione (immagine). Avremo un retta a 45° che tende ad infinito: situazione ideale.
2. minima organizzazione (costi fuori controllo) e massima comunicazione. Avremo una retta con angolo maggiore di 45°: antieconomica.
3. massima organizzazione (costi controllati) e minima comunicazione. Avremo una retta con angolo minore di 45°: molto sconveniente (paziente insoddisfatto).
Quindi, alla domanda quanto pesi l’insuccesso, risponderei che dipende dalla gestione della struttura e soprattutto dalle capacità di comunicazione del professionista. Non esiste una risposta per tutti, ma esiste una risposta per studio. La peggior ricaduta dell’insuccesso è certamente la perdita di stima da parte del paziente.
 

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