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Qualità e controllo dei costi in implantologia: un connubio possibile

Mauro Labanca, MD DDS

Mauro Labanca, MD DDS

mar. 14 giugno 2011

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Oggi circa il 65% degli odontoiatri italiani esercita l’implantologia. Negli ultimi anni in Italia sono stati inseriti oltre un milione d’impianti su base annuale.

In una indagine conoscitiva commissionata dalla Società Italiana di Implantologia Osteointegrata (Sio) sul percepito della implantologia da parte della popolazione italiana, è emerso che in caso di bisogno di un dente artificiale, il 68% degli intervistati ricorrerebbe alla stessa, e un italiano su tre ha già avuto esperienza diretta o indiretta di un intervento di implantologia orale. Ne deriva che l’implantologia osteointegrata in futuro verrà praticata da un numero sempre più elevato di professionisti e interesserà fasce sempre più vaste della popolazione (Forum Qualità in Implantologia - Sio, Verona - 15-17 novembre 2008).
Va inoltre considerato che la crisi economica ha pesantemente colpito anche il settore odontoiatrico, e le ripercussioni di questo fenomeno sono riportate da giornali di cronaca, da associazioni professionali e dal Ministero della Salute stesso.
Il rapporto Osservasalute, una fotografia dello stato di salute in Italia (condotto dall’osservatorio Nazionale sulla salute delle Regioni Italiane, con sede presso l’Università Cattolica di Roma), riporta nel 2010 che gli Italiani sono costretti a fare economia e a farne le spese sono “la tavola ed il dentista” .
L’ex presidente dell’Andi Roberto Callioni, in una conferenza svoltasi nell’ambito delle iniziative del Ministero della Salute il 29 marzo 2011, ha analizzato le conseguenze della crisi economica e le prospettive future.
Il dottor Callioni riconosce, in base ad un sondaggio Andi 2010, che nel nostro Paese, a causa della crisi, il 30% degli odontoiatri lavora di meno, e osserva ancora un incremento dell’offerta dovuto al prolungamento dell’età pensionabile e del numero dei laureati, e un calo della domanda relativo al decremento del potere d’acquisto, al calo della natalità e ad una diminuzione dell’indice DMFT.
L’incremento dell’offerta e la riduzione della domanda portano il professionista medio ad avere maggiori costi e minori ricavi, dato il quadro di instabilità tra domanda e offerta.
L’implantologia orale risente, come le altre discipline odontoiatriche, del quadro socio-economico attuale, ma in termini diversi: la sensazione è infatti quella di una maggiore richiesta da parte del pubblico e di una necessità da parte dell’odontoiatra di erogare questa prestazione a costi inferiori.
In Italia a tutt’oggi si contano più di trecento sistemi implantari differenti (stima sicuramente in difetto, considerando la difficoltà di censire i cloni dei cloni!). Questi sistemi hanno quasi sempre la certificazione necessaria alla commercializzazione, ma solo una quota ridotta di essi è in possesso di una documentazione scientifica, basata su studi opportunamente disegnati e condotti da istituzioni di ricerca indipendenti, che ne attesti l’affidabilità clinica, specialmente nel lungo periodo e con l’adeguato follow up. Sono queste le considerazioni che, insieme alla mancanza di parametri qualitativi di riferimento, hanno spinto la Sio a organizzare il Forum sopra menzionato, in cui un ampio numero di esperti ha analizzato i differenti aspetti della “Qualità in Implantologia”.
La selezione di un sistema implantologico adatto alle richieste del professionista è dunque un’esigenza molto sentita al fine di ottimizzare i costi, cercando dove possibile di aumentare i profitti senza però interferire sulla qualità erogata.
Come scritto da Pierluigi La Porta (Sistema implantare, gestione delle apparecchiature, protocolli clinici, esperienza: ecco il mix che fa qualità), sempre nel contesto del Forum della qualità in Implantologia: “La responsabilità professionale, in quanto parte che caratterizza l’essere professionista, impone che lo stesso abbia sotto il suo controllo tutti i fattori produttivi, dotandosi di strumenti utili a misurare la qualità di ciò che eroga, dei risultati che consegue, dei presìdi che utilizza per realizzare la propria prestazione. Inoltre, in campo sanitario, è nota l’asimmetria informativa che caratterizza il rapporto medico/paziente, che pone quest’ultimo nelle condizioni di affidare se stesso alle decisioni del professionista nell’intento di risolvere il proprio problema sanitario. Tale affidamento denota fondamentalmente l’incapacità del paziente, per quanto informato, di decidere realmente cosa sia meglio fare in quella specifica situazione. Le sue aspettative sono quelle legate alla risoluzione del problema, raramente la sua attenzione è rivolta alle modalità, agli strumenti, ai presìdi con cui il problema sarà risolto; ecco dunque che subentra il professionista, con la sua responsabilità, che la giurisprudenza indica nella capacità di ‘agire come il buon padre di famiglia’, quando assume le decisioni per il proprio assistito. Ecco allora che essere quanto più certi della qualità della propria prestazione diventa un imperativo del proprio modo di agire ed essere professionisti. Quando i professionisti cominciano a interrogarsi sulla qualità delle proprie prestazioni, allora ci si trova davanti a un cambiamento epocale, una vera e profonda svolta culturale”.
A queste considerazioni si potrebbe aggiungere: “Perché un paziente sceglie di farsi curare in uno studio dentistico invece che in un altro?”.
“Il dentista? Un meccanico che cambia i pezzi della tua macchina ma, non essendoci tecnici, non si sa mai se ti sta fregando o meno”. Così, un intervistato risponde alla richiesta del noto psicologo e docente di Scienze dell’Educazione, Alberto Crescentini, alla richiesta di descrivere la figura dell’odontoiatra.
Il paziente medio difficilmente riesce a valutare la bontà di una prestazione medica da un punto di vista tecnico perché, semplicemente, non ne ha le competenze. Sarà compito nostro non tradirlo, agendo secondo scienza e coscienza.
Tenendo tutto ciò chiaramente in mente, è opportuno allora chiedersi quali siano i margini di risparmio nella gestione dell’implantologia e se acquistare un impianto a minor costo consenta un reale risparmio.
Anche perché, per citare Charles Darwin, “non sono le specie più forti a sopravvivere, né le più intelligenti, ma sono quelle che riescono a rispondere con maggior prontezza ai cambiamenti”.

In letteratura esistono numerosi articoli relativi a tecniche chirurgiche implantari, biomateriali e protocolli di carico, ma molto poco invece emerge per quanto riguarda l’analisi dei costi relativamente alle procedure implanto-protesiche.
Anche in sede congressuale le domande “Quanto costa fare implantologia?” o “Quanto si fa pagare per l’inserimento di una fixtures?” risultano spesso essere tabù, come se in realtà l’unico e solo aspetto esistente fosse la finalizzazione del caso. In un Paese come l’Italia, in cui l’Odontoiatria è in gran parte privata, l’aspetto economico è invece preponderante anche per l’accettazione del piano di trattamento da parte del paziente stesso. Anche in termini etici, se ritengo che la scelta implantologica sia realmente la più appropriata per la soluzione di quel caso specifico, un preventivo non affrontabile potrebbe privare il paziente di quella possibile soluzione o spingerlo verso altre scelte, sia operative (altre soluzioni riabilitative) che logistiche (centri low cost o viaggi all’estero).
Come abbiamo già detto, in Italia esistono più di 300 differenti tipi di impianti. Convenzionalmente si usa dividere gli stessi in classi di appartenenza, dove il prezzo di vendita costituisce uno degli elementi di classificazione. Si potrebbe però obiettare che un po’ tutti gli impianti si osteointegrino e che gli impianti più costosi siano semplicemente più pubblicizzati, ma nella sostanza simili agli altri.
“L’Italia da sola contribuisce al mercato mondiale con molte sistematiche implantari ‘home made’ e ‘low cost’ la cui tracciabilità in letteratura è praticamente assente, le cui case produttrici non sono in grado di garantire un’affidabilità nel tempo” (Millennium Research, 2009).
Se si valutano i dati di vendita delle principali aziende produttrici di impianti, si può facilmente verificare come del potenziale mercato esistente il 90% dello stesso venga coperto dalle 8-10 aziende di primaria importanza.
Come logica conseguenza, il restante 10%, quantificabile approssimativamente in 100-150 mila unità, risulterebbe a questo punto da suddividersi tra le rimanenti 300 o più aziende esistenti sul mercato. Quale può essere il numero medio di impianti venduti da ognuna di queste? Quale il follow up, quale la casistica, quale la letteratura? Non si può dimenticare che l’intervento di implantologia consiste nel posizionare un “oggetto estraneo”, seppure in titanio, nella bocca di un paziente, auspicabilmente per tutta la vita, e con indiscutibili effetti biologici. Per far ciò, in maniera verificata ed eticamente corretta, credo che l’operatore dovrebbe porsi delle domande ed andare ben oltre la verifica del solo marchio CE, tanto quanto farebbe nel prescrivere un farmaco. Chi raccomanderebbe ad un paziente di assumere un antibiotico esistente in commercio da pochi anni e utilizzato solo su poche decine o centinaia di pazienti?
Dopo queste considerazioni, di natura procedurale ed etica, vorrei passare ad analizzare quali possono essere le voci di costo da considerare per la realizzazione di una riabilitazione implanto-protesica. La valutazione non nasce da una competenza commercialistica o da fine economista, ma da puro e semplice operatore che quotidianamente deve valutare quali elementi incidono realmente sulla pratica clinica quotidiana in una realtà libero-professionale.
Occorre prendere in considerazione i costi variabili e quelli fissi.
I costi variabili si modificano più o meno proporzionalmente al variare del volume produttivo: per esempio, inserire due impianti e due corone costa di più che inserirne una sola, oppure pagare un assistente due ore costa meno che pagarlo otto ore; viceversa, sono definiti fissi i costi che non derivano dai volumi di produzione: in ambito odontoiatrico sono costi fissi quelli relativi alla radio protezione, alle verifiche dell’ impianto elettrico, alla sterilità, allo smaltimento rifiuti, alla polizza assicurativa, alle spese condominiali e alle utenze in genere.
I costi fissi vanno tenuti presenti per qualsiasi tipo di prestazione lo studio eroghi (Tabb. 1, 2).

 

Siamo comunemente portati a pensare che per risparmiare sui costi in implantologia basti comprare una impianto che costa di meno; facendo un’analisi dei costi variabili riferibili a questa disciplina ci si accorge, in realtà, di come siano invece le spese relative al magazzino e alla componentistica implantare a fare la differenza.
Se una sistematica, ad esempio, prevede molti passaggi chirurgici, molte frese, piattaforme implantari diverse in base al diametro del collo, un cacciavite chirurgico ed uno protesico, se costringe a richiedere per ogni impianto posizionato pilastri differenti, il costo finale della prestazione si modificherà notevolmente, oltre all’inevitabile aumentato rischio di errori o imprecisioni (Tabb. 3, 4).

 

In particolare, qualora il sistema implantare preveda diversi diametri, e ad ognuno di essi faccia riscontro un differente pilastro di guarigione, un differente transfer e un differente analogo, la quantità di materiale da tenere a magazzino sarà decisamente superiore, dovendo considerare la soluzione protesica per ogni singola opportunità. Basti pensare ai pilastri di guarigione: avere differenti altezze e differenti larghezze in accordo ad ogni diametro disponibile (almeno 4 per i principali sistemi implantari) richiede la necessità di avere decine di healing abutment anche se sono stati posizionati pochi impianti. Tutto ciò induce inoltre a inevitabili errori, disguidi organizzativi ecc. Risulta evidente come ad esempio poter avere, insieme all’impianto, e quindi già compreso nella confezione (e nel prezzo) la vite tappo, dei pilastri di guarigione in peek (e quindi modificabili) di differente altezza renda molto più ergonomico il tutto. Non più la necessità di approvvigionare altro materiale, non più la necessità di riutilizzare pilastri di guarigione in titanio mai realmente utilizzati una sola volta, con l’inevitabile rischio correlato di indurre una periimplantite durante la fase della riapertura.
A tal proposito, un altro importante elemento da considerare è la sterilità.
Come affermato da Dennis Tarnow (“Success rates of osseointegration for implants placed under sterile versus clean conditions”, D.R. Scharf, D.P. Tarnow, J. Periodontology 1993 oct; 64 (10): 954-6) non esiste una significativa differenza in termini di successo, sia nel caso di una implantologia effettuata in condizioni di sterilità assoluta sia in caso di chirurgia “pulita”. Questo significa che, se da un lato non è quindi indispensabile affrontare i costi di una sterilità assoluta (Tab. 5), dall’altro è opportuno non indulgere verso una chirurgia senza alcun parametro di adeguata sterilità. Un risparmio modesto, in termini di incidenza sul costo totale dell’intervento, potrebbe comportare un significativo aumento del rischio di insuccesso.

E questo ci introduce a un ulteriore elemento di grande importanza: quale è il vero valore e la vera incidenza di un insuccesso?
Non possiamo non considerare che ad esempio l’utilizzo di un sistema implantologico non adeguatamente sperimentato potrebbe indurre ad errori anche banali (difficoltà nel rilevare una impronta precisa, difficoltà nel serrare le componenti, rotazione o allentamenti delle componenti protesiche) che comportano inevitabili perdite di tempo, che a loro volta incidono sui costi di esercizio e di erogazione. Che senso ha risparmiare 50 euro sul costo dell’impianto per spendere poi altrettanto o più per acquistare a parte alcune componenti o per vedere il paziente molte volte in più per compensare questi errori banali (ricordando il costo orario dello studio sopra descritto?).
Inoltre, se un insuccesso è sempre un elemento da tenere in considerazione, occorre cercare di eliminare gli insuccessi prevedibili, intendendo quelle situazioni in cui si è responsabili certi di questo accadimento (la già citata mal gestione della sterilità, una non corretta pianificazione chirurgica, una non corretta o adeguata sequenza chirurgica).
Un insuccesso prevedibile ed evitabile può comportare non solo un danno economico facilmente quantificabile alla luce degli elementi sopra descritti, ma anche un importante e meno facilmente quantificabile danno in termini di immagine e di credibilità nei confronti del nostro paziente, che potrebbe interferire con la sua fiducia nei nostri confronti e nella sua disponibilità a farsi portavoce per noi presso altri.
Volendo trarre delle conclusioni, nella gestione dei costi nella nostra chirurgia implantologica occorrerebbe considerare:
. una particolare attenzione alle voci maggiori dei costi;
. una semplificazione e snellimento delle procedure cliniche ed extracliniche;
. la identificazione di alternative di trattamento con diverso rapporto costo-beneficio;
. una pianificazione per riduzione/eliminazione degli imprevisti ed errori e dei rilevanti costi associati.
Tutto questo sarà necessario per comprendere meglio, e con maggiore responsabilità ed eticità, quando risulti essere davvero necessario provare un nuovo sistema implantare e con quali criteri valutarne la reale affidabilità ed attendibilità; quale sia la reale incidenza del costo dell’impianto sul costo totale della nostra prestazione chirurgica al fine di non farci fuorviare nelle scelte considerando un elemento che, alla luce di quanto sopra descritto, non risulta essere di primaria importanza in termini di costo assoluto. Infine, quanto costi, in termini monetari e di immagine, un eventuale insuccesso o fallimento altrimenti evitabile?
Alla luce di queste considerazioni, utilizzando una maggiore rigorosità nella selezione dei nostri protocolli e dei materiali da noi scelti ed utilizzati e una maggiore eticità nelle nostre valutazioni, potremo riuscire ad ottenere una reale diminuzione dei costi nelle aree che non comportano interferenze nella qualità finale erogata. Senza andare invece a “risparmiare” in maniera non razionale su aree la cui influenza sul nostro risultato finale sarà significativa, con importanti conseguenze per noi, per la nostra professionalità e per i pazienti che a noi si sono affidati dandoci la loro salute e la loro fiducia da gestire. Abbiamo il diritto di tradirla o invece il dovere di custodirla e di rispettarla?
Si ringrazia il dottor Eugenio Paglia per l’importante contributo fornito per la parte relativa ai costi e alle valutazioni economiche in ambito nazionale ed internazionale.

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