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Dove sta andando l’Odontoiatria nel mondo? Parla Gerhard Seeberger, consigliere FDI

mer. 9 aprile 2014

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A domanda risponde: Gerhard Seeberger consigliere dell’Fdi, parla dei massimi sistemi. Dal suo osservatorio privilegiato di consigliere della Fédération Dentaire Internationale (Fdi), Gerhard Seeberger, già presidente AIO ed ERO, avanza la sue considerazioni sul “dove sta andando” l’Odontoiatria nel mondo.

Per perseguire la finalità di “leading the world to optimal health” l’Assemblea generale dell’FDI riunita a Hong Kong adottò il 31 agosto “Vision 2020” come una magna charta del dentale. Quale dei massimi principi ivi contenuti ha cominciato ad avere una concreta applicazione? Quali invece rimangono ancora nell’empireo delle buone intenzioni?
Vision 2020 è stata definita una roadmap, cioè una “carta stradale” da seguire per arrivare all’odontoiatria del prossimo decennio. Inoltre, non voleva essere una magna charta, ma invitare all’ispirazione a migliorare l’odontoiatria in termini di efficienza e aumento della qualità di vita delle persone negli anni a venire, nonché stimolare per l’aspirazione a un passo necessario da compiere qualora la professione volesse mantenersi al passo dei tempi. Detto questo mi piace rispondere al senso profondo della sua domanda che, me lo lasci pure dire, richiede oltre alle solite parole l’azione. Concordo. Ma lungi da me correre verso obiettivi definiti senza disporre dei mezzi. Le buone intenzioni sono il fine e il mezzo con il quale raggiungere un traguardo ambizioso, e i 18 mesi alle nostre spalle ci hanno già consentito di acquisire, catalogare ed elaborare informazioni e dati già esistenti a livello mondiale per rilevare gli indicatori della salute orale in tre paesi pilota, Messico, Giappone e Germania. Siamo vicini al lancio del nuovo World Oral Health Atlas. In più abbiamo appena iniziato il progetto Collaborative practice che mira al come contribuire come professione odontoiatrica alla diminuzione dell’incidenza e della mortalità legata alle malattie non trasmissibili. Le carte per questo esistono, e l’iniziativa è appena diventata azione. Certamente ne sentiremo di più a Nuova Delhi e spero che lei allora rinnovi la sua domanda. È chiaro che il cambio del programma della formazione dello studente in odontoiatria richiede molto più tempo e il confronto con chi se ne occupa a livello internazionale.

La giornata mondiale FDI dedicata alla salute dentale celebratasi il 20 marzo (alla quale, per la cronaca, l’Aio ha dato gran risalto) è stata celebrata in 75 paesi del mondo. Secondo lei è un buon risultato, oppure no, in considerazione del numero dei paesi possibili aderenti. In parole più povere, il bicchiere le sembra mezzo pieno o mezzo vuoto?
Senza volerci guidare dalle emozioni mi faccia parlare di numeri. Nel 2007 FDI ha istituito il World Oral Health Day da celebrare il 12 settembre di ogni anno. Mentre negli anni addietro il successo lasciava molto a desiderare e solo in pochi paesi si riusciva ad organizzare il Parlamento Mondiale FDI e la Giornata Mondiale della Salute Orale quasi in contemporanea nel mese di settembre, già l’anno scorso tenendo la prima volta la Giornata il 20 marzo si è riscosso un successo inaspettato in termini di partecipazione dei paesi e dei cittadini e abbiamo visto 36 paesi aderenti all’iniziativa. Nel 2014 si è triplicato il numero dei partecipanti come si sono triplicate le sedi delle iniziative per il pubblico in Italia. Sono oltre 100 i paesi nei quali si è celebrata la Giornata. Abbiamo suscitato l’interesse al di fuori dell’odontoiatria. In Italia abbiamo avuto supporto attivo da tante associazioni mediche e paramediche, dalle A.S.L. e – come ciliegina sulla torta – dalla Fondazione Veronesi. Ai lettori la valutazione.

É opinione comune che l’approccio alla malattia dentale sia stato tradizionalmente focalizzato sulla cura più che sullo studio e prevenzione della malattia e sullo sviluppo della salute orale. É ancora così o c’è da qualche tempo (almeno nei paesi più avanzati) un’inversione di tendenza?
Definirei prima che cosa vuol dire “tradizionalmente”. Per me la tradizione della prevenzione è più lunga di tutta l’odontoiatria moderna che conta appena più di 150 anni. Usciamo dal guscio della nostra tradizione occidentale e pensiamo alla prevenzione ayurvedica che conta più di 3000 anni. La pulizia della lingua ne fa parte. Ricordo bene quando circa 10 anni fa l’industria pensava di essere innovativa con l’introduzione del tongue scraper che offriva per cifre più alte di quella per uno spazzolino. Al rappresentante che mi voleva convincere a tutti i costi della bontà del prodotto risposi: «Ognuno dei miei pazienti ha un raschiatore per la lingua nel suo cassetto delle posate e non se ne fa niente del suo dispositivo. Si chiama cucchiaio è quasi eterno e facilmente disinfettabile». Lui mi disse che per avere successo nella vita dovevo essere, ogni tanto, gentile. La mia risposta: «Sì, con i miei pazienti!». Ricordiamoci anche della frase durante l’inaugurazione del Congresso mondiale FDI a Hong Kong pronunciata dalla Presidentessa OMS Margaret Chan «L’odontoiatria è la professione pioniera della prevenzione in medicina!». Il suo statement si basa sul fatto che gli odontoiatri usano un sistema di richiamo del paziente per la profilassi da quattro decenni con successo, sia in Italia, in particolare, in ambito privato che in altri paesi europei e nel mondo in ambito pubblico.

É stato autorevolmente sottolineato che la malattia orale non può essere considerata diversamente da altre “non communicable diseases” (NCD,s). Lei ritiene che la sua interdisciplinarietà sia ora una realtà più sentita? Oppure si sia rimasti proiettati prevalentemente sul dente, oggetto di attenzione dominante del dentista medio?
Credo che la risposta a questa domanda debba avere un carattere molto individuale. Sappiamo bene che ci sono dei colleghi che si rispettano come parti integranti in un sistema sanitario, mentre altri sono occupati a definire i territori e il grado di importanza nella medicina che, guarda caso, si occupa dello stesso paziente. L’interdisciplinarietà vive dalle persone e non dalla volontà di un sistema sanitario, sia esso pubblico o privato, e nemmeno da un desiderio delle Nazione Unite. Osservo da tre decenni che più è politicizzato un sistema sanitario meno si realizza un clima di collaborazione. L’odontoiatria viene spesso vista come un’entità a sè stante della medicina, e talvolta i suoi operatori come fratelli minori nella classifica dell’importanza per la vita di un essere umano. Dalla letteratura sappiamo da quasi tre anni che la cura odontoiatrica e, specialmente, parodontale di pazienti affetti da altre malattie non trasmissibili fa la differenza in termini di sostenibilità, di contenimento dei costi e di risultati della cura. Non ha fatto notizia. Mentre la stessa notizia proveniente da una ricerca di tre assicurazioni multinazionali con un occhio particolare sulla differenza del costo della terapia di pazienti diabetici che hanno o non hanno curato le loro parodontopatie, ha trovato una larga diffusione.

Alla domanda precedente si lega anche quella se l’allargamento in corso degli orizzonti di ricerca e di intervento sia stato colto anche dalle altre specialità mediche, in Italia e altrove. Gli stessi professionisti, qui o all’estero, si rendono mediamente conto che l’interdisciplinarietà è una sfida “da cavalcare” per un trattamento curativo più adeguato, nel quadro di un’interazione disciplinare, ora, in verità piuttosto ridotta.
Vede, anche Mozart fu compreso solo 50 anni dopo la sua morte. Quindi che preoccupazioni ci sono di fronte al lavoro che ho voluto fortemente nel Gruppo di lavoro Prevenzione dell’ERO. Prima di voler iniziare un dialogo fra le professioni coinvolte nel collaborative approach bisogna chiedere che cosa ne pensano gli altri specialisti (cardiologi e diabetologi nel caso specifico) e dove vedono i vantaggi e gli svantaggi di un tale approccio. Questa iniziativa è partita per merito degli odontoiatri e fu realizzata in ERO. E posso dire che ha prodotto dei risultati inaspettati. La cavalcata è meno difficile del previsto in quanto i cardiologi erano molto più entusiasti di una collaborazione mirata a produrre migliori risposte alla soluzione ai problemi dei nostri comuni pazienti rispetto agli odontoiatri e ai diabetologi. Da lì è nata la Carta della Salute da me presentata – ammetto, a sorpresa, ma senza quella non si svegliava nessuno – il 20 aprile dell’anno scorso in ERO e il giorno dopo in Aio come prima associazione nazionale d’odontoiatria in Europa. Mi scuserà se con un poco di superbia posso dire che il mio contributo all’approccio collaborativo fra le professioni mediche, ma – quello che ritengo più importante – fra la figura medica e il paziente, l’ho dato. Il resto sarà storia… o non lo sarà proprio.

Considerando che i livelli di cura e prevenzione odontoiatrica sono strettamente legati alle dinamiche dell’economia, lei giudica utopico considerarli una cd. “variabile indipendente” dai suoi alti e bassi?
Alle dinamiche dell’economia si aggiungono anche gli umori delle persone. Rendersi immuni a questi ultimi non è più un discorso business driven, ma è legato a una cultura e a una forma mentis che se non si eredita, si acquisisce. In tempi di vacche magre questi valori sono utili per non dover piangersi addosso e farsi prendere dalla malinconia. Questo vale grossolanamente per tutti i cittadini di una società. Per il medico rimane la scelta tra medical business e medical humanities.

Quale ritiene sarà (o saranno) i “punti caldi” che verranno (o dovrebbero essere) trattati all’assemblea dell’FDI di Nuova Delhi del prossimo settembre?
Per me i punti caldi sono quelli che in un prossimo futuro costringeranno l’odontoiatria a rispondere ai fabbisogni di cura. Già adesso possiamo dare una risposta parziale in termini di misure di prevenzione. La qualità della vita, se non proprio la vita, non sarà sostenibile senza la prevenzione. Un déjà vu nella storia della medicina considerando anche l’ayurveda? È stata proprio lei a far sopravvivere gli indiani nonostante le difficili condizioni socio-sanitarie? Potremmo forse imparare qualcosa da una delle più antiche discipline mediche del mondo di provenienza indiana che cura corpo e mente? Mi permetta la debolezza di rispondere a una domanda con qualche altra.
Guarda caso però, l’India è il terzo paese al mondo nella statistica del cancro orale e questo non è solo legato alla crescita della popolazione, ma anche e proprio perché ci si può permettere di cambiare lo stile di vita; consumare più alcol e tabacco per esempio. Infatti, la FDI avrà una sezione scientifica dedicata a questo argomento durante il Congresso mondiale a Nuova Delhi.
L’odontoiatria sostenibile è per me un altro punto caldo. Che risposta potevo dare nel 2011 ad un collega quando ero in Afghanistan e mi ha raccontato che era responsabile per circa 200.000 cittadini? Ma allo stesso tempo mi chiedo che risposta darò al mio collega nell’Iglesiente che ha lo studio vuoto ma fuori dalla porta gli si presenta un fenomeno di una neo-povertà che non trova cura e nemmeno prevenzione né negli ambulatori del SSN né nello studio privato.

Un’ultima domanda, un po’ personale: lei è di origine tedesca ma vive in Italia e parla e pensa come un italiano. Nella sua rappresentanza internazionale e come dentista di che nazione si sente?
Visto che la domanda è personale – il un po’ personale non lo posso accettare quantomeno posso accettare un po’ corretto – le rispondo come persona.
Sono nato in territorio tedesco. Ho due genitori con origini diverse l’uno dall’altro, eppure entrambi hanno un passaporto tedesco. Ho ricevuto da loro e dai miei insegnanti tedeschi fino alla maturità un’educazione che ha messo davanti a tutto la libertà della persona e il rispetto della società. Il principio della libertà nell’accettare i pazienti come persone, nella formulazione della diagnosi e nella definizione della terapia fu un forte elemento della mia formazione, sia in medicina in Italia che in odontoiatria in Germania. E a questo punto devo già contare tre influenze nazionali nel mio curriculum vitae. Se, poi, devo anche considerare tutte quelle nazioni che mi hanno accettato come membro onorario nelle loro rappresentanze odontoiatriche, allora il discorso diventa veramente quello di un “bastardo”.
Questo basta per essere meno credibile? Ringrazio tutti i colleghi italiani che hanno avuto fiducia in me e che mi hanno onorato con la carica più alta nell’Associazione Italiana Odontoiatri, l’Aio. E dovrei essere grato anche agli europei di tutta la regione definita dall’OMS per avermi voluto come Presidente ERO e a quelli nel mondo che mi vedevano bene nella veste di Consigliere della FDI. La persona conta; che essa sia un cittadino tedesco in qualità di odontoiatra italiano per l’interesse della gente dove pratica o nel mondo tramite la professione odontoiatrica c’entra poco. Se la premissis per essere attivo per gli italiani è essere italiano allora mi permetta di esserlo per scelta e non per nascita. Tanto, un outsider sono e lo rimango anche quando interessandomi per il mio paese di scelta ricevo il complimento dagli ascoltatori italiani: “Questo è più italiano di noi!”.

L'articolo è stato pubblicato sul numero 4 di Dental Tribune Italy 2014.

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