Il ruolo degli odontoiatri è fondamentale per il case-management dei tumori del cavo orale. Neoplasie che oggi spesso arrivano alla diagnosi con mesi di ritardo dacché il paziente scopre di avere un problema. Il dentista è in molti casi il primo ad individuare lesioni sospette, e ha un ruolo chiave nell’approdo alla diagnosi. La formazione è indispensabile se già si pratica di routine l’ispezione del cavo orale, ma è anche un grande volano culturale perché coinvolge colleghi che non eseguono l’esame d’abitudine.
Lo afferma l’indagine di Associazione Italiana Odontoiatri su 20 soci partecipanti al progetto di screening “Oral Care Total Care” presentata a Rimini all’Expodental Meeting dal Vice Presidente Nazionale David Rizzo. Nell’incontro è emerso che il 54 % dei dentisti coinvolti ispezionava il cavo orale dei pazienti ad occhio nudo; ma grazie all’iniziativa associativa di screening, tutti si sono approcciati all’uso di apparecchiature che sfruttano l’autofluorescenza e che sono un valido ausilio per la diagnosi.
Lo studio OCTC ha come primo obiettivo l’estensione della diagnosi tendenzialmente a tutti gli studi dentistici sul territorio nazionale, grazie ad apparecchiature agili, per praticarla di “default” a tutti i soggetti in età critica, dai 48-50 anni in su. Spiega Silvio Abati, patologo orale dell’Università Vita Salute del San Raffaele di Milano (a sinistra nella foto): «L’età mediana di insorgenza delle neoplasie del cavo orale è 68 anni. Ma nelle varie fasce d’età in media solo il 60% dei pazienti sopravvive a 5 anni, e ciò è dovuto al ritardo della diagnosi. Per non arrivare troppo tardi, le lesioni sospette (leucoplachie, melanosi, noduli in particolare alla lingua dove insorge il 55% dei tumori) andrebbero rivalutate dopo 14 giorni. Se al termine del periodo di osservazione non guariscono, va fatto un prelievo bioptico in centri specialistici di secondo livello (come quelli coinvolti nell’indagine OCTC ndr). Se il paziente non viene indirizzato, può trascurare il problema e si rischia di attendere mesi, durante i quali la malattia si espande e diventa sempre meno gestibile».
«Il 25% dei pazienti che si ammalano – spiega David Rizzo, a destra nella foto – non ha fattori di rischio noti per il tumore del cavo orale, e quest’ultima platea rischia di sottovalutare il problema. Il 70% delle lesioni sono diagnosticate ben oltre 2 settimane (o addirittura passano mesi!) prima di giungere all’osservazione del medico di famiglia o del dentista: un ritardo che può essere drammatico e su cui dobbiamo lavorare, anche con la collaborazione del Ministero della Salute. La nostra indagine preliminare, svolta coinvolgendo colleghi con oltre 20 anni di esperienza lavorativa, dimostra l’importanza di diffondere lo screening in maniera esponenziale in tutte le realtà odontoiatriche. Ad ottobre di quest’anno avremo le prime statistiche sui pazienti relative alla fase-test. A primavera del 2024 ci saranno i dati definitivi».
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