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Studio pilota su 396 impianti

Ortopantomografia di controllo precisione protesica.
L. Quattormini, L.M. Banfi, P. Arosio

L. Quattormini, L.M. Banfi, P. Arosio

mar. 8 luglio 2014

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Individuazione intraoperatoria della stabilità primaria nel carico immediato mediante tecnologia digitale.

Introduzione
Allo stato attuale dell’arte, l’individuazione clinimetrica del grado di durezza della parete ossea interfacciale costituisce un requisito cruciale per la programmazione chirurgica volta ad ottenere livelli di stabilità primaria compatibili con la funzionalizzazione protesica immediata. Altresì fondamentale risulta il conseguimento oggettivabile della fissità implantare endossea, per l’elevato contenuto prognostico1.
Sotto il profilo preoperatorio, l’identificazione densitometrica del tunnel implantare è possibile mediante i moderni sistemi di detezione radiologica e le relative classificazioni2-7.
Nel postoperatorio immediato è possibile valutare il grado di stabilità primaria con l’analisi di frequenza di risonanza e la determinazione dell’ISQ.
Questi sistemi, ancorché affidabili e comprovati scientificamente, sono fruibili solo pre o postoperatoriamente e lasciano l’implantologo privo di metodi intraoperatori capaci di monitorare il grado di consistenza del tunnel implantare e di predefinire i passaggi chirurgici successivi, finalizzati al conseguimento di un livello di stabilità primaria conforme agli obiettivi di funzionalizzazione immediata, secondo quanto immaginato in fase di pianificazione8-10.
Numerose pubblicazioni dimostrano che la sensibilità chirurgica dell’operatore, per quanto esercitata, è comunque insufficiente per prevenire errori nelle tecniche chirurgiche di riabilitazione implantoprotesica a carico immediato10,11 e vi sono ampie evidenze sull’esistenza di variabili chirurgiche (sesso, localizzazione anatomica dei siti implantari ecc.), in grado di inficiare severamente la corretta determinazione del profilo densitometrico del tunnel implantare, condizione preliminare per conservare intatte le possibilità chirurgiche di acquisire un elevato tenore di stabilità primaria, funzionale alla scelta protesica12,13.
Obiettivo di questa ricerca è la descrizione di una nuova tecnica chirurgica digitalmente assistita, capace di classificare intraoperatoriamente la tipologia del tunnel implantare e di ottenere alla fixture, mediante il management intraoperatorio protocollato degli strumenti e del macrodesign implantare, la quantità di stabilità primaria necessaria alla funzionalizzazione protesica immediata. In nessun caso, anche in condizioni di tessuto osseo trabecolato lasso, l’utilizzo della metodica pone obbligo all’operatore di variare la dimensione della piattaforma protesica (rispetto a quella decisa in fase diagnostica), per compensare la lassità del tunnel e garantire la stabilità primaria necessaria.
I dati relativi alla sopravvivenza protesica sono stati poi sottoposti a comparazione con quelli forniti dalla letteratura scientifica concernente.
Il funzionamento del motore riposa sulla possibilità di convertire un segnale fisico (l’attrito volvente generato dal trascinamento degli utensili alesanti e degli inserti alloplastici sulla parete ossea del tunnel implantare) in valori alfa-numerici e diagrammatici descrittivi del grado di compattezza della parete ossea cimentata (grazie a un maschiatore dedicato) e del livello di stabilità primaria finale (a impianto inserito).

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Materiali e metodi
Analisi di qualità ossea
Dopo l’allestimento dell’alveolo primario, ottenuto con l’uso di soli due alesatori che generano un minus osseo clindrico fortemente sottodimensionato (diametro 2,3 mm), il maschiatore dedicato, cromato-anodizzato per il check ottico della sua capacità performante, processa la parete del tunnel registrando le variazioni di energia necessaria per mantenere costante la velocità di rotazione dello strumento.
Le quantità rilevate vengono convertite dal software in valori numerici e diagrammatici. Questi dati rappresentano l’equivalente della resistenza offerta dalla parete del tunnel implantare alla penetrazione del maschiatore e pertanto ne identificano la minor o maggior compattezza e consistenza. Per convenzione, i valori ottenuti, espressi in newton, vengono ordinati all’interno di “griglie numeriche” che risultano sovrapponibili e assimilabili alle classi ossee di Misch14-16, tra le più pratiche e utilizzate in clinica per stabilire l’appartenenza del tunnel a un certo livello di densità.
Tre sono i valori estrapolabili dall’analisi matematica e misurabili in newton:

  • la coppia media (CM), che rappresenta la media algebrica delle resistenze incontrate nel percorso profondimetrico (10 registrazioni per ogni millimetro di discesa del maschiatore nel tunnel);
  •  la coppia di picco (CP), espressione della massima resistenza verificatasi in un singolo punto del tunnel implantare;
  •  la funzione I (Integrale), che esprime la quantità di lavoro necessario per incorporare l’impianto.

Il rilevamento di una coppia media superiore a 12 introduce la densità del tunnel implantare nella classe D1 sec. Misch; se il dato numerico di CM è compreso tra 11 e 8, la consistenza dell’osso parietale si colloca nella classe D2; D3 se la coppia media è superiore a 4 e inferiore a 7; sotto i 4 newton di coppia media la tipologia ossea dell’alveolo implantare è inquadrabile nella classe D4. Queste forbici di densità ossea registrate dal lettore scanner possono essere ordinate all’interno di una nuovissima classificazione clinimetrica che correla direttamente le quattro classi di Misch con quattro nuovi parametri, definibili come “indici di densità intraoperatori” (IDI), secondo quanto sperimentato da Di Stefano, Arosio e collaboratori17. Di capitale importanza l’osservazione dell’istogramma visualizzato sul display poiché consente l’osservazione visiva diretta della distribuzione sommatoria delle resistenze puntiformi generate dall’impatto parietale del lettore scanner. L’individuazione degli IDI è di cruciale importanza ai fini della scelta degli inserti alloplastici (Stone, Tiger, Aries, Tank), il cui prelievo è in funzione del grado di stabilità primaria da conseguire per rendere esecutivo il carico immediato.
Analisi di stabilità
Con l’utilizzazione del protocollo Idi Evolution, l’impianto può dunque essere incorporato con il grado di stabilità primaria desiderato dall’operatore, diverso a seconda del tipo di funzionalizzazione protesica (immediata o differita); questa disponibilità è raggiungibile con la semplice modulazione della quantità di preparazione e/o con il prelievo di un impianto macromorfologicamente dedicato all’istotipo osseo individuato dal motore nella pregressa fase di sondaggio.
L’alesaggio del tunnel (perforazione line to line oppure press fit) viene adottato a seconda delle caratteristiche istologiche della cavità implantare (tessuto osseo compatto o lasso) e l’attrito prodotto dalla fixture durante la fase dell’inserimento viene registrato dal software che lo converte nuovamente in valore numerico e in immagine diagrammatica connotata cromaticamente (e quindi immediatamente riconoscibile dall’operatore). I numeri di coppia comparsi sul display rappresentano l’equivalente biologico della stabilità primaria e del grado di compressione applicata all’interfaccia osso-impianto.
Quando è necessaria una procedura intermedia di maschiatura, è possibile selezionare l’opzione “maschiatura”, dotata di tre livelli di forza torcente, fino a un massimo di 70 newton. Sul display, in corso di step maschiante, è possibile ottenere il diagramma della resistenza prodotta dal maschiatore, altro dato utilissimo per completare il processo di inserimento implantare.
In definitiva, il sistema concede l’inserimento della fixture, con la sicurezza, per l’operatore, di ottenere il grado desiderato di stabilità primaria senza essere mai costretto a modificare e correggere i diametri degli impianti per conseguirlo, in rigorosa conformità con le indicazioni protesiche elaborate in fase progettuale.
Disegno dello studio
In questo studio sono stati arruolati 85 pazienti, 45 maschi (53%) e 40 femmine (47%), di età compresa tra i 30 e i 75 anni (età media: 57 anni), da sottoporre a programma di riabilitazione implantoprotesica in carico immediato; 53 le arcate superiori e 40 le arcate inferiori riabilitate su impianti a funzionalizzazione immediata. Sono stati incorporati 396 impianti endossei a.m. IDI Evolution: 230 in arcata superiore e 166 in arcata inferiore.
In forza delle proprietà del motore chirurgico (TMM2, Torque Measuring Motor, IDI Evolution, Concorezzo, Italia), atto a individuare la classe ossea del tunnel implantare, è possibile predisporre l’inserto alloplastico macromorfologicamente dedicato alla tipologia tissutale identificata in fase di lettura. Il motore chirurgico, a identificazione densitometrica eseguita, consente poi – in forma totalmente automatizzata – di introdurre gli impianti secondo passaggi preordinati, costituiti in base al macrodesign implantare delle quattro linee disponibili in merceologia (Stone, Aries, Tiger, Tank), queste ultime idonee ad ottenere il miglior accoppiamento possibile con il substrato osseo e la stabilità primaria adeguata al modo di funzionalizzazione protesica, in qualsiasi condizione biologica18.
Protocollo diagnostico-chirurgico
I pazienti selezionati per la presente ricerca sono stati giudicati idonei in quanto rispondenti ai criteri generali e specifici minimi per l’inclusione: assenza di controindicazioni sistemiche assolute e relative per l’implantologia, sufficiente biodisponibilità ossea, comprensione individualizzata delle procedure implantoprotesiche cui sottoporsi supportata dalla sottoscrizione del consenso informato, acquisizione delle norme di igiene orale e domiciliare postoperatorie, accettazione ed esecuzione dei protocolli farmacologici pre e postoperatori (Figg. 1, 2).
Sotto il profilo clinico, tutti i pazienti sono stati sottoposti a profilassi antibiotica mirata (mediante la somministrazione di penicillline o macrolidi, secondo la posologia raccomandata dai protocolli in uso), hanno atteso alle procedure di condizionamento igienico professionale e domiciliare; nel tempo preoperatorio, ciascun candidato ha adempiuto alle manovre di decontaminazione orale mediante detersione buccale, con sciacqui a base di clorexidina 0,2% (Corsodyl, Glaxo SmithKline) e gli interventi sono stati condotti in regime di anestesia locale mediante infiltrazione di articaina cloridrato addizionata con adrenalina alla diluizione 1:100.000.
Esauste le procedure di isolamento intraoperatorio a scopo di asepsi chirurgica, si è provveduto all’incorporazione degli inserti alloplastici, in ossequio ai protocolli operativi raccomandati dalla casa produttrice per i carichi immediati (Fig. 3).
Previa corticotomia con fresa di alesaggio start, destinata alla determinazione del centro-cresta chirurgico e protesico, si è proceduto alla perforazione di profondità utilizzando la fresa mm 2,3. Con la successiva fresa countersink pylot (mm 2,95) si è ottenuto l’ampliamento della corticotomia in diametro (mm 3) e profondità (mm 3). Questi passaggi sono stati eseguiti con strumenti rotanti ad alta velocità (max 500 giri/min). Nella fase successiva, il sondaggio con il maschiatore scanner (definito per comodità “lettore”) ha permesso di identificare la classe ossea di appartenenza della parete ossea del tunnel implantare precedentemente allestito. Una volta determinato il grado di consistenza endocavitaria, l’operatore ha completato la preparazione del sito implantare mediante l’utilizzo di strumenti preordinati (alesatori e/o maschiatori), che hanno consentito l’allettamento dell’impianto fino ad ottenere livelli elevati di stabilità primaria media, consoni alle necessità protesiche di funzionalizzazione immediata. Nella disponibilità dell’operatore anche la scelta delle forze torcenti di inserimento, per permettere la modulazione dello stress di compressione, potenzialmente nocivo se incompatibile con le capacità di assorbimento termico del substrato biologico. In tutte le incorporazioni i dati alfa-numerici e diagrammatici hanno dimostrato la corrispondenza tra i valori di stabilità previsti e quelli effettivamente ottenuti a inserzione ultimata (Figg. 4-9).
Ad osteointegrazione avvenuta, è stata eseguita una riabilitazione avvitata con tecnologia Cad/Cam con rivestimento in resina o in ceramica (Figg. 10-13).

Risultati
Dei 396 siti implantari cimentati chirurgicamente e investigati con il lettore:

  •  81 (20%) sono risultati inquadrabili nella classe D1;
  •  117 (30%) sono stati inclusi nella classe D2;
  •  118 (30%) inseriti in area D3;
  •  80 (20%) collocati in classe D4.

Facendo riferimento alla classificazione HMS, basata sulla comparazione clinico-istomorfometrica dei siti, 81 sono stati iscritti alla tipologia ossea Hard, 235 associati alla classe intermedia Medium e 81 alveoli sono stati annoverati in classe Soft bone.
Sono stati utilizzati 212 impianti della serie Aries/Ariesdue; 81 inserti classe Tiger; 43 fixture tipo Tank e 60 viti endossee gamma Standard. Gli impianti Tiger sono stati incorporati negli alveoli implantari D4, gli inserti alloplastici Tank nelle sedi postestrattive immediate, gli impianti serie Aries nelle sedi D1, D2 e gli impianti standard nei tunnel classe D2, D3.
Con l’eccezione di due soli impianti a lunghezza mm 10, tutte le fixture posizionate presentavano altezze comprese tra i mm 12 e i mm 17, in osservanza alle disposizioni metrologiche in materia.
Cinque impianti di lunghezze comprese tra mm 12 e mm 17 (1,2%) sono stati rimossi poiché non osteointegrati; nessun manufatto protesico è stato rimosso o sostituito.
Segnatamente alle quantità di stabilità primaria ottenute, sono state registrate resistenze all’inserzione entro uno spettro compreso tra i 13 e i 42 N di coppia media e i 50-70 N di picco, conseguibili in qualsiasi condizione istologica, mediante la modulazione della fase di preparazione del minus osseo implantare e la selezione del macrodesign mirato, senza modificare il diametro dell’impianto.

Discussione
Unanime accordo, in comunità scientifica, circa la necessità di avere cognizione della qualità ossea del tunnel implantare, in quanto vincolo inaggirabile per la preparazione di un sito competente per il carico immediato. Nonostante secondo alcuni autori sia possibile accordare la classificazione ossea radiologica (Tc, CbCt) con la sensibilità manuale dell’operatore ottenuta in fase di alesaggio, resta la difficoltà di riconoscere clinimetricamente la classe ossea di appartenenza del tunnel implantare, specie nei casi di consistenza tissutale intermedia (D2-D3).
Un’interpretazione empirica e soggettiva complicata della tipologia tissutale dell’alveolo implantare potenzia il rischio di selezione errata degli strumenti finali di approntamento del sito, il che comporta, in termini di stabilità primaria, un risultato notevolmente scostato dal livello pianificato e auspicato.
Si aggiunga, inoltre, la frequente difficoltà di stabilizzare gli impianti in tessuto osseo D4, evento determinato in parte dalle scadenti caratteristiche meccaniche dell’istotipo e in parte dalle chiavi manuali di serraggio; queste ultime generano forze torcenti di incorporazione spesso superiori alle possibilità di assorbimento della parete alveolare, con il risultato di ridurre sensibilmente la stabilità primaria finale o, peggio, di causare la autorotazione dell’inserto con azzeramento della fissità primaria, eventualità parzialmente correggibile con la rimozione della fixture e la sua sostituzione con viti endossee di dimensioni superiori19,20. Quanto alla tipologia D1, resta spesso indeterminata la soglia di compressione oltre cui il distress tissutale antagonizza i processi di osteointegrazione. Il motore per implantologia TMM2, utilizzato nel presente studio insieme alla metodica GSI (Guided Security Implants), concede la ricognizione dell’identità del sito implantare. Appena individuata la consistenza del neo alveolo, la consultazione delle flow charts o dello smart kit permette il prelevamento degli strumenti finali di allestimento alveolare e l’incorporazione degli impianti osteo-dedicati, a ottenere il grado di stabilità primaria conforme alle necessità protesiche di funzionalizzazione immediata, indipendentemente dalla topografia e dalla istologia dell’alveolo implantare.
Gli impianti Tiger incorporati esclusivamente in siti implantari D4 hanno garantito il raggiungimento di eccellenti livelli di stabilità primaria (Cp comprese tra 50 e 70 N): non sono segnalati fallimenti.
Nei siti postestrattivi immediati, sono stati impiegati impianti cilindro-conici Tank, che hanno denunciato la perdita di una sola unità. Dichiarati 4 fallimenti su impianti Aries in osso D1.
I risultati percentuali elaborati nella presente ricerca sono stati incrociati con quelli provenienti dalla produzione scientifica internazionale del biennio 2010-2012; dal confronto si evince che le percentuali riportate in letteratura scientifica e relative ai carichi immediati si attestano mediamente al 96,2%21-26 contro un implant survival rate di questo studio pari al 98,75%. Il miglior risultato statistico è interpretabile come effetto dell’accuratezza e predicibilità delle procedure chirurgiche, della riduzione/abolizione delle variabili operatore-dipendenti e delle analisi fisico-matematiche elaborate dal software del motore chirurgico.

Conclusioni
I dati elaborati nel presente studio suggeriscono che la disponibilità dei parametri biologici intraoperatori rappresenta un validissimo ausilio per ottenere una precisa equipollenza tra gli obiettivi della pianificazione e i risultati della realizzazione implantoprotesica finale. Le analisi matematiche eseguite dal software del motore chirurgico, ancorché clinicamente utilissime, devono essere sottoposte a ulteriori studi (peraltro già in corso), necessari per validare l’identità tra i valori procurati dal motore e i dati provenienti dalle indagini stomorfometriche. Resta l’acquisizione della migliore precisione operatoria, tradotta in incremento sensibile delle potenzialità di successo chirurgico e sopravvivenza protesica. In quest’ottica, un’applicazione clinica maggiormente interessante è senz’altro costituita dall’applicazione della metodologia nei sistemi di chirurgia guidata, ancora più restrittivi rispetto ai possibili interventi correttivi dei clinici sui diametri implantari, fissati rigidamente in fase di programmazione e non modificabili in corso di intervento27.

 

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