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Sotto lo smalto… manca la vitamina D

Sguardo d’insieme di un nuovo metodo di ricerca sugli effetti a lungo termine della carenza di vitamina D. (Fotografia: McMaster University)

gio. 8 giugno 2017

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Ontario (Canada) – La carenza di vitamina D che affligge oltre 1 miliardo di persone nel mondo, da tempo oggetto di discussione tra i professionisti della salute, viene riconosciuto ora come uno degli indici più importanti. Dalla ricerca emerge che i difetti di mineralizzazione nei denti (dentina interglobulare) forniscono un nuovo spunto d’indagine su episodi del passato caratterizzati da carenza della vitamina. Utilizzando tale metodo, uno studio ha dimostrato che alcune delle prime Comunità europee e mediorientali hanno risentito del problema, i cui livelli e gravità sembrano tuttavia essere aumentati nel corso del tempo.

Nel 2016, i ricercatori dall'Università di McMaster dell’Ontario, in collaborazione con colleghi del Quebec e francesi, hanno stabilito in primo luogo che la dentina può essere caratterizzata da uno stato permanente di carenza di vitamina D. A differenza di quanto avviene nell’osso la dentina non si ristruttura e questo sta a significare che la dentina interglobulare fornisce uno strumento preciso da cui partire per studiare gli aspetti evolutivi della carenza.

Utilizzando tre precedenti studi sulla dentina interglobulare negli esseri umani, oltre alle proprie ricerche, gli scienziati hanno stabilito che la prima prova della carenza di vitamina D proviene da Tabun e Skhul, due siti del tardo Pleistocene sul Monte Carmelo, in Israele. Da tali reperti si ha la prova che la carenza di vitamina D è riscontrabile fin dagli albori, non è solo un problema attuale. Inoltre, l’analisi dei denti compresi nel periodo cosiddetto “Helladic” fino alla Grecia contemporanea ha rivelato, grazie ad un semplice confronto, che non solo molte persone avevano dentina interglobulare, ma i difetti aumentavano anche molto quanto a gravità.

«Questa circostanza appare importante, perché abbiamo una prova che potrebbe finalmente rispondere a domande fondamentali sui primi spostamenti e sulle condizioni di vita delle popolazioni fornendo nuove informazioni sull’importanza della vitamina D per le popolazioni di oggi» dice Megan Brickley, antropologo della McMaster, cattedra di Bioarcheologia delle malattie umane, e principale autore dello studio.

Prima di questa scoperta, non c’era stato alcun metodo affidabile per misurare la carenza di vitamina D nel corso del tempo. Utilizzando i reperti di denti “antichi” e “moderni”, i ricercatori hanno dimostrato quanto il metodo sia prezioso per comprendere la consistenza mondiale di tale problematica. I risultati di un’indagine del 2012 – 13 della Canadian Health Measures ha mostrato che il 25 per cento dei canadesi erano potenzialmente a rischio di insufficiente assunzione di vitamina D mentre il 10 per cento rischiava la carenza.

Intitolato “Ancient vitamin D deficiency: Long-term trends” il volume è stato pubblicato online il 18 maggio sulla rivista Current Anthropology.

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